Inverno demografico, l'evidenza negata
La prospettiva della crisi demografica mondiale è ormai così evidente che diviene sempre più difficile ignorarla. Il tasso di fecondità è oggi inferiore a 2 (meno di una nascita per ogni donna in età fertile) in tutto il mondo. Eppure solo la Chiesa ne parla. Tutti gli altri cambiano discorso.
La prospettiva della crisi demografica mondiale è ormai così evidente che diviene sempre più difficile ignorarla, persino in un mondo come il nostro nel quale molto spesso le opinioni prendono il posto dei fatti.
D’altra parte non è un segreto: basta scorrere qualsiasi annuario statistico per rendersene conto. Nella massima parte del mondo in termini di popolazione (emisfero Sud compreso), il tasso di fecondità è oggi inferiore a 2. Si registra cioè meno di una nascita per ogni donna in età fertile. Naturalmente - dopo che per decenni è stata tenuta per buona l’idea che il mondo andasse verso la catastrofe a causa di una crescita dei suoi abitanti sproporzionata rispetto alle sue risorse - diventa difficile riconoscere il contrario. Occorre quantomeno ricorrere a qualche trucco. E’ sintomatico in proposito un articolo apparso sul Corriere della Sera dello scorso 26 aprile dal titolo “I bimbi superati dagli over 65”. Nel sommario si spiega che “La svolta è attesa per il 2017” mentre il 2050 viene indicato come il culmine prossimo venturo del numero dei centenari. Al termine di un testo rigorosamente tecnico l’autore osa pertanto concludere che ai futuri centenari “più che doni insomma tocca regalar nipotini”.
Sarebbe davvero il caso di cominciare a dirlo, e a dirlo chiaro. Si fa un gran parlare del rischio ambientale che in effetti può venire senza difficoltà evitato, non però bloccando la tecnologia e la crescita bensì riorientandole (come bene si spiega nel nostro Il clima che non ti aspetti), quando invece il primo e più arduo problema globale del nostro tempo è la prospettiva della crisi demografica. E’ chiaro che la questione dell’ambiente è di cruciale importanza, ma l’uomo non è il suo problema bensì la chiave della sua soluzione.
L’ordine costituito della tarda modernità aveva tuttavia così pesantemente investito sul presunto pericolo di un “boom” demografico che non appena la realtà delle cose ha cominciato a smentire tale previsione si è messa in moto un gigantesco processo di censura. In primo luogo, dopo quella del Cairo del 1994, l’Onu non ha più convocato alcun’altra Conferenza mondiale sulla Popolazione, dove inevitabilmente la questione sarebbe giunta alla ribalta. L’attenzione è stata spostata verso altri temi, dalla condizione della donna all’ambiente e anche ad altre questioni più specifiche. E per di più con grande irresponsabilità si è fatto tutto il possibile per continuare a promuovere indirettamente attraverso di essi il blocco di un “boom” demografico che non c’è.
Fra i soli pochi soggetti che sono oggi in grado di portare questioni alla ribalta dell’attualità internazionale, in pratica solo la Chiesa si è schierata per tempo contro questa deriva. Alla fine del secolo scorso Giovanni Paolo II aveva cominciato a denunciare le conseguenze di quello che aveva definito un’”inverno demografico”: questione che tra l’altro egli pose al centro del Giubileo delle Famiglie svoltosi a Roma nell’ottobre dell’anno santo 2000. Già però Paolo VI aveva visto con grande preoccupazione il primo sorgere nel suo tempo della cultura neo-malthusiana, che di tale crisi è una delle principali radici. Combinandosi con la nascita e lo sviluppo della ribalta mediatica planetaria, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso una sequenza di grandi Pontefici provvidenzialmente complementari tra loro ha fatto del Papa di Roma uno dei quattro-cinque protagonisti assoluti dell’attualità mondiale, e quello moralmente più autorevole. Solo dal Papa si può dunque sperare una spinta adeguata allo sblocco della censura di cui si diceva.