Iraq, cristiani senza scampo
In dieci anni il numero dei cristiani in Iraq si è ridotto a meno di un terzo, e ora la fuga sta accelerando sotto i colpi dei qaedisti dell'Isis: cinque donne cristiane si sono suicidate dopo essere state violentate.
«Quali parole dire ai fedeli? Come invitare per l’ennesima volta alla speranza dopo anni di omicidi, rapimenti, violenze, vessazioni e discriminazioni?». È certamente una delle prime domande che i rappresentanti della Chiesa irachena si sono posti dopo che lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) ha invaso un’ampia area del paese.
Parlando con la fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, monsignor Saad Syroub ha espresso dolore e frustrazione per un destino apparentemente ineluttabile. «Oggi la nostra gente ci lascia e noi non possiamo impedirlo. Quale ragione potremmo dar loro per rimanere? Come possiamo garantire che il loro futuro sarà migliore?». Il nunzio apostolico in Iraq, monsignor Giorgio Lingua, ha sottolineato le stesse difficoltà in un’intervista ad oltreradio.it. «Possiamo soltanto incoraggiare i cristiani a non perdere la speranza. È chiaro che il loro desiderio di lasciare il paese è grande e in questo momento è difficile chiedere loro di restare per il bene della società».
Intanto continuano a giungere notizie delle atrocità commesse dai miliziani dell’Isis e stando a quanto denunciato all'emittente "Al Iraqiya" dal ministro iracheno per i Diritti umani, Mohammed Shia' al Sudani, cinque donne cristiane si sarebbero suicidate dopo essere state violentate dai jihadisti.
Non è difficile immaginare le conseguenze che quest’ultimo capitolo del dramma iracheno avrà sull’ormai decimata comunità cristiana locale. Schiacciata nell’eterna lotta tra sciiti e sunniti o perseguitata in ragione della propria fede, in questi undici anni la minoranza cristiana non ha mai trovato pace e la Chiesa ha assistito all’esodo incessante dei propri fedeli. Si stima che dall’inizio della guerra nel 2003 ad oggi il numero dei cristiani in Iraq sia precipitato da oltre un milione ad appena 300mila. Un dato confermato dall’altissima percentuale di cristiani tra gli iracheni rifugiati all’estero: oltre il 40% rispetto ad una media nazionale di appena il 2%.
Mosul rappresenta un chiaro esempio del martirio cristiano. Qui dei 35mila cristiani presenti nel 2003 ne sono rimasti appena 3mila, fino alla notte tra il 9 ed il 10 giugno scorsi quando i miliziani dell’Isis si sono impadroniti della città costringendo oltre 500mila abitanti alla fuga. Tra loro quasi l’intera comunità cristiana, terrorizzata dall’organizzazione legata ad al-Qaeda nota per gli efferati attacchi anti-cristiani commessi in Siria. «Ora quasi tutti i fedeli hanno lasciato Mosul e chissà se potranno mai farvi ritorno», ha dichiarato due giorni dopo l’attacco ad ACS monsignor Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo della città.
Mentre i terroristi marciavano verso Bagdad conquistando altri centri importanti come Tikrit e Baiji, dove ha sede la principale raffineria petrolifera del paese, in migliaia hanno cercato rifugio nella piana delle Ninive e nel Kurdistan iracheno. Monsignor Giorgio Lingua ha raccontato che «nei villaggi cristiani di quest’area, come ad esempio Alqosh, sono state accolte anche tante famiglie musulmane. Una bella testimonianza di solidarietà, nonostante regni in tutti una grande apprensione per il futuro». I rifugiati sono stati alloggiati nelle scuole e nelle case abbandonate, ma ora nell’intera zona vi è un’emergenza umanitaria soprattutto a causa dell’interruzione della fornitura idrica da parte dell’Isis. «Anche i rifornimenti di carburante stanno finendo e la corrente elettrica è disponibile soltanto una o due ore al giorno. Un ulteriore disagio, specie con temperature che sfiorano i 40 gradi, che si aggiunge alla grave mancanza di viveri».
Il diplomatico vaticano ha inoltre riferito di una «preoccupante» manifestazione organizzata sabato scorso a Baghdad dall’esercito iracheno per reclutare nuovi volontari. «La speranza è che non si arrivi a quanto tutti temono, ovvero uno scontro violento».
La Chiesa d’Iraq auspica fortemente in una risoluzione interna. «Non credo sia necessario un intervento della comunità internazionale – ha detto ad ACS l’arcivescovo di Bagdad dei latini, monsignor Jean Benjamin Sleiman – l’Isis può essere fermato soltanto se i leader iracheni riusciranno a lavorare insieme. La loro collaborazione è molto più importante di qualsiasi aiuto esterno». Monsignor Syroub chiede invece alla comunità internazionale, Stati Uniti in primis, di esercitare una maggiore pressione affinché le diverse fazioni interne trovino un accordo. «È passata più di una settimana dall’invasione dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante a Mosul e ancora non vi è un progetto politico comune – ha rilevato - Soltanto un Iraq compatto e riconciliato al suo interno potrà reagire ai pericoli esterni. Sciiti e sunniti devono comprendere che con la violenza non si risolve nulla». Un appello alla collaborazione condiviso da monsignor Lingua: «Non è il momento di cercare colpevoli o stabilire chi abbia torto o ragione. Ora è il momento di sedersi e dialogare».