Islam e violenza sulle donne. Domande scomode
Il 5 marzo prossimo verrà presentato alla cittadinanza milanese il “Progetto Aisha contro la violenza e discriminazione contro le donne”, promosso dal Caim. Allo stesso network fanno parte teologi che predicano a difesa della violenza sulle donne nelle loro famiglie e la superiorità del marito.
Il 5 marzo prossimo verrà presentato alla cittadinanza milanese il “Progetto Aisha contro la violenza e discriminazione contro le donne” promosso dal Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza (CAIM). A porgere i saluti istituzionali, tra gli altri, il coordinatore del CAIM Davide Piccardo e Pierfrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali del Comune di Milano che ha dato il patrocinio all’evento. Tra gli interventi sono in programma quello della coordinatrice del progetto, Sumaya Abdel Qader, e della convertita Patrizia Khadija del Monte, teologa e membro dello European Muslim Network.
Il progetto parte, senza dubbio, in buona fede e con buoni propositi: “promozione di una maggior consapevolezza rispetto alle molteplici forme con cui si può manifestare la violenza; avviare un processo di riflessione interna alla comunità islamica riguardo il tema violenza e discriminazione contro le donne, frutto di retaggi culturali e interpretazioni estremiste che vanno contro i principi della tutela della persona sanciti nella tradizione islamica”; “formare mediatrici e operatrici musulmane che possano operare nell’ambito; […] corsi di formazione volti agli imam e responsabili dei centri islamici per insegnare loro come riconoscere una violenza e/o discriminazione, come assistere chi ne è vittima, come avviare procedure di aiuto; […] corsi pre-matrimoniali rivolti alle future coppie […]” . A tutto ciò si aggiungono l’impegno all’assistenza e la prevenzione attraverso mediatrici e mediatori in seno alle comunità, la creazione di punti di ascolto e altre iniziative del tutto meritorie.
Ciononostante non si può fare a meno di notare che l’iniziativa nasce in unico contesto, quello dell’Islam organizzato/politico milanese e non solo. Sumaya Abdel Qader ricopre un importante ruolo a livello europeo, quello di responsabile della sezione Youth & Students della Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europa con sede a Bruxelles, ufficialmente espressione europea della Fratellanza Musulmana. Patrizia Del Monte, al pari di Davide e Hamza Piccardo, è membro per l’Italia dello European Muslim Network con sede a Bruxelles e presieduto da Tariq Ramadan. Nelle ultime assemblee, tenutesi a Istanbul e Tunisi, la FIOE ha ribadito l’importanza di agire a livello sociale in attività che promuovano la donna e i giovani. Purtroppo la FIOE è all’origine della creazione del European Council for Fatwa and Research con sede a Dublino e presieduto da Yusuf Qaradawi. Ebbene, nel marzo 2013 l’International Union of Muslim Scholars (IUMS) - guidata sempre da Qaradawi, il cui segretario generale Ali Qaradaghi di recente è stato ricevuto a Sesto San Giovanni presso il Centro islamico e di cui è membro Tariq Ramadan - ha emesso un comunicato in cui si giudicava inaccettabile dal punto di vista islamico la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione e della Violenza contro le Donne (CEDAW) delle Nazioni Unite poiché non consentiva il matrimonio al di sotto dei diciotto anni, perché ad esempio negava l’autorità dell’uomo sulla donna, la poligamia, la violenza in seno al matrimonio.
Si potrebbe obiettare che le posizioni della IUMS riguardino i paesi a maggioranza islamica, tuttavia uno sguardo al Corano a cura di Hamza Piccardo conferma per lo meno una sintonia con quanto affermato nel 2013. Alla nota 16 di pagina 88 si legge: “Il versetto 2 della sura XXIV prevede la fustigazione dei fornicatori non coniugati e, basandosi sulla sunna dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di Lui), le quattro scuole canoniche di diritto affermano l’esistenza di casi in cui debba applicarsi la pena di morte mediante lapidazione. La questione è complessa e le condizioni per la comminazione della pena di morte sono talmente restrittive da rendere, di fatto, molto difficile la sua applicazione”. Alla nota 21 di pagina 89 si legge che “i giuristi hanno ritenuto che in base a questo passo sia lecito costringere una donna al divorzio mediante compenso in caso abbia commesso una ‘palese infamità’: adulterio, insubordinazione, ostilità nei confronti del marito.” Alla nota 43 di pagina 91 si affronta la questione della violenza: “Detto questo si può ben capire perché il Corano fornisca al marito gli strumenti per fronteggiare l’insubordinazione della moglie prima di arrivare all’estremo rimedio del divorzio: rimprovero, esclusione dalla affettività e dal rapporto coniugale, punizione fisica. In proposito di quest’ultima si noti che la Sunna dell’Inviato l’ha sconsigliata con fermezza e, in caso estremo, l’ha permessa a condizione di risparmiare il volto e che i colpi vengano inferti con un fazzoletto o con il siwak.” Alla nota 185 di pagina 55 Hamza Piccardo commenta: “In un penoso sforzo di omologare l’islam alla cultura moderna, alcuni commentatori modernisti hanno scritto che la superiorità [degli uomini] riguarda solo il diritto dell’uomo al ripudio della moglie, facoltà che non gode di reciprocità. In realtà si tratta di qualcosa di molto più importante e fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio, individuale, familiare e sociale. L’uomo e la donna sono due realtà complementari imprescindibili l’una dall’altra […] ma oltre alla complementarietà c’è un problema di guida nella famiglia, che non significa predominio, oppressione o disconoscimento della prevalenza femminile in una quantità di settori e circostanze. Allah affida questo ruolo di dirigente al maschio.”
Alla nota 95 di pagina 103 si affronta la tematica della poligamia: “Molti orientalisti e persino alcuni musulmani occidentalizzati hanno voluto leggere in questo versetto una ‘proibizione implicita’ della poligamia. Argomentano che Allah afferma l’impossibilità per il marito poligamo di comportarsi equamente con le sue spose e che, essendo la giustizia una condizione irrinunciabile del rapporto matrimoniale, ergo la poligamia è permessa, ma impossibile. Si tratta in realtà di un penoso sforzo per rendersi accetti a coloro che (ce lo dice l’Altissimo) ‘non saranno mai soddisfatti di te’. La Sunna dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui), la pratica di vita dei suoi Compagni, il diritto islamico affermano nettamente il contrario. Il versetto chiarisce che ci deve essere comunque l’intenzione di essere equi e che devono essere evitate tutte le situazioni limite come quella di non ripudiare una moglie ma al contempo ignorarla.” Alla nota 118 a pagina 107 si illustrano le motivazioni per cui a una donna spetta metà dell’eredità di un uomo: “questa disposizione potrebbe sembrare inficiata di parzialità, ma non è così. Esaminiamone le ragioni: a) la femmina viene mantenuta dal padre, dal fratello e poi da suo marito, figlio ecc… per tutto quello che riguarda alloggio, cibo e vestiario; b) al matrimonio riceve la dote sul quale né il padre o gli altri parenti hanno alcun diritto; c) nei confronti degli uomini non ha nessun obbligo, nemmeno quello di allattare il suo neonato (in tal caso il padre deve trovare e pagare una balia). Nonostante tutto ciò essa eredita dal padre, dal marito, dai figli e da altri parenti.”
Al punto di riferimento primario ovvero la traduzione italiana del Corano sotto la supervisione dell’UCOII si aggiunge la sponsorizzazione dell’evento del 5 marzo da parte di Islamic Relief Italia che alla scorsa Notte della Speranza aveva inizialmente invitato il predicatore islamico Omar Abdelkafy le cui posizioni sono per lo meno controverse e misogine.
A questo punto è quanto meno lecito domandarsi quali siano i riferimenti dottrinali del progetto Aisha, quali siano i teologi e le teologhe che verranno proposti agli imam da formare onde evitare la discriminazione e la violenza contro le donne. Sumaya Abdel Qader è senza dubbio un esempio di donna musulmana ideale: madre, moglie e attivista a livello europeo in seno all’islam organizzato. Tuttavia agisce in un contesto dove la donna, forse lei stessa, è strumento per mantenere il potere della “casta”. Il destino ha d’altronde voluto che la maggior parte dei leaders legati ideologicamente alla Fratellanza avessero per lo più figlie femmine, come nel caso di Rached al-Ghannouchi.
Un’ultima riflessione sul progetto Aisha non può non riguardare ragazze come Hina Saleem e Sanaa Dafani che sono state uccise dagli “uomini della famiglia”, ovvero coloro che erano loro preposti, perché desideravano un fidanzato italiano e volevano uscire dagli schemi della tradizione/religione. Ebbene, Hina e Sanaa si sarebbero rivolte a un imam, a una mediatrice musulmana praticante per risolvere il loro dilemma? Credo di no. Le associazioni che afferiscono al CAIM hanno mai condannato, o si sono mai presentate come parte civile durante i loro processi? Purtroppo no.
E’ risaputo che una ragazza pakistana, ad esempio, vorrà come mediatore un/una pakistana perché troppo legata alla comunità di appartenenza. Il progetto Aisha, nonostante i buoni presupposti, rischia di creare un ghetto, luoghi in cui i panni sporchi si lavano in famiglia, rischia di restare uno spot politico più che un vero strumento per migliorare la condizione delle donne musulmane. Rischia di rivolgersi alle musulmane praticanti escludendo le non praticanti, che sono tante e che spesso sono vittime della radicalizzazione dei mariti.
Il Comune di Milano e il CAIM dovrebbero seriamente riflettere e rivelare su quali presupposti dottrinali si basa il progetto, nella speranza che la risposta non sia né il commento al Corano curato da Hamza Piccardo, né le fatawa del European Council for Fatwa and Research né i testi di Yusuf Qaradawi o di uno dei suoi discepoli.