Lombardia: sì alla cannabis terapeutica ma l'Ue contesta
Il 4 dicembre il consiglio regionale lombardo ha votato all’unanimità una mozione per creare un polo di produzione di cannabis «terapeutica», sebbene non si guarisca mai grazie ad essa. Inoltre, proprio questa settimana, anche l'uso palliativo è stato smentito dall'Osservatorio europeo delle droghe e dagli esperti. Si capisce che ai Radicali non interessano i malati ma una propaganda utile a dare un'immagine positiva alla droga per arrivare a legalizzarla.
La Lombardia cade nella trappola tesa dai Radicali sulla cannabis, assecondandone la propaganda sull’indimostrato «uso terapeutico» che non è altro che un cavallo di Troia per preparare il terreno all’obiettivo vero, cioè la legalizzazione del suo uso come droga da fumare. Il 4 dicembre il consiglio regionale lombardo ha votato all’unanimità, con 76 “sì” su 76 presenti, la mozione presentata dall’unico consigliere radicale al Pirellone, Michele Usuelli (eletto con il partito di Emma Bonino, + Europa), che impegna la giunta a creare un polo di ricerca e produzione per la cannabis «ad uso terapeutico», alternativo a quello già esistente sul territorio italiano, ossia lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Un emendamento del leghista Emanuele Monti ha proposto che questo nuovo polo venga costituito presso il Policlinico di Milano.
La giunta lombarda, guidata da Attilio Fontana, ha già dato parere favorevole all’intera mozione. Il documento presentato da Usuelli parla della crescente domanda dei farmaci a base di cannabinoidi, di un’insufficiente produzione da parte dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze e di costi di importazione «pari a 4,2 milioni di euro per 700 kg di infiorescenze», sostenendo «la possibilità di aumentare la produzione nazionale a costi dimezzati». A parte il fatto che il dimezzamento dei costi sarebbe eventualmente tutto da provare, e non è peregrino credere che si formi un nuovo “carrozzone” sulla cannabis tale da arrivare perfino a una crescita della spesa, prima dei costi bisognerebbe valutare i rischi per la salute e se davvero vi è l’urgenza di spingere per la produzione di una sostanza simile.
Il neuroscienziato Giovanni Serpelloni, ex capo del dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio (luglio 2008 - aprile 2014), ha già spiegato in un’intervista con la NuovaBQ che l’asserito uso terapeutico della cannabis è una menzogna, perché essa «ha solo un effetto sintomatico», nel senso che può attenuare la percezione di alcuni sintomi ma non è in grado di curare la malattia. Perciò si dovrebbe parlare propriamente solo di uso medico. A dispetto dell’evidenza, la mozione d’iniziativa radicale abusa invece frequentemente del termine «terapeutico» arrivando a dire che l’insufficienza di farmaci a base di derivati della cannabis ha «in molti casi» comportato «l’interruzione del piano terapeutico, della continuità della cura e la conseguente possibilità di valutare gli effetti dell’efficacia della terapia», facendo subdolamente pensare che dalla cannabis dipenda la prosecuzione della terapia stessa. Ma, come detto, non si guarisce grazie alla cannabis. Inoltre, anche relativamente al suo uso palliativo, «la cannabis è considerata di seconda scelta» perché - chiarisce il neuroscienziato - «se hai un dolore profondo la cannabis non ti fa nulla». Nel suo uso medico è quindi ben lontana dall’essere una panacea come invece la celebrano, a fini strumentali, i Radicali, creando false aspettative nei malati.
Abbiamo chiesto a Serpelloni un commento sull’approvazione della mozione lombarda, che lui vede come un pretesto per diminuire la generale percezione del rischio della cannabis al di fuori dell’uso medico e arrivare alla sua legalizzazione come droga. Per questo, malgrado la mancanza di prove sulla sua efficacia, la cannabis gode di un percorso privilegiato: «Ben vengano dei rimedi che possano lenire le sofferenze umane, però sperimentiamoli scientificamente, non si capisce perché bisogna fare sconti scientifici alla cannabis. L’efficacia e la sicurezza devono essere provate secondo protocolli rigorosi come per tutti i farmaci», dice Serpelloni, ricordando che anche per gli usi palliativi la cannabis non eccelle: «Ci sono un sacco di farmaci e di rimedi alternativi che funzionano meglio e hanno meno effetti collaterali».
Il neuroscienziato manifesta quindi il fine dell’iniziativa radicale: «Coloro che portano avanti la legalizzazione della cannabis per uso medico sono anche coloro che portano avanti la legalizzazione della cannabis per “uso ricreativo” [cioè come droga, ndr] e che portano avanti la rete commerciale, con tutti i negozi che oggi vendono la cosiddetta cannabis light», di cui lo stesso Serpelloni ha già sottolineato gli aspetti negativi in un intervento su questo quotidiano.
A raccomandare prudenza sulla cannabis a uso medico è anche lo scienziato Silvio Garattini, fondatore e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, che in una conferenza ad hoc tenuta a maggio ha detto che sugli eventuali benefici «c’è ancora poca conoscenza scientifica» e che «va seguito quello che è l’iter normale per ogni farmaco», perché «accanto ai principi attivi che conosciamo, ci sono tantissimi altri tipi di sostanze sulla cui efficacia non sappiamo nulla». Continua Garattini: «Su tutte le indicazioni c’è poca conoscenza di quali siano i reali vantaggi terapeutici, perché gli studi disponibili non sono sempre di buona qualità e ne abbiamo comunque pochi. Non conosciamo i rapporti fra benefici e rischi, dovremmo indagare sugli effetti collaterali, in particolare sul sistema nervoso centrale, su eventuali interazioni con altri farmaci che si prendono in contemporanea». Il direttore del “Mario Negri” chiarisce che saremmo «felici di avere nuovi farmaci, ma oggi la realtà è che nei lavori disponibili mancano studi comparativi con prodotti che si usano normalmente per indicazioni come il dolore o la sclerosi multipla».
Tutte considerazioni che stonano con la celebrazione della cannabis ‘miracolosa’, soggetta tra l’altro a possibili usi inappropriati nello stesso campo medico. Lo spiega ancora Garattini: «Essendoci un vasto spettro di indicazioni teoriche, ma scarsa documentazione scientifica, ci troveremo in molti casi in condizione di avere degli usi non appropriati. C’è da fare molto per scremare tra le tante informazioni esistenti, spesso aneddotiche e non ottenute secondo le regole degli studi clinici controllati».
Ma ancora più clamoroso è stato l'"alt" dell'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (ente dell’Unione europea) che questa settimana ha pubblicato lo studio Medical use of cannabis and cannabinoids da cui risulta che le prove per dire che la cannabis aiuti ad alleviare i dolori e i sintomi dei malati sono scarse. Figurarsi quindi se possa essere considerata una terapia. Nella tabella che riassume il rapporto, infatti, si legge che per quanto riguarda le cure palliative dei pazienti con il cancro, i cannabinoidi hanno effetti insufficienti, lo stesso vale per i disturbi del sonno, per l'ansia, la depressione e le patologie neurodegenerative. Debole il suo effetto anche su nausea e vomito da chemioterapia e troppo modesto per il dolore cronico, neuropatico e per l'epilessia infantile.
Alla luce di tutto questo colpisce ancora di più l’unanimità sulla cannabis - dal sì prevedibile del centrosinistra a quello del centrodestra, passando per il Movimento 5 Stelle - al Consiglio regionale lombardo. Cassandre neanche a sognarne, nemmeno una voce fuori dal coro su 76 consiglieri votanti, nessuno che si accorga dell’inganno. Subito dopo il voto, il radicale Usuelli ha commentato trionfante: «Abbiamo mandato un segnale forte a livello nazionale. E ci siamo comportati da terza Camera dello Stato». Già, l’obiettivo è il livello nazionale. L’uso «terapeutico» della cannabis è il cavallo di Troia, e i novelli achei stanno già affilando le armi per il definitivo attacco che punterà alla sua legalizzazione.