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MALAGIUSTIZIA

«Io, detenuta ingiustamente, soffro di attacchi di panico»

La storia incredibile di malagiustizia di Greta Gila, modella ungherese che alla Bussola racconta il suo calvario durato dieci mesi in Italia. Scambiata in aeroporto per una narcotrafficante ha ricevuto appena 22mila euro di risarcimento, che la stessa Corte d'Appello ha riconosciuto insufficienti per quello che ha subito. 

Attualità 12_05_2022

Pochi giorni fa la Corte d'Appello di Roma ha accolto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione di Greta Gila e le ha riconosciuto 22.200 euro, dichiarando inoltre che la somma prevista dalla legge in questi casi è troppo esigua e costituisce solo un indennizzo.

Le chiamano storie a lieto fine, ma di lieto nella vicenda di questa ragazza c'è davvero poco. Lei è una modella ungherese di 21 anni, già candidata alla fascia di Miss Ungheria, quando nel 2019 si trova a fare i conti con la difettosa macchina della giustizia italiana. In Italia dovrebbe rimanere appena qualche ora per fare scalo in Giappone. Ci trascorre, invece, dieci mesi della sua vita divisi tra carcere e obbligo di firma. La sua disavventura comincia quando viene ingaggiata online da un'agenzia di moda per uno shooting fotografico a Tokyo. All'aeroporto di Fiumicino incontra per la prima volta il manager che l'ha assunta ed insieme si mettono ad attendere la costumista per la prova dei vestiti di scena. L'attesa si fa più lunga del previsto e l'uomo, innervosito, dice a Greta di precederlo in hotel. E qui cominciano i problemi della ragazza perché la costumista, atterrata dal Brasile, non trasporta soltanto abiti in valigia ma anche 10 kg di cocaina. Scoperta e bloccata alla dogana, la donna a quel punto cerca di alleggerire la propria posizione scaricando la responsabilità sull'ignara Greta ed accettando di portare le forze dell'ordine sulle sue tracce.

Immaginate di trovarvi da sola in una camera d'albergo in attesa di una persona che non avete mai visto in vita vostra, in un Paese straniero del quale non sapete parlare la lingua e che contate di abbandonare nel giro di poche ore. Quando la costumista le bussa alla porta, osservata a vista dai finanzieri, la modella fa un grave errore che le verrà poi imputato per convalidare l'arresto: la saluta "amichevolmente". E' proprio Greta Gila a raccontarci quei momenti di confusione e di terrore da cui è scaturita la sua odissea giudiziaria e che hanno spezzato - proprio in un aeroporto - una carriera in rampa di lancio nella moda.

Quando ha aperto la porta della camera, non ha capito cosa stava succedendo?
No, perché fuori, in piedi sulla soglia, ho visto soltanto la costumista. Così l'ho fatta entrare e poi sono andata verso il letto per iniziare una conversazione. Ma quando mi sono girata, ho avvertito che c'erano degli uomini dietro di me. Non ho realizzato che fossero forze dell'ordine perché erano in borghese e sono entrati di soppiatto dietro alla donna. Ero davvero spaventata ed ho pensato che fossero lì per rapirmi.

Il mio timore era che volessero stordirmi per portarmi in un altro Paese a fare la prostituta. In quegli attimi ho avuto paura che non avrei mai più rivisto la mia famiglia. Sono rimasta traumatizzata perché è successo tutto così in fretta; mi sembra ancora oggi di rivivere quella scena al rallentatore in testa. Poi quegli uomini hanno cominciato a gridare "polizia".

Il giorno dopo è stata portata in commissariato. Qui è riuscita a capire di cosa la accusavano? 
In commissariato mi hanno detto che ero in arresto. Fino a quel momento, non immaginavo che sarei finita in prigione. Ho mostrato agli inquirenti tutti i messaggi con il manager che, ovviamente, riguardavano il mio ingaggio come modella e nient'altro. Ho spiegato loro più volte che non avevo idea di cosa fosse davvero successo, ma non c'era nessuno capace di comprendere l'ungherese. E nessuno ha cercato un interprete. Comunicavo solamente con due persone che parlavano a malapena l'inglese.

A questo punto le viene applicata la custodia cautelare in carcere. C'era il pericolo di fuga?
Non ho idea del motivo per cui sono stata arrestata. Non avevo intenzione di scappare perché la mia coscienza era pulita. L'ingresso in carcere per me è stato davvero spaventoso perché non avevo proprio idea di cosa potesse attendermi. Mi chiedevo: "cosa mi succederà? che tipo di persone troverò?".

Dalla prospettiva di un bel lavoro nella moda a Tokyo alla detenzione in una cella a Civitavecchia. Con quale stato d'animo ha affrontato l'esperienza da reclusa?
Non ho mai perso la speranza! Mi svegliavo ogni giorno dicendo a me stessa che sarei uscita presto. Al mattino, era molto difficile realizzare nella mia mente che ero veramente in prigione, ma sapevo che se avessi perso la mia fiducia, avrei perso tutto. Così ho scritto su un pezzo di carta: "Uscirai presto". Ogni mattina, al risveglio, quella scritta era la prima cosa che vedevo. Quindi me ne sono convinta nel subconscio ed ero sicura che la verità avrebbe prevalso.

La sua famiglia è riuscita a trovarle un avvocato a Roma in grado di parlare ungherese, Massimiliano Scaringella. E' stato lui a far notare quelli che chiama "gli errori a monte dell'incarcerazione" e a farle ottenere, dopo 74 giorni in cella, l'obbligo di firma alla polizia giudiziaria. Ma la scarcerazione non ha significato la fine del suo incubo.
Dovevo andare in questura tre volte a settimana per firmare e dimostrare che non avevo lasciato il Paese. Il danno materiale subìto dalla mia famiglia è poca cosa in confronto al fatto che ancora oggi, dopo tre anni, subisco attacchi di panico e sono paranoica. Non sono arrabbiata con nessuno in particolare, ma con la giustizia sì. Non solo i tre mesi trascorsi in prigione, ma anche i sette mesi in cui ho dovuto vivere in Italia perché pensavano che potessi scappare mi hanno annichilita mentalmente ed emotivamente. Oggi non c'è nessuno al mondo di cui mi possa fidare. In un certo senso, la ragazza che ero una volta è morta durante quei dieci mesi in Italia.

Alla fine è arrivata la richiesta di archiviazione da parte della stessa procura per "infondatezza nella notizia di reato nonostante le lunghe indagini". Oltre alle conseguenze economiche e a quelle psico-fisiche appena descritte, cosa le ha comportato quest'esperienza a livello professionale?
Non ho più accettato offerte per fare la modella. Non mi fido più, il trauma subìto è troppo profondo.

Tornerebbe in Italia?
Sì, tornerei perché mi piace il vostro Paese, il cibo e la mentalità. In quel momento volevo andare a casa perché sono stata tenuta in Italia contro la mia volontà per dieci mesi, senza aver fatto alcunché. Però mi piacerebbe tornare un giorno, ma dopo tutto quello che mi è successo è difficile fidarsi del vostro sistema giudiziario.