Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
il bilancio

Israele, guerra totale per la sopravvivenza fuori dalle regole internazionali

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Dopo un anno di guerra contro Hamas, Israele agisce come un "cane sciolto", al di fuori di ogni regola internazionale, rivendicando il proprio diritto all'esistenza, ma ignorando le prerogative degli altri popoli. Dal 7 ottobre ad oggi, nella Striscia di Gaza l'esercito israeliano ha ucciso 41.878 persone e 96.794 sono i feriti.

Esteri 05_10_2024 English

Dopo un anno di guerra contro Hamas, Israele agisce come un "cane sciolto", al di fuori di ogni regola internazionale, rivendicando il proprio diritto all'esistenza, ma ignorando le prerogative degli altri popoli. È quanto sta accadendo dal 7 ottobre dello scorso anno, cioè da quando i miliziani di Hamas con una azione terroristica – di cui i vertici israeliani erano a conoscenza e che probabilmente hanno ignorato - hanno innescato quella scintilla che ha fatto divampare un incendio e una catastrofe di cui non si vede la fine. Dopo un anno di ostilità, secondo l’esercito israeliano e fonti ufficiali dello Stato ebraico, sono stati uccisi 1.546 israeliani, compresi alcuni cittadini stranieri; la maggior parte il 7 ottobre o immediatamente dopo. La cifra comprende 346 soldati uccisi a Gaza o lungo il confine con Israele, dall’inizio dell’operazione di terra, mentre 2.284 risultano feriti. Sempre in quella tragica data sono stati catturati circa 250 ostaggi, ma a tutt’oggi  solo un centinaio dovrebbe essere ancora in vita.

A distanza di un anno ci si chiede ancora come mai Israele non abbia fermato i miliziani di Hamas, pur sapendo che l’organizzazione terroristica stava preparando un’operazione di intrusione nel suo territorio e si stava esercitando per la cattura di ostaggi. L’Unità 8200, il reparto d’élite d’intercettazione dell’intelligence militare, avrebbe informato i vertici dell’esercito. Il governo ne era a conoscenza. Un documento diffuso dai media israeliani getta un’ombra sulla versione ufficiale del governo di Benjamin Netanyahu, secondo cui nessuno a Tel Aviv prevedeva l’ampiezza dell’operazione Diluvio Al-Aqsa.

La strage si poteva evitare? E con essa tutto quello che è accaduto dopo?

La reazione di Israele a quell'attacco è stata violenta e brutale. E forse era questo che si voleva. Dal 7 ottobre ad oggi, nella Striscia di Gaza l'esercito israeliano, stando al conteggio di Hamas, ha ammazzato 41.878 persone e 96.794 sono i feriti. La maggior parte sono donne e bambini. Ma quello che fa inorridire è che numerosissime famiglie sono state completamente cancellate.

«Chiedo ancora una volta che si cessi il fuoco su tutti i fronti, che si liberino gli ostaggi, che si aiuti la popolazione stremata». Sono parole di papa Francesco. Parole inascoltate, come quelle del patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Piazzaballa, che in più di un'occasione, ha rivolto ai belligeranti. La guerra è una sconfitta per tutti. In occasione dell'anniversario del 7 ottobre papa Francesco ha chiesto a tutti di pregare e fare una giornata di digiuno, in questa giornata nella quale domandiamo a Dio la pace nel mondo». Anche il patriarca Pizzaballa, in una lettera ai fedeli, ha parlato del «bisogno di pregare, di portare il nostro dolore e il nostro desiderio di pace davanti a Dio. Abbiamo bisogno di convertirci, di fare penitenza e di implorare perdono».

Per un anno i bombardamenti sulla Striscia non si sono mai interrotti. Ma ora, il conflitto si è esteso alla Cisgiordania, al Libano e allo Yemen. La periferia meridionale di Beirut, tra le più popolose della capitale, sta vivendo momenti drammatici. L'arteria che collega il Paese dei Cedri con la Siria è stata resa impraticabile. Nel mirino dell'aviazione ebraica c'era Hashem Safieddine, possibile successore di Hassam Nasrallah, ucciso in un attacco israeliano la scorsa settimana e che sarebbe morto, secondo fonti della sicurezza israeliana.

Ieri a Teheran, la Guida Suprema della Rivoluzione Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, con un fucile al fianco, durante la commemorazione per Nasrallah, ha esortato le nazioni musulmane ad unirsi per difendersi dal comune nemico, sollecitando l’Afghanistan, lo Yemen, l’Iran, Gaza e il Libano. «Israele – ha dichiarato - non otterrà mai la vittoria su Hezbollah e Hamas». Ha poi aggiunto: «L’attenzione degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele è una copertura per la sua politica di accaparramento delle risorse della regione». Nel frattempo, il corpo di Nasrallah sarebbe stato temporaneamente sepolto in un luogo segreto, per evitare che Israele possa ordinare un attacco nel caso fosse organizzato un funerale.

La situazione in Libano peggiora di ora in ora. Il numero delle vittime potrebbe già aver superato il migliaio di unità, mentre i feriti sono seimila. Più di un milione gli sfollati. Una parte della popolazione siriana, sfuggita alla guerra civile e che aveva trovato rifugio in Libano, in questi giorni sta rientrando nel proprio paese di origine, dove tra l’altro le ostilità sono tutt’altro che terminate. «La maggior parte degli sfollati è fuggita senza nulla, sta occupando edifici pubblici o vagando per le strade in cerca di cibo - ha dichiarato un salesiano di Beirut, che preferisce rimanere nell'anonimato per paura di ritorsioni. «Noi cerchiamo di offrire loro l’essenziale per vivere: un posto per dormire, vestiti, cibo, assistenza ai bambini. Sarà molto importante il supporto psicologico per i più piccoli, stanno vivendo un dramma che difficilmente dimenticheranno».

Nel frattempo, l’azione di Israele prosegue sempre più distruttiva e martellante; soprattutto nei luoghi in cui Hezbollah è presente, nella capitale e nel resto del paese, ma anche in centri come Mayssara (Kesrouan) o Aley, in cui anche la minima presenza di comunità sciite, che ospitano uomini del Partito di Dio, diventa oggetto di incursioni aeree. Nei quartieri cristiani di Beirut est, gestiti per la maggior parte da Kataeb e dalle Forze libanesi, ostili da sempre a Hezbollah, si iniziano ad esporre le bandiere dei partiti della destra cristiana. C’è preoccupazione, ma non si vuole soccombere. Una domanda è sulla bocca di tutti: perché l'America, con il suo presidente Biden predica la pace e poi fornisce una quantità enorme di armi ad Israele per ammazzare vittime innocenti?

«C’è dolore di fronte all'orrore del disastro che ha colpito il Libano. Dalla costa ai monti, distruzione e morte. Ma viene condannata anche la prolungata aggressione israeliana, che ha causato centinaia di martiri e vittime innocenti». È quanto si legge in una nota resa pubblica al termine dell'Assemblea mensile dei vescovi maroniti, presieduta dal patriarca Béchara Boutros Pierre Raï. I presuli si rivolgono anche alla comunità internazionale chiedendo «di assumersi le proprie responsabilità, impegnandosi per un cessate il fuoco immediato», con un preciso riferimento alla Risoluzione Onu numero 1701. 

Ma l'aviazione israeliana colpisce anche le città della Cisgiordania. A Tulkarem, è stato ammazzato un comandante di Hamas che stava pianificando, secondo fonti militari, un attacco terroristico su larga scala, in occasione del primo anniversario del 7 ottobre. Almeno diciotto i palestinesi uccisi. L’esercito israeliano è in massimo stato d’allerta per eventuali altri tentativi, sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania. 

Una cosa è certa, prima del 7 ottobre 2023, la posizione di Netanyahu, sul piano politico e sociale, era instabile, debole nel consenso e indagato per corruzione, oggi è difficilmente sostituibile, nonostante le proteste e il malcontento nei suoi confronti non siano venuti meno. Allungare il conflitto, esasperarlo, sabotare di fatto i tentativi di negoziato, non progettare un piano per ciò che avverrà dopo la fine delle ostilità è funzionale al suo interesse personale e politico.