Jijé, quando il fumetto è cattolico
Nel centenario della nascita, Bruxelles dedica una mostra a Joseph Gillain, detto Jijé, uno dei più grandi autori nella storia del fumetto, prodotto di una vera e propria scuola cattolica, nata per riguadagnare i giovani alla Chiesa.
Cento anni fa, il 13 gennaio 1914, nasceva a Gedinne, in Belgio, Joseph Gillain, detto Jijé (1914-1980), uno dei più grandi autori nella storia del fumetto. Lo ricorda una mostra alla Maison de la Bande Dessinée a Bruxelles (per chi va nella capitale belga: a due passi dalla Stazione Centrale), ricca di inediti e tavole originali. Di Jijé ha già parlato sulla Nuova Bussola Quotidiana Rino Cammilleri in occasione della ristampa italiana del suo «Don Bosco» (ReNoir - Nona Arte, Milano 2013). La mostra di Bruxelles aiuta a conoscerlo meglio, e a collocarlo nel suo contesto.
La scuola belga del fumetto - il cui altro celebre esponente è Hergé (Georges Remi, 1907-1983), il creatore di Tintin -, è detta della «linea chiara» per la sua pulizia stilistica e facile leggibilità, e si contrappone in questo alle altre due grandi scuole, americana e giapponese.
La scuola belga ha anche un'altra particolarità. È nata nel mondo cattolico, anzi è stata esplicitamente promossa da ecclesiastici, con intenti di riconquista dei giovani alla fede. Fra questi, un ruolo di primo piano spetta a don Norbert Wallez (1882-1952) il quale ricevette dal cardinale Désiré-Joseph Mercier (1851-1926) l’incarico di riorganizzare una parte importante della stampa cattolica belga, compresa quella giovanile. Don Walletz è oggi ricordato con imbarazzo perché, fervente anticomunista, finì per avvicinarsi al movimento filo-nazista belga di Léon Degrelle (1906-1994) e dopo la guerra dovette scontare quattro anni di carcere per collaborazionismo.
Fu però don Walletz ad avviare al fumetto Hergé, che considerava come un figlio tanto più dopo il suo matrimonio con la segretaria del sacerdote. Quando dopo la guerra Hergé abbandonò la prima moglie, si allontanò pure dalla pratica cattolica, e descrisse il cattolicesimo degli anni d’oro di Tintin come un mero fatto di tradizione. Questa però, secondo gli storici del fumetto, è la ricostruzione tardiva di un uomo amareggiato e in conflitto con la prima moglie. L’impegno nell’associazionismo cattolico e la fede del creatore di Tintin prima del conflitto mondiale lasciano pochi dubbi sulla loro sincerità.
Fedele a un cattolicesimo militante fino alla morte restò invece l’altro caposcuola del fumetto belga, appunto Jijé, uno degli autori di Spirou, un fumetto quasi ignorato in Italia ma popolarissimo in molti Paesi europei. La vera e propria scuola creata da Jijé, la «scuola di Marcinelle», deve molto all’abbazia benedettina di Maredsous e al suo abate, il beato irlandese dom Columba Marmion (1858-1923). Diversi suoi esponenti, tra cui lo stesso Jijé, impararono nella scuola di Maredsous la tecnica delle arti visive.
Ma non è solo questione di tecnica. Attraverso i filoni dello scoutismo cattolico, di un esotismo dove compaiono quasi sempre i missionari, della riscoperta del Medioevo cristiano e delle vite dei santi, la scuola belga, oltre ad avere una maggioranza di esponenti formati nell’associazionismo e nelle scuole della Chiesa – compreso Peyo (Pierre Culliford, 1928-1992), il creatore dei Puffi –, restò a lungo impregnata dei valori del cattolicesimo. Il «Don Bosco» di Jijé (1943), tradotto in numerose lingue, è probabilmente il fumetto religioso più venduto di tutti i tempi. Ma in Jijé i valori cattolici emergono anche nei fumetti western, oggi riscoperti, e perfino nelle serie umoristiche.
La mostra di Bruxelles mostra Jijé come un discreto pittore, di ottima tecnica ma forse troppo preoccupato d'imitare l'impressionismo e Vincent Van Gogh (1853-1890). Per fortuna, Jijé capì per tempo che la sua strada era il fumetto. Il Belgio e la Chiesa persero un pittore di media qualità, ma guadagnarono uno dei più grandi autori di fumetti del XX secolo.