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Israele, Iran e Ucraina: il ruolo delle superpotenze dietro lo scontro

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Il rischio più grave è che agli attacchi all'Iran partecipino anche aerei e navi statunitensi, britannici e francesi nel Golfo Persico. Un atto che allargherebbe il conflitto ed esporrebbe a rappresaglie le nazioni arabe. E poi gli stretti rapporti militari tra Russia e Iran, che potrebbero saldare il conflitto in Ucraina con quello in Medio Oriente.

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Esteri 09_10_2024

Mentre le truppe israeliane continuano con alterni successi le operazioni terrestri pochi chilometri all’interno del territorio libanese, il mondo si interroga su quando e con quali modalità si scatenerà la risposta di Israele al bombardamento missilistico iraniano, a sua volta una rappresaglia per i raid israeliani in Libano che hanno ucciso il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ma anche il generale iraniano Abbas Nilforooshan, comandante in Libano della Divisione al-Quds, unità per le operazioni all’estero dei pasdaran.

Nonostante i pesanti bombardamenti e gli omicidi mirati dei suoi comandanti, ieri Hezbollah ha lanciato oltre 100 razzi contro le città israeliane mentre gli israeliani hanno colpito ancora la periferia di Beirut e hanno reso noto di aver ucciso 200 combattenti di Hezbollah in una settimana di azioni terrestri nel sud del Libano.

In visita al Comando Nord, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che il gruppo filo-iraniano «è un'organizzazione malconcia e distrutta, senza significative capacità di comando e di fuoco, con una leadership disintegrata dopo l'eliminazione di Hassan Nasrallah. Anche il suo successore probabilmente è stato eliminato», ha aggiunto, sostenendo che «non c'è nessuno che prenda decisioni, nessuno che agisca. Valutazioni ottimistiche che cozzano però con la resistenza che incontrano le truppe israeliane, non ancora riuscite a penetrare in modo consistente in territorio libanese ma soprattutto stridono con l’ampio numero di razzi e droni che vengono lanciati dai miliziani di Hezbollah contro il territorio israeliano».

Circa gli obiettivi che gli israeliani potrebbero prendere di mira in Iran con attacchi missilistici e aerei sono state formulate molte ipotesi. Prendere di mira i siti nucleari iraniani avrebbe un valore strategico e del resto Israele vuole ad ogni costo impedire a Teheran di diventare una potenza nucleare insidiando così il primato di Israele che, pur non avendo mai ammesso di possederlo, è accreditato di un arsenale atomico di almeno 150 testate.

Attaccare Natanz e gli altri centri per lo sviluppo del programma nucleare (pacifico e a scopi energetici sostiene l’Iran) non offrirebbe molte garanzie di successo poiché molti obiettivi sono situati decine di metri sotto terra o sotto montagne, ma di certo costituirebbe però un innalzamento dell’escalation a cui l’Iran dovrebbe a sua volta rispondere in modo adeguato. 

Sviluppo militare che forse Israele potrebbe perseguire, ma che di certo non è gradito agli Stati Uniti. Poiché come appare evidente a tutti Israele condivide e concorda con Washington la valutazione su quando e quali obiettivi attaccare è difficile credere che Joe Biden (o chi per lui) e Kamala Harris vogliano regalare a Donald Trump la conferma che l’attuale amministrazione ci sta portando verso la terza guerra mondiale.

Certo per Israele resta fondamentale chiudere i conti con l’Iran prima che diventi una potenza atomica, quindi “intoccabile” ma deve anche ascoltare gli USA anche perché non può continuare la guerra senza i preziosi rifornimenti di munizioni che arrivano dagli Stati Uniti.

Del resto Israele, al di là delle dichiarazioni propagandistiche, ha scoperto di essere vulnerabile agli attacchi dei missili balistici iraniani. Il 1° ottobre Israele ha affermato di aver abbattuto il 75 per cento dei 180/200 missili iraniani, il che significa che 40/50 missili hanno raggiunto il bersaglio.

Non sono stati forniti dettagli circa i danni subiti da due basi aeree ma le immagini satellitari hanno mostrato danni e che decine di missili hanno saturato ed eluso le difese aeree, in particolare i missili Arrow 3 e il David’s Sling, che non sono riusciti a fermare l’attacco balistico neppure con il supporto dei missili imbarcati sulle navi statunitensi, degli aerei francesi e britannici e forse anche dei Patriot statunitensi basati in Giordania.

I media iraniani (ma anche molti cittadini israeliani e palestinesi) hanno postato online filmati dei missili che esplodono al suolo. I pasdaran hanno affermato che i missili hanno preso di mira “tre basi” intorno a Tel Aviv, tra cui due basi aeree che ospitano aerei da combattimento F-35 (l’Iran sostiene di averne distrutti 20 nella base di Nevatim) e F-15, il quartier generale del Mossad e altre postazioni militari israeliane.

Teheran ha annunciato che “il 90% dei missili ha colpito gli obiettivi” rivendicando il successo nell’attacco contro Israele e promettendo che se ci sarà una reazione l’Iran risponderà «con ancora maggiore forza». 

Israele è consapevole che l’Iran potrebbe lanciare attacchi simili per dimensioni e armi impiegate per molti giorni consecutivi, azzerando probabilmente le scorte di missili israeliani.

Anche per questa ragione anche l’ipotesi di colpire le infrastrutture petrolifere potrebbe risultare rischiosa sotto diversi punti di vista. Incautamente caldeggiata da Biden che aveva ammesso il ruolo statunitense nel definire gli obiettivi affermando che i siti petroliferi venivano presi in considerazione da israeliani e americani, l’opzione è stata scartata dallo stesso Biden che ha detto successivamente di aver sconsigliato Israele dal colpire obiettivi petroliferi. Probabilmente l'immediato aumento delle quotazioni del petrolio di oltre l’8 per cento ha indotto il presidente statunitense a non alterare equilibri economici già precari e soprattutto di non favorire la Russia, alleato dell’Iran e grande esportatore di greggio.

L’ipotesi forse più probabile è che Israele opti per colpire obiettivi militari in Iran quali basi missilistiche centri di produzione per missili e altre armi, centri di comando dei Guardiani della Rivoluzione concentrando attacchi più pesanti contro gli alleati di Teheran: milizie scite in Siria e Iraq, Hezbollah e Houthi nello Yemen.

Il rischio più grave è che agli attacchi contro il territorio iraniano partecipino anche aerei e navi statunitensi, britannici e francesi basati nel Golfo Persico. Un atto che allargherebbe il conflitto ed esporrebbe a rappresaglie le nazioni arabe che ospitano basi delle potenze occidentali. Ritenere che il mondo arabo sia schierato con Israele, come sostengono molti grandi media in Italia, potrebbe esporci a dolorose sorprese. 

Inoltre gli iraniani hanno già abbattuto diversi droni americani penetrati illegalmente nel suo spazio aereo mentre gli stretti rapporti militari tra Russia e Iran potrebbero saldare il conflitto in Ucraina con quello in Medio Oriente in caso di raids delle potenze della NATO contro il territorio iraniano. Non a caso l’Iran ha ammonito gli USA a restare fuori dal confronto con Israele.     

In termini militari però le prospettive di Israele sono ricche di incognite. Riconquistare la fascia di sicurezza nel sud del Libano costerebbe molto sangue avanzando in un territorio collinare in cui le milizie scite si preparano da anni ad affrontare i militari israeliani. Inoltre dopo la conquista tale territorio dovrebbe venire presidiato costantemente con costi finanziari e in termini di perdite certo considerevoli.

Al tempo stesso, rinunciare a ristabilire una fascia di sicurezza significherebbe lasciare esposta la Galilea e l’intero territorio israeliano ai bombardamenti di Hezbollah poiché la storia insegna che la distruzione di depositi e postazioni senza mantenere il controllo del territorio consentirà alla milizia scita di ricostituire rapidamente le scorte di armi e arruolare nuovi combattenti.

Per questa ragione gli obiettivi finali delle iniziative militari israeliane non appaiono ancora ben chiari. L’Iran è in grado di colpire duramente Israele ma non vuole entrare direttamente in guerra, forse perché punta a vincere “ai punti” grazie ai suoi alleati regionali e al progressivo logoramento di Israele e del suo governo.

Lo Stato ebraico subisce ormai da un anno anche gravi danni economici in seguito al conflitto, non ultimo il blocco del porto di Eilat a causa delle attività degli Houthi contro il traffico mercantile all’imboccatura meridionale del Mar Rosso. Dopo il duplice declassamento del rating creditizio di Israele da parte di Moody’s, anche l’agenzia di rating Standard&Poor ha annunciato il 2 ottobre di aver nuovamente declassato di un livello il rating creditizio di Israele.

In questo conflitto tutti i belligeranti si sono dimostrati efficaci ma anche vulnerabili e incapaci di conseguire una vittoria decisiva sul nemico. Un elemento “di equilibrio” che potrebbe costituire la base per imbastire prima o poi una trattativa.