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REGNO UNITO

Inghilterra, parte la controffensiva pro-immigrati nelle piazze e dal governo

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Il 7 agosto doveva essere un'altra giornata di marce anti-immigrazione, il decimo giorno di proteste dopo l'accoltellamento di Southport (tre bambini assassinati da un ruandese). Invece le contro-manifestazioni sono state soverchianti. E la repressione del governo è durissima. Anche la libertà di espressione (difesa solo da Elon Musk) è in discussione.

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Attualità 08_08_2024
Londra, la contromanifestazione anti-razzista (La Presse)

Un’altra giornata di manifestazioni e tensione in Inghilterra, il 7 agosto, il decimo giorno di proteste anti-immigrazione. E stavolta le contro-manifestazioni antirazziste sono state ovunque soverchianti rispetto alle marce di protesta.

Il 29 luglio, l’accoltellamento commesso da un diciassettenne di origini ruandesi, in un centro estivo di Southport, costato la vita a tre bambine di sei, sette e nove anni, è stata la scintilla che ha fatto scoppiare un incendio imprevisto e dilagante. Manifestazioni contro l’immigrazione hanno dato adito a violenze, contro le proprietà, i centri per immigrati, una moschea e anche la polizia. Alle manifestazioni anti-immigrati si sono ben presto contrapposte delle contro-manifestazioni, altrettanto violente, organizzate soprattutto da islamici.

Nella giornata di ieri hanno “vinto” i contro-manifestanti. Con un solo giorno di preavviso, i gruppi anti-immigrazione avevano organizzato 100 marce e picchetti di protesta in 39 diverse città, attraverso chat e gruppi social. La polizia si stava preparando a riceverli in assetto anti-sommossa, ma alla fine ha dovuto proteggerli: la notizia si è sparsa e nei luoghi di raduno delle proteste sono affluiti migliaia di contro-manifestanti di sinistra, immigrati, inglesi musulmani e studenti che hanno soverchiato i manifestanti. Le contromanifestazioni, tendenzialmente pacifiche e tutte improntate su slogan come “l’amore vince sull’odio”, hanno riempito le strade e le piazze a Bristol, Birmingham, Brighton, Liverpool, Newcastle, Sheffield e diversi quartieri di Londra.

Oltre alle contro-manifestazioni, a stroncare la protesta anti-immigrazione è soprattutto la dura repressione del governo e delle autorità giudiziarie. Non solo con l’arresto dei responsabili (circa 400 fermati, finora), ma anche con una tendenza a criminalizzare un’intera fascia di popolazione, l’equivalente inglese dei “deplorables” (come venivano chiamati dalla Clinton gli elettori di Trump) e soprattutto con una gran voglia di censurare media e social media, per prevenire il “linguaggio di odio”.

Le parole del neo-premier laburista Keir Starmer sono durissime: «Avremo un esercito permanente di agenti specializzati, ufficiali di pubblica sicurezza, così da avere abbastanza mezzi per gestire la situazione», ha dichiarato il premier. «Questa non è una protesta, è pura violenza e non tollereremo attacchi alle moschee o alle nostre comunità musulmane».

Il direttore della Pubblica Accusa di Inghilterra e Galles, Stephen Parkinson, non ha ancora messo nessuno sotto accusa per terrorismo, ma fa sapere che potrebbe farlo ben presto, perché sta seguendo casi sospetti. Ma, soprattutto, afferma che l’accusa di terrorismo riguarda anche chi diffonde “informazione incendiaria” sui social media. Parkinson ha avvertito di non condividere comunicazioni “maligne o razziste” online - anche condividendo o retwittando quelle fatte da altri - perché farlo potrebbe essere considerato un reato. Ha inoltre suggerito che la pubblicazione su Telegram di un elenco di imprese di immigrati, da parte di un gruppo di estrema destra, potrebbe essere considerato come un reato di terrorismo. Parkinson ha aggiunto: «Il fatto che si tratti di gruppi organizzati che potrebbero essere motivati da ragioni ideologiche, il fatto che stiano promuovendo reati potenzialmente molto gravi - questo è il tipo di caso in cui potremmo prendere in considerazione le accuse di terrorismo».

Attacca la libertà di informazione anche Nick Price, direttore dei servizi legali del Crown Prosecution Service. Dichiara, infatti, «Chi pensa di diffondere o amplificare informazioni online di natura razziale dovrebbe ripensarci: le azioni online hanno conseguenze reali. Non c'è posto per chi cerca di fomentare l'odio razziale e la violenza online in nessun momento, tanto meno durante questo disordine. Stiamo lavorando a stretto contatto con le forze dell'ordine locali per identificare i colpevoli da incriminare e perseguire. La Procura continuerà ad agire con rapidità e fermezza per assicurare alla giustizia i responsabili di tali reati».

Keir Starmer rincara la dose e punta il dito anche sui grandi social media: «Permettetemi di dire anche alle grandi aziende di social media e a coloro che le gestiscono. Il disordine violento che si scatena online è un crimine». Allude a qualcuno? Probabilmente a Elon Musk che, all’inizio dei disordini inglesi ha twittato “La guerra civile è inevitabile”. Un messaggio che è stato inteso, dalla sinistra britannica soprattutto, non solo come una previsione pessimista, ma anche come un’istigazione alla rivolta.

Così parallelamente alla guerriglia nelle strade, si sta scatenando anche una guerra online fra Musk e i Laburisti britannici, con giornalisti e intellettuali inglesi che tornano a perorare la causa della censura o anche della soppressione di X, l’ex Twitter comprato da Musk. Il miliardario, dagli Usa, risponde coniando un nomignolo per Keir Starmer: Two Tier Keir (in italiano non fa rima: Keir il doppiopesista), durissimo con chi protesta e chi diffonde semplicemente informazioni o immagini, ma assolutamente tollerante con le violenze commesse da musulmani e immigrati.

«Invece di assecondare coloro che hanno contribuito a fomentare l'orribile razzismo dietro queste proteste, ci aspettiamo che il nostro governo denunci il fanatismo e l'islamofobia dietro di loro e stia spalla a spalla con le sue vittime» scrive l’ex leader laburista Jeremy Corbyn, suggerendo una nuova legge contro l’islamofobia. Il governo per ora non l’ha presa in considerazione, anche se il Partito Laburista l’ha adottata, da anni, come regola interna e potrebbe tornare a proporla anche come legge di Stato. Censurare chi parla male dell’islam sarebbe la ciliegina sulla torta, come pretendere di cancellare un problema negandone l’esistenza e vietando di parlarne.