“Io non sono una droga”. L’inganno-cannabis continua
Striscioni con la scritta “Io non sono una droga” per pubblicizzare il prossimo International Cannabis Expo di Milano, in cui si parlerà dei vari usi della canapa, nonché della cannabis light, un espediente per legalizzare la sostanza da fumo. Alfredo Mantovano spiega alla Nuova BQ che serve una campagna informativa da parte del governo per mettere in guardia sui danni della marijuana.
Da droga a “droga leggera” a “non-droga”, il passo è piuttosto breve, giusto il tempo di una ben studiata propaganda che si protrae da anni e va progressivamente conquistando giovani e meno giovani, spesso ignari dei rischi. Chi attraversa in questi giorni le vie di Milano può imbattersi in grandi striscioni che raffigurano il noto simbolo della cannabis accanto questa scritta: «Io non sono una droga». Stesso messaggio e stesso simbolo a campeggiare nell'immagine che ha il Duomo come sfondo: Maria Santissima non si vede, vediamo invece la foglia di marijuana. Non servono altri commenti.
Questi striscioni e questi loghi sono alcuni dei mezzi con cui si sta promuovendo il prossimo International Cannabis Expo, che si terrà a Milano dal 3 al 5 maggio, una vera e propria fiera internazionale della canapa in uno spazio di 8.000 metri quadrati, con 150 espositori e un gran numero di relatori che parleranno dei suoi usi industriali, cosmetici, alimentari, tessili, ornamentali e medici (termine che non equivale a “terapeutici”, come si legge invece sul sito ufficiale della fiera), nonché della furbescamente detta “cannabis light”, la cui espressione risponde a logiche di business e si inserisce nel solco della campagna per arrivare alla totale legalizzazione della sostanza da fumare. Tra i relatori ci sono pure pannelliani, come la presidente dei Radicali Italiani, Barbara Bonvicini, collaboratrice del consigliere regionale Michele Usuelli, eletto con +Europa, che è colui che ha proposto la delibera, approvata all’unanimità, sulla creazione in Lombardia di un polo per la produzione di cannabis “terapeutica”. Un espediente, come accennato.
Non per nulla l’evento milanese è anche detto 4.20 Hemp Fest, dove “hemp” è il termine inglese per canapa e i numeri “4.20” sono un omaggio alla storia che il sito della fiera riporta testualmente così: «Nell’autunno del 1971 cinque ragazzi della San Rafael High School, in California vengono a sapere dell’esistenza di una piantagione di Marijuana abbandonata nelle vicinanze di Point Reyes, a un’ora di macchina dalla scuola. I ragazzi alle 4.20, partono alla ricerca della piantagione con una Chevrolet Impala. La ricerca, però fu un buco nell’acqua, ma i ragazzi continuarono a incontrarsi ogni giorno alle 4.20 e il numero divenne il loro codice, che pian piano si diffuse tra i compagni di scuola e per tutta San Rafael. Questa è solo una delle tante leggende che ruotano attorno al numero 4.20. Negli Stati Uniti il 20 Aprile è diventata la giornata nazionale della Cannabis con feste e raduni immersi nel verde».
I cinque ragazzi in cerca della marijuana abbandonata e i raduni “immersi nel verde” sono proprio alta poesia… Del resto, nel caso qualcuno avesse ancora dubbi sull’obiettivo più pericoloso che si cela dietro un evento del genere, questo festival è divenuto di portata mondiale nel 2018, ma si è tenuto, in forma minore e sempre a Milano, già nel 2016 e 2017, con il titolo di European Psychedelic Hemp Fest. Esatto, psychedelic. Prima definizione di psichedelico nello Zingarelli: «Detto specialmente di droghe che provocano dilatazione della coscienza, allucinazioni, fenomeni di evasione dalla realtà». Insomma, mescolando abilmente usi leciti e usi illeciti, è chiaro che chi ha pianificato questo festival vuole la marijuana libera. Lo slogan «Io non sono una droga» con accanto la cannabis è quindi altamente ingannevole.
Come spiega alla Nuova Bussola il magistrato Alfredo Mantovano: «È evidente che si gioca sull’equivoco, nel senso che nel programma di questa tre-giorni c’è di tutto. Facciamo un’analogia: chi vende prodotti contraffatti, se è un professionista della contraffazione, non venderà mai solo capi contraffatti, venderà anche capi autentici e poi ogni tanto ne infilerà qualcuno contraffatto perché così riesce meglio l’inganno del prossimo».
Il cavallo di Troia, per arrivare alla legalizzazione tout court, è oggi rappresentato dagli usi medici della cannabis come palliativo (peraltro una seconda scelta, come ha spiegato il neuroscienziato Giovanni Serpelloni su questo quotidiano e come conferma pure un recente studio pubblicato dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze), al cui riguardo Mantovano fa quest’altra osservazione: «È chiaro che i derivati della cannabis vengono utilizzati non da pochi giorni bensì da anni nella pratica medica, ma anche gli oppiacei vengono adoperati nella pratica medica - basti pensare alle anestesie - eppure nessuno ha mai fatto una manifestazione pubblica per dire “oppio libero per tutti”. Qui il messaggio che passa è che la cannabis non faccia male e lo sviluppo logico è arrivare a dire addirittura che faccia bene». Cosa che non è, come ci ricordano una quantità di dati sui danni fisici e in particolare cerebrali, di cui si sono accorti perfino quotidiani liberal come il New York Times e il Wall Street Journal.
Secondo Mantovano, il messaggio contenuto negli striscioni dell’evento gioca sull’ambiguità permessa da un contesto culturale in cui è diminuita la percezione del rischio e da un quadro normativo indebolito nel tempo, «a motivo di una legislazione folle. Nel frattempo sono stati fatti aprire tanti negozi [di cannabis light, ndr] e il parlamento ha incardinato delle proposte di legalizzazione, come se non bastasse già la modifica intervenuta 5 anni fa», con l’indebolimento del testo unico sulla droga, il Dpr 309/1990.
Quindi, l’ex parlamentare, oggi consigliere alla Corte di Cassazione, ritiene che la migliore risposta a un evento come quello di Milano sia «una campagna informativa sui danni della cannabis, fermo restando che se durante il festival dovesse succedere qualche reato è giusto che si intervenga. Ma intanto mi aspetto una campagna istituzionale che metta in guardia, con tutti gli strumenti a disposizione, sui rischi dell’assunzione dei derivati della cannabis. Dal governo dipende per esempio il Dipartimento Antidroga, che fa capo alla Presidenza del Consiglio: è un ottimo dipartimento fatto di professionisti che elaborano continuamente analisi utili e potrebbe essere la base per un’iniziativa nazionale in cui gli addetti ai lavori spieghino le ragioni per cui la cannabis fa male».