Italia ancora chiusa, ora cominciano le proteste
La decisione del governo di tenere chiusa l’Italia almeno fino al 30 aprile sta provocando la reazione delle tante categorie di lavoratori che stanno pagando carissimo questo lockdown senza fine e senza senso. I ristoratori danno l'ultimatum: senza certezze, il 26 aprile riapriremo.
La decisione del governo di tenere chiusa l’Italia almeno fino al 30 aprile, oltre che far salire la depressione delle persone, ha scatenato le proteste delle categorie. La seconda Pasqua in lockdown getta nello sconforto lavoratori, studenti, famiglie, che non intravvedono affatto la luce in fondo al tunnel, anzi paventano scenari foschi per tutti i “non garantiti”, cioè le fasce di popolazione prive di reddito fisso e costrette a vivere con ristori irrisori.
Negli ultimi giorni si sono registrate altre proteste di lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, imprenditori della ristorazione, che non ce la fanno davvero più. Non comprendono l’utilità delle restrizioni, si sentono vessati da uno Stato che non li fa lavorare e li terrorizza soltanto con il bombardamento mediatico su contagi, ricoveri e decessi, al fine di far loro digerire le prolungate chiusure. Ma in questo modo, puntando tutto sulla vaccinazione, non si va da nessuna parte. Impensabile prolungare i lockdown fino a quando un congruo numero di cittadini non sarà stato vaccinato. L’economia è al collasso e senza politiche alternative di convivenza con il virus non ci sarà futuro per il nostro Paese.
A scendere in piazza non solo solo rider, tassisti, lavoratori di luna park e circhi, proprietari e gestori di palestre, piscine, discoteche e impianti sportivi. Ieri mattina, in occasione della Giornata mondiale del Teatro, che avrebbe dovuto essere il giorno della ripartenza di cinema e teatri, secondo le promesse del Ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, una cinquantina di persone tra studenti e operatori del coordinamento spettacolo della Lombardia (attori, registi, tecnici, macchinisti, sarti, scenografi e drammaturghi) hanno occupato il cortile del Piccolo Teatro di Milano per protestare contro la chiusura delle istituzioni culturali. «Questa azione – hanno spiegato i manifestanti - si inserisce in una giornata di respiro nazionale per rilanciare le lotte dei lavoratori dello spettacolo e le nostre richieste di riforma, tutela e reddito di continuità. Abbiamo scelto il Piccolo perché è il primo teatro di prosa comunale d'Italia, come scritto nel programma di sala del '47. Per noi è un simbolo».
Per ora, ma probabilmente ancora per poco, corre solo su WhatsApp la protesta dei ristoratori, che in un messaggio diventato virale danno un ultimatum al Governo minacciando di riaprire sia a pranzo che a cena i loro ristoranti, fra un mese esatto (a partire dal 26 aprile), rispettando le regole di distanziamento e contenimento, qualora l’esecutivo dovesse continuare ad elargire elemosine di Stato sotto forma di ristori senza minimamente dare certezze sulla ripresa delle loro attività.
Il loro grido di dolore è tutt’altro che pretestuoso, come documentano le cifre diffuse ieri dall’Ufficio Studi di Confcommercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza. «Sarà molto pesante a Milano, Monza Brianza e Lodi l'impatto sulle attività del commercio, del turismo e dei servizi nel periodo di Pasqua 'allargato' (a partire dalla settimana santa fino a subito dopo le festività pasquali). Una perdita di fatturato di 228 milioni di euro, - 53,4%, rispetto al periodo di Pasqua 2019 senza Covid», si legge in un comunicato di quell’organizzazione. «A Milano, Monza Brianza e Lodi – fanno sapere da Confcommercio - sono 69.500 le attività del terziario che subiscono gli effetti più rilevanti sui ricavi per il blocco di Pasqua: commercio al dettaglio, ristorazione, servizi per la persona e ricreativi, trasporti, ricettività. Veri e propri crolli di fatturato in particolare per ristorazione e pubblici esercizi (da 80,6 a 16, 1 milioni di euro, - 80%), servizi ricreativi (luoghi di spettacolo, palestre, piscine, centri sportivi: da 66,7 a 16,7 milioni, - 75%), commercio al dettaglio (da 79 a 23,1 milioni, - 70,7%), ricettività (da 19,2 a 4,7 milioni, - 75,8%). Cali significativi anche per i servizi alla persona (da 82,9 a 63,6 milioni, - 23,3%) e trasporti (da 98,2 a 74,5 milioni, - 24,1%). Se si dovesse arrivare a un mese di zona rossa il costo per il nostro territorio sarebbe di oltre 1 miliardo e 160 milioni di euro. Bisogna far riaprire le imprese in sicurezza. Imprese, è bene ricordarlo, che stanno ancora aspettando gli indennizzi per la zona rossa indebita di gennaio».
Essendo la Lombardia la locomotiva del Paese, si fa presto a tirare conclusioni sul disastro che incombe sull’Italia se si dovesse proseguire ancora per settimane o mesi sulla strada dei lockdown, senza dare certezze a cittadini, famiglie e imprese su quando potranno tornare a una normalità professionale e relazionale.
Peraltro la seconda e la terza ondata del Covid hanno peggiorato le prospettive per l'economia italiana e i conti pubblici nel 2021. La crescita del Pil potrebbe fermarsi al 3,5% e il deficit raggiungere il 10,2% del Pil (175 miliardi). Di conseguenza, il debito pubblico sfiorerebbe 160% del Pil a fine 2021. Secondo la Banca d'Italia, il debito pubblico a fine 2020 aveva raggiunto 2569 miliardi, cioè il 155,6 per cento del Pil, il livello maggiore dalla prima guerra mondiale, seppur leggermente inferiore alle previsioni. Nell’anno in corso, il mix di minor crescita e maggior deficit si tradurrebbe invece in un aumento del debito a quasi 2750 miliardi, che corrisponderebbero al 159,6 per cento del Pil e che graverebbero in maniera sempre più drammatica sulle spalle delle nuove generazioni.
Scelte scellerate sul virus hanno impoverito vistosamente l’economia e stanno preparando una vera e propria macelleria sociale, con il saccheggio del patrimonio industriale nazionale da parte dei “colonizzatori” stranieri. Nel silenzio generale e con la supina acquiescenza di milioni di italiani ai quali, peraltro, non viene comunque garantito il tanto sbandierato diritto alla salute.