«Io, dall'Australia, vi dico che il cardinale Pell è innocente»
«Conosco molto bene la cattedrale di Melbourne, molto spesso sono andata a Messa lì ed è impossibile commettere un abuso nelle circostanze raccontate in tribunale». «La crisi della Chiesa australiana fa da sfondo alla sua condanna: da anni, l'intellighenzia nazionale e una parte dello stesso clero attaccavano il cardinale per le sue posizioni conservatrici e l'ambiente gay gli aveva dichiarato guerra da un ventennio, proprio dal 1996, anno in cui avrebbe commesso il crimine di cui è accusato». Ecco la testimonianza di una docente australiana che conosce bene il cardinale Pell e la situazione della Chiesa in Australia.
- THE ORIGINAL LETTER (IN ENGLISH)
Caro direttore,
ti scrivo a proposito della condanna del cardinale George Pell per abusi sessuali nei confronti di due ragazzini del coro. Prima di tutto: non credo che giustizia sia stata fatta in questo processo. Ha tutta l’apparenza di un sacrificio sugli altari di una cattiva agenda politica.
Sono spesso andata a Messa, esattamente in quel transetto sotto la nicchia dell’organo della cattedrale di Melbourne (la più bella cattedrale in Australia, con la più nobile delle guglie gotiche del mondo, oserei dire). Sono spesso stata a pochi metri da quella porta che conduce a uno stretto passaggio per la sacrestia e spesso ho visto i chierichetti, il coro e i preti andare in processione dentro e fuori da essa. Non posso semplicemente credere che quello possa essere il luogo in cui Pell ha commesso il suo atto vizioso, quello per cui ora è stato condannato dalla giuria di un tribunale. E men che meno, che lo abbia fatto durante una Messa Solenne di domenica.
Ho avuto l’onore di ascoltare a lungo, più di una volta, monsignor Charles Portelli, che era maestro cerimoniere di Pell, nei cinque anni in cui Pell era arcivescovo di Melbourne. Portelli è un uomo di fine intelletto, probità e cultura. Ha assistito l’arcivescovo per tutto ciò che riguardava la liturgia domenicale e tutti i suoi atti preparatori e successivi. In tutto ciò che Pell faceva era assistito e accompagnato da Portelli.
Anche lo stesso George Pell è un uomo di grande probità, intelligenza e cultura, a livelli eccelsi, direi, fra i vescovi australiani. Ciò lo ha già messo fuori gioco, a causa della “sindrome dell’alto papavero” (invidia sociale, ndr), una cultura abbastanza caratteristica della società australiana. Non ho dubbi che il cardinal Pell, come me d’altronde, sia un peccatore e che nel suo intimo percorso di castità di fronte al Signore, abbia dovuto lottare, poiché la virtù che non viene tentata non è neppure una virtù. Ma nell’ambito di ciò che è nel suo intimo, nel provato della sua anima. È impensabile che dopo trent’anni e passa di vita sacerdotale ed episcopale impegnata e provata intellettualmente e moralmente, subito dopo essere stato nominato Metropolita, si sia macchiato di un così crasso, crudo e sordido atto di pedofilia, per cui è stato condannato dalla magistratura. No, si deve prendere una certa china di degradazione morale prima di arrivare a tanto.
Ora, soffermiamoci un po’ sul più ampio contesto della Chiesa e della società australiane. Prima di tutto vorrei citare una notizia del 1996 che ricordo perfettamente. Molto presto, un gruppo di gay ha organizzato una protesta “arcobaleno” durante la Messa domenicale. Quando si sono messi in fila per prendere la comunione, Pell gliel'ha rifiutata. L’ambiente omosessualista nella Chiesa e nella società gli sta sparando contro da allora. Uno dei più efferati attacchi contro il cardinale, in tempi recenti, è stato quello di David Marr, un “intellettuale impegnato” della sinistra australiana, un omosessuale dichiarato da tempo, difensore della causa gay e anti-cattolico viscerale. L’indignazione morale appassionata di costui, il suo continuo agitare il dito contro la Chiesa cattolica, ci suggerisce che ci sia qualcosa di più profondo rispetto al dire e al fare del dibattito politico e legale.
Per decenni, la politica australiana (compreso il Partito Liberale, allora di centrodestra), i media mainstream e l’élite culturale sono slittati pesantemente a sinistra, verso il totalitarismo conformista del politicamente corretto. In parte, questo slittamento implica un’ostilità sempre meno nascosta contro la tradizione occidentale, le sue radici giudaico-cristiane in generale e la Chiesa Cattolica in particolare.
Inoltre, nella stessa Chiesa australiana, esiste un’ampia fazione ostile a Pell. In parte è costituita dai sacerdoti anziani con lo spirito degli anni Settanta. Pell è sempre stato, consapevolmente, un prete cattolico conservatore, la sua posizione riguardo il Concilio Vaticano Secondo, era nello spirito dell’«Ermeneutica della continuità» di Papa Benedetto XVI. Non ha mai condiviso la ribellione contro l’enciclica Humanae Vitae. E così abbiamo il paradosso di un ambiente cattolico “progressista” favorevole al cambiamento dell’etica sessuale della Chiesa, permissivo sul divorzio e sul secondo matrimonio, sull’aborto, sull’omosessualità e prevedibilmente a favore degli ultimi bizzarri entusiasmi politici, esso stesso pronto a sfruttare l’incidenza di abusi sessuali nella Chiesa per promuovere la sua causa. Un ambiente cattolico che ha in sé lo spirito di David Marr.
Per di più, come un vescovo in pensione mi ha detto di recente, abbiamo dato molte armi a chi ci stava attaccando dall’esterno, o sovvertendo dall’interno. C’è stato un numero imbarazzante di casi di preti dell’arcidiocesi di Melbourne implicati in scandali sessuali negli ultimi tre o quattro decenni, come è emerso da inchieste pubbliche degli ultimi anni. Senza dubbio, la Chiesa, in Australia e nel resto del mondo, è semper purificanda. La punizione severa è giunta molto in ritardo, e penso che le cose peggioreranno ancora. Pensiamo solo, francamente, alla condizione dei nostri attuali massimi vertici.
Nel bel mezzo dell’esposizione della debolezza, morale e spirituale, della Chiesa in Australia, dobbiamo subire anche un altro brutto effetto collaterale: l’accusa a innocenti, preti e non solo. È condizione difficile l’esser presi fra due fuochi, fra le vittime dei predatori sessuali clericali che gridano vendetta contro una cultura omertosa e le vittime clericali delle false accuse di predazione. Ho sentito, in questi giorni, che tutti i preti accusati sono trattati dai loro vescovi come “patate bollenti”: sono semplicemente scaricati. Sembrano un po’ codardi, questi vescovi. O come dicono loro: “prudenti”.
Non so quale sarà l’esito del processo di appello contro la condanna a Pell. Prendiamo la peggiore delle ipotesi, che venga condannato di nuovo. In quel caso, la mia idea sulla situazione di Pell è un po’ questa: Gesù Cristo, suo Signore, lo ama troppo per abbandonarlo, proprio mentre è all’apice della carriera ecclestica. Pell si unisce alle schiere delle vittime innocenti, da Abele fino a Nostro Signore. Forse è chiamato a portare il fardello della sofferenza per tanti fratelli preti e fedeli che non sono così innocenti e per una Chiesa che ha così tanto bisogno di pentirsi.
Probabilmente, in altro modo, Pell si è meritato la migliore delle “promozioni” ecclesiastiche possibili, avvicinandosi a quella che era la condizione originaria degli Apostoli nei primi anni della Chiesa. “Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati”. (1 Cor 4:9-10)
Anna Silvas è Adjunt senior Research Fellow alla University of New England e docente di Patristica e Storia medievale all'Istituto Giovanni Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia di Melbourne