Iran, su Israele un attacco "soft" in attesa della vittoria a Gaza
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Dopo il nutrito lancio di droni e missili nella notte tra sabato e domenica (neutralizzati dalle forze israeliane al 99%), l'Iran dichiara chiusa la questione a meno che Israele «non commetta altri errori». Teheran punta sull'impossibilità di Israele di eliminare Hamas.
- Israele reagirà? Gli alleati lo frenano di Stefano Magni
L’Iran ha lanciato contro Israele un attacco consistente con l’impiego di circa 330 ordigni tra droni, missili da crociera e balistici ma dal valore simbolico e dimostrativo, colpendo un numero imprecisato di obiettivi, limitati a quanto sembra ai siti militari israeliani coinvolti nell’attacco condotto contro il consolato iraniano a Damasco il 1° aprile. Allora sono rimasti uccisi 7 ufficiali del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, inclusi due generali.
L’Iran, che finora ha evitato di farsi coinvolgere nel conflitto iniziato il 7 ottobre scorso con l’attacco di Hamas al territorio israeliano (rispetto al quale si è dichiarato estraneo) non poteva non rispondere al raid israeliano; un attacco che aveva con ogni probabilità proprio lo scopo di obbligare l’Iran a entrare nel conflitto determinando così un ricompattamento delle relazioni con gli Stati Uniti e le potenze occidentali che da tempo chiedono al governo israeliano di fermare le operazioni nella Striscia di Gaza.
Israele ha ammesso che diversi missili balistici (una dozzina almeno secondo alcune fonti) hanno colpito la base aerea di Nevatim, nel deserto del Negev, la più importante dell’aeronautica Israeliana, lontana da infrastrutture civili e quindi dal rischio di provocare vittime civili, e da dove erano decollati gli F-35 che hanno colpito il consolato iraniano a Damasco.
Altri obiettivi potrebbero essere stati colpiti nelle alture del Golan, occupate da Israele dal 1967, ma che non fanno parte del territorio dello Stato ebraico. Le milizie Hezbollah dal sud del Libano le hanno bersagliate nella notte con l’obiettivo forse di saturare le difese aeree israeliane e favorire gli attacchi dei droni e dei missili iraniani.
Fonti militari israeliane hanno riferito che gli attacchi - condotti da 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici - hanno prodotto solo "danni minori” alla base di Nevatim e che il 99% dei circa 300 proiettili lanciati dall'Iran contro Israele durante la notte sono stati intercettati dalle difese aeree e dagli alleati statunitensi, britannici, francesi e giordani che con missili e aerei hanno contribuito a colpire diversi droni nello spazio aereo iracheno e siriano.
Lo Stato Maggiore iraniano sostiene invece che l'attacco ha portato alla distruzione di due importanti siti militari israeliani. Un comandante dei pasdaran ha spiegato ad al Jazeera che «avremmo potuto lanciare un'operazione su vasta scala, ma abbiamo individuato obiettivi specifici nei territori occupati. La nostra operazione è stata limitata e di successo e abbiamo colpito i siti che costituivano il punto di partenza per prendere di mira il nostro consolato in Siria».
«La questione può dirsi chiusa» a meno che, dopo il bombardamento del consolato iraniano nella capitale siriana Damasco, Israele «non commetta un altro errore», ha fatto sapere la rappresentanza di Teheran presso le Nazioni Unite, che ha aggiunto: questo «è un conflitto tra l'Iran e il regime canaglia israeliano, dal quale gli Stati Uniti devono stare lontani».
L'Iran è pronto a sferrare un attacco ancora più duro contro Israele nel caso in cui dovessero mettere in atto delle rappresaglie, ha affermato il capo di stato maggiore iraniano Mohammad Bagheri parlando alla tv di Stato.
In termini militari la difesa aerea di Israele sembra quindi aver retto bene all’urto di 300 ordigni iraniani tra droni, missili da crociera e balistici ma occorre comprendere quante ondate di attacchi di queste proporzioni sia in grado di alimentare l’Iran (probabilmente molte) e quante possa reggerne la difesa aerea israeliana prima di esaurire i missili Tamir del sistema Iron Dome e gli Arrow 3.
In quest’ottica il “messaggio” lanciato dall’Iran ha un chiaro valore di deterrenza soprattutto in vista di una possibile reazione israeliana, che però la Casa Bianca vorrebbe ad ogni costo venisse evitata considerando le imminenti elezioni e le contrapposte pressioni sul Partito Democratico della componente ebraica (che vuole maggiori aiuti militari USA a Israele) e dell’elettorato più giovane e islamico (solidali con la causa palestinese).
Al momento Israele ha conseguito un successo: la Camera americana ha rivisto il calendario e accelerato l'esame del decreto per l’invio di nuovi aiuti a Israele in seguito all'attacco dell'Iran contro lo Stato ebraico.
Le autorità israeliane devono invece incassare il rifiuto di Hamas ad accettare l'offerta avanzata da Israele la settimana scorsa al Cairo per una tregua. Lo hanno dichiarato in una nota l'ufficio del primo ministro israeliano e del Mossad in cui si ribadisce che «Israele continuerà a lavorare per raggiungere i suoi obiettivi - si legge nella dichiarazione - e getterà ogni pietra per riportare indietro i 133 ostaggi da Gaza il prima possibile».
Né l’Iran né gli USA hanno interesse a un’escalation del conflitto ma le crescenti pressioni dell’Occidente affinché Israele rallenti o cessi le operazioni a Gaza costituiscono un elemento dal valore strategico e un grande vantaggio per l’Iran e i suoi alleati. Dopo aver sostenuto per mesi il diritto di Israele di andare fino in fondo chiudendo la partita con Hamas, l’Occidente non ha retto politicamente e psicologicamente al gran numero di civili uccisi (ma le cifre le fornisce Hamas) premendo sul governo Netanyahu affinché fermi le operazioni e rinunci ad attaccare la roccaforte di Rafah.
Già negli anni scorsi Israele ha dovuto fermare per ben due volte l’offensiva a Gaza contro Hamas sull’onda delle pressioni per le vittime civili provocate dalle operazioni militari. Se oggi Israele cedesse a queste pressioni occidentali uscirebbe sconfitto dalla guerra iniziata da Hamas il 7 ottobre e il movimento islamico proclamerebbe la vittoria consolidando il suo prestigio e catalizzando in tutto il mondo arabo e islamico l’odio nei confronti di Israele. Un simile esito, che a Teheran molti vedono come molto probabile, costituirebbe un grande successo anche per l‘Iran e la sua influenza dal Golfo al Mediterraneo.
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