Islam, femministe ed Lgbt assieme per la Palestina, a Roma
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Il 5 ottobre, domani per chi legge, a Roma si terrà la manifestazione per la Palestina, nonostante il divieto della Questura. Iniziativa di organizzazioni che fanno apologia di Hamas, vi partecipano anche gay e femministe. E Amnesty li difende.
Roma si prepara al peggio, per domani, 5 ottobre, è stata indetta la manifestazione per la Palestina. È vietata dalla Questura, dopo il “no” del Viminale, ma le organizzazioni che hanno lanciato l’iniziativa, a partire dai Giovani Palestinesi d’Italia e Unione Democratica Arabo-Palestinese, andranno lo stesso. Fra le organizzazioni che non si tirano indietro, oltre a numerosi centri sociali, spiccano anche associazioni Lgbt e femministe. Sono proprio queste sigle che rivelano un notevole cortocircuito culturale nell’estrema sinistra: che ci fanno in piazza a parteggiare per una causa islamica, considerando che donne e soprattutto gay sono le prime vittime dell’islam politico?
Lo stop del ministro Piantedosi non è arrivato a caso. La manifestazione si terrà sabato, come tutte quelle per la Palestina. Ma a differenza delle manifestazioni precedenti, dove si protesta per l’uccisione dei civili di Gaza e della Cisgiordania, stavolta si avvicina il primo anniversario del 7 ottobre, il giorno in cui i terroristi di Hamas uccisero nel peggiore dei modi 1200 civili israeliani e presero 251 ostaggi. Nei post degli organizzatori, non si legge alcuna presa di distanza dal crimine di Hamas, tantomeno una condanna. Ma un’esaltazione del terrorismo: «Il 7 ottobre 2023 è la data di una rivoluzione. Dopo un anno, il valore dell’operazione della resistenza palestinese e della battaglia del “Diluvio di al Aqsa” è chiaro a tutto il mondo».
È anche difficile credere che si possa definire “valorosa” un’azione in cui vengono uccisi a sangue freddo uomini, donne e bambini, uccisi nei modi più crudeli e fantasiosi per ottenere il massimo del dolore possibile, episodi di violenza estrema, degne di un’invasione barbarica, di un’invasione tartara, che i terroristi di Hamas stessi hanno filmato e diffuso sul Web.
Quando è troppo è troppo e il Viminale ha dato chiare indicazioni per non dare il permesso alla manifestazione. La questura di Roma ha vietato la marcia prevista per il 5 ottobre. La Unione Democratica Arabo-Palestinese ha fatto ricorso al Tar e il tribunale amministrativo lo ha bocciato, confermando il divieto. A questo punto: gli organizzatori invitano tutti i loro seguaci ad andare ugualmente a Roma. In questo modo si pongono decisamente fuori legge ed è chiara la ricerca di uno scontro con le forze dell’ordine.
E qui iniziano i cortocircuiti culturali. In primo luogo: Amnesty International che si schiera con gli organizzatori. «In merito alla decisione della questura di Roma di vietare la manifestazione per la Palestina in programma per il prossimo 5 ottobre, Amnesty International Italia ricorda che il diritto di protesta è protetto da diverse disposizioni sui diritti umani e in particolare dall’interazione dei diritti alla libertà di riunione pacifica e di espressione». Secondo Amnesty, i principi costituzionali della libertà di assemblea e di manifestazione «… non sembrano essere stati rispettati nel prendere questa decisione di diniego della piazza. Possibili atti o espressioni di odio antisemita, che vanno condannati nella maniera più netta, non possono essere attribuiti anticipatamente e automaticamente alla maggioranza se non addirittura alla totalità della protesta». Ma le espressioni di odio antisemita ci sono già. Basta leggere, appunto, quel che scrivono gli organizzatori.
Israele non è popolare in questi mesi. Quindi proviamo a fare esempi di manifestazioni analoghe per ricordare altri episodi di storia recente. Amnesty avrebbe difeso gli organizzatori di una marcia per celebrare il “valore” dei terroristi dell’Isis nel massacro nel Bataclan di Parigi del novembre 2015? Avrebbe detto lo stesso di una manifestazione in cui si esalta il “valore” di Al Qaeda l’11 settembre 2001? Avrebbe accettato una manifestazione di estrema destra in cui si esalta il “valore” dei nazisti nell’eccidio di Marzabotto o di Sant’Anna di Stazzema?
Altro cortocircuito è quello delle femministe più radicali, quelle di “Non una di meno” che sfideranno la Questura per scendere in piazza con i palestinesi. Perché, si legge nel loro sito: «Come femministə e transfemministə siamo dalla parte del popolo palestinese e di chi resiste rifiutando la narrazione islamofoba che dipinge lə palestinesi come un popolo di terroristə e barbarə e Israele come avamposto della democrazia. (le ə sono nel testo originale, ndr). Sappiamo ormai bene cosa è la democrazia israeliana: strumentalizzazione delle vite di donne e persone queer per giustificare crimini, genocidi, espropri, occupazioni militari: una Nakba continua. Parliamo dall’Europa, epicentro dell’ideologia colonialista, che ancora detta le sorti della Palestina. La solidarietà e vicinanza al popolo palestinese è per noi imprescindibile, per questo saremo in tutte le piazze per la Palestina, nella direzione di rendere la decolonizzazione e l’intersezionalità non solo idee, ma pratiche politiche».
In Palestina, in particolare nella Gaza governata dagli integralisti islamici di Hamas, i diritti delle donne sono repressi. «Le donne non avevano (prima della guerra, ndr) ancora pari diritti rispetto agli uomini per quanto riguarda la legge sullo stato personale, che continuava a essere soggetta alla legge religiosa – si legge nel rapporto di Amnesty International (fonte non sospetta, come abbiamo visto) - Secondo l'Ufficio centrale di statistica palestinese, il 59% delle donne e delle ragazze sposate ha subito violenza da parte del partner (…) meno del 2% delle sopravvissute ha sporto denuncia alla polizia e il 40% di questi casi è stato indagato». Le femministe di “Non una di meno” lo riconoscono e nel comunicato parlano di triplice oppressione delle donne: di classe, di genere e militare, ma la “liberazione dai sionisti” viene in questo caso anteposta alla liberazione della donna.
Ancor peggiore è la sorte degli omosessuali di Gaza e della Cisgiordania. Nel 2023, l’Onu documentava i crimini commessi nei loro confronti sia dall’Autorità Palestinese che (soprattutto) da Hamas. Fra rapimenti, sospetti, torture per far confessare i sospetti gay e uccisioni extragiudiziali, c’è un campionario da rabbrividire. Eppure, il 5 ottobre, a Roma, ci saranno anche associazioni Lgbt, come "Il campo innocente" e "Inclusiv*" al fianco dei loro persecutori.