Israele contro Vaticano, il punto più basso dei rapporti diplomatici
Ascolta la versione audio dell'articolo
Parolin condanna le operazioni israeliane a Gaza perché sono una risposta sproporzionata. Israele risponde con una nota durissima. Rapporti mai così tesi.
«Siamo tutti sdegnati per quello che sta succedendo. È una carneficina. Dobbiamo avere il coraggio di andare avanti e di non perdere la speranza». A pronunciare queste parole è il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin al termine dell’incontro bilaterale tra Italia e Stato del Vaticano, in occasione dell’anniversario della firma dei Patti Lateranensi. Ha poi aggiunto: «Il diritto alla difesa di Israele, che è stato invocato per giustificare questa operazione, sia proporzionato; ma certamente con 30mila morti non lo è».
Parole che non sono piaciute all'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Raphael Schutz, che attraverso un comunicato, poco diplomatico, ha definito la dichiarazione «deplorevole» ed «errata». Da parte israeliana è stato inoltre evidenziato il fatto, che il non tenere nel dovuto «conto tutte le circostanze e i dati rilevanti, porta inevitabilmente a conclusioni errate». In un successivo comunicato, diffuso ieri, 15 febbraio, si cerca di correre ai ripari. «In riferimento al comunicato stampa del 14 febbraio scorso si desidera precisare che l'originale era in lingua inglese, poi tradotto in italiano. In inglese il comunicato, in riferimento alle parole di Sua Eminenza il Cardinale Parolin, così recitava: 'It is a regrettable declaration'. Nella traduzione in italiano è stata scelta la parola "deplorevole”, ma il termine “regrettable” poteva essere tradotto, in modo più preciso, col termine sfortunata».
Un attacco scomposto quello contro il Segretario di Stato Vaticano, che sembra ignorare le preoccupazioni più volte manifestate anche dal Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. La posizione vaticana è condivisa da Antonio Tajani, ministro degli Esteri del Governo italiano che, a sua volta, ha sottolineato che «a Gaza ci sono troppe vittime che non hanno nulla a che fare con i terroristi. La crisi umanitaria potrebbe ulteriormente aggravarsi con il diffondersi di epidemie, causate dalla scarsità di acqua potabile, medicinali e servizi igienici adeguati. Rimane la prospettiva di “due popoli e due stati”, con uno Stato palestinese e uno Stato israeliano che convivano in pace. Questo è l'obiettivo del Governo italiano».
Che la reazione d’Israele nei confronti di Gaza sia sproporzionata lo dicono, oramai, quasi tutte le cancellerie europee: dalla Francia alla Germania e all'Inghilterra. Non ultimo il Sudafrica che ha messo sotto accusa Israele, per crimini di guerra, con un procedimento giudiziario avviato presso la Corte Internazionale di Giustizia.
Il cardinale Parolin, sempre nel suo intervento, ha sottolineato che non si può continuare così. «Bisogna trovare altre strade per risolvere il problema di Gaza, e più in generale la questione della Palestina. La Santa Sede è stata chiara fin dall’inizio: una condanna netta e senza riserve di quanto avvenuto il 7 ottobre; una condanna netta e senza riserve per ogni tipo di antisemitismo, ma nello stesso tempo, è auspicabile che il diritto alla difesa di Israele, che è stato invocato per giustificare questa operazione, sia proporzionato». Ma anche queste parole sono state giudicate inopportune. «Non è sufficiente condannare il massacro genocida del 7 ottobre, e poi puntare il dito contro Israele affermando il suo diritto all'esistenza e all'autodifesa solo come un semplice atto dovuto, ignorando il quadro generale».
La replica del Vaticano non si è fatta attendere: «Per la Santa Sede la scelta di campo è sempre quella per le vittime. È dalla parte degli israeliani massacrati in casa nei kibbutz, mentre si accingevano a celebrare la Festa della Torah, degli ostaggi strappati alle loro famiglie, come dei civili innocenti, un terzo dei quali bambini, uccisi dai bombardamenti a Gaza. Il diritto alla difesa, il diritto di Israele di assicurare alla giustizia i responsabili del massacro di ottobre, non può giustificare questa carneficina».
Nel suo duro intervento di risposta a Parolin, il rappresentante israeliano presso la Santa Sede non ha tenuto conto che anche l'Amministrazione americana sta valutando di avviare un'indagine sui crimini di guerra commessi dall'esercito israeliano. John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, ha dichiarato: «Troppi civili sono stati uccisi nel conflitto a Gaza. Siamo stati molto chiari su questo punto con Israele e stiamo lavorando per ridurre il numero delle vittime civili».
L'Alto commissario dell'Unione Europea per la politica estera, Josep Borrell, rivolgendosi con inconsueta durezza al presidente degli Stati Uniti d'America, ha dichiarato: «Joe Biden ritiene che i morti civili a Gaza siano troppi, allora deve fornire a Israele meno armi, è abbastanza logico. Tutti vanno a Tel Aviv e chiedono “per favore, ci sono troppe vittime, uccidete meno civili”, ma Benjamin Netanyahu non ascolta nessuno. Forse è il caso di smettere di chiedere per favore, e fare qualcosa». Riguardo alle ultime richieste di evacuazione (da Rafah) il rappresentante della politica estera europea ha poi polemicamente chiesto: «E dove devono andare, sulla luna?».
Che l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede usi toni duri nei confronti del Vaticano non è una novità. È dal massacro del 7 ottobre ad oggi che utilizza espressioni al di fuori di ogni regola diplomatica. Le incomprensioni sulle cause della guerra sono un crescendo di attacchi non solo contro la diplomazia vaticana, ma anche contro il pontefice. Da parte israeliana, si rimprovera al Vaticano di non aver mai menzionato Hamas e la mancata segnalazione della radice antisemita del movimento terroristico, che non solo nega l'esistenza dello Stato d'Israele, ma persegue l'obiettivo di sterminare gli ebrei. Inaccettabile per la diplomazia israeliana che papa Francesco abbia ricevuto, pur in occasioni diverse, sia palestinesi che israeliani dopo quell’orribile 7 ottobre.
Va ricordato anche che al governo di Netanyahu non sono piaciute le parole pronunciate da papa Francesco, durante l'Angelus di domenica 17 dicembre dello scorso anno, quando ha affermato che «uccidere civili nella parrocchia è fare terrorismo». Papa Francesco si riferiva all'uccisione di due cristiane, ammazzate da un cecchino israeliano all'interno della struttura della chiesa parrocchiale latina di Gaza, che avevano trovato rifugio in quel luogo assieme ad altre settecento persone. In un primo momento l'esercito israeliano aveva negato che fossero stati suoi militari ad uccidere le due donne; successivamente, un comunicato correggeva la prima versione dei fatti. Negare la realtà è un metodo di difesa tutt’altro che “corretto”.
I rapporti tra Israele e Santa Sede sono stati spesso poco sereni. Sono trascorsi ormai cinquantuno anni, da quando l'allora pontefice Paolo VI, incontrò, ufficialmente per la prima volta nella storia, un primo ministro israeliano. L'incontro con Golda Meir durò quasi un'ora. Non si intrattenevano allora rapporti diplomatici, c’erano stati degli incontri bilaterali, avviati dopo la storica visita che, sempre Paolo VI, aveva compiuto in Terra Santa nel 1964. E di quell'incontro la Meir, nelle sue memorie, scrisse che «di fronte al Capo della Chiesa, all'uomo della Croce, e sotto quel simbolo, sono stati uccisi ebrei in tutte le generazioni. Non potevo fare a meno di provare questo sentimento, era dentro di me».
Intanto, dalle prime ore di ieri mattina, le forze speciale dell'esercito israeliano hanno fatto irruzione nell'ospedale Nasser a Khan Younis, nel sud della Striscia. I medici senza frontiere che operano all'interno della struttura sanitaria hanno dichiarato che sono stati costretti ad abbandonare le sale operatorie in piena attività e che si contano morti e feriti. «Ci sono informazioni attendibili che nell'ospedale Nasser a Khan Yunis, Hamas abbia trattenuto alcuni ostaggi e che ci possano essere i corpi di nostri rapiti nella stessa struttura dell'ospedale», ha fatto sapere il portavoce dell'esercito Daniel Hagari.