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DELITTO MASTROPIETRO/L'INTERVISTA

Indifferenza e misteri: così Pamela muore un'altra volta

A un anno dal barbaro assassinio di Pamela Mastropietro Comune e Diocesi mostrano indifferenza. Ma sono ancora tanti gli interrogativi e i punti oscuri: le ambugue complicità sui compagni, scagionati, di Oseghale, il corpo sezionato della giovane come se dovesse servire a qualcuno. E ora anche l'irreperibilità degli interpreti a processo. Qualcuno li ha intimiditi? Quanto c'è di Mafia nigeriana e di tribale dietro questo delitto misterioso? La Nuova BQ l'ha chiesto al legale di parte civile, che di Pamela era anche zio: "La Procura invii gli atti all'Antimafia"

Cronaca 04_02_2019

E’ appena passato un anno da quando, il 31 gennaio 2018, ciò che rimaneva della diciottenne romana Pamela Mastropietro venne ritrovato - fatto a pezzi -  in due valigie presso la località Casette Verdini del Comune di Pollenza, provincia di Macerata. Nonostante l’atroce gravità dell’episodio, sono spesso provenuti, dai media e dalla istituzioni, una sequela di comportamenti collocabili in una zona indefinita fra il grottesco, il patetico e il vergognoso.

Un sindaco che si rifiuta di ricordare la giovane vittima; un vescovo che fa lo gnorri e centellina benedizioni; i media che censurano e minimizzano la gravità di una situazione criminale; gli attacchi a una famiglia già così duramente colpita.

La linea della Diocesi ad esempio non sembra essere cambiata, come spiega Deborah Pantani, consigliera comunale di centro-destra a Macerata: “Il giorno 26 ho mandato un’email alla Diocesi chiedendo a Mons. Marconi un sacerdote che il 30 venisse a dare una benedizione in Via Spalato, per la triste commemorazione. Nessuna risposta.  Quando alcuni giornalisti mi hanno chiesto cosa avremmo organizzato per ricordare Pamela, la mancata risposta del vescovo ha fatto notizia. Una nota della Diocesi ha risposto dicendo che “erano state celebrate delle messe in suffragio di Pamela nel corso delle quali si è pregato per i suoi familiari”. Dove? Quando? Nessuno lo aveva saputo. Inoltre, solo dopo che la cosa è uscita sulla stampa, la Diocesi si è decisa a mandare il parroco in Via Spalato e a far benedire la  stele eretta a ricordo di Pamela a Casette Verdini. Un episodio che si commenta da solo, al pari dell’atteggiamento del sindaco di Macerata, Romano Carancini (PD) che ha rifiutato di autorizzare cerimonie pubbliche in memoria di Pamela, dicendo che l’Amministrazione “non era tenuta ad organizzare alcun tipo di iniziative del genere”. Però in febbraio Carancini aveva ben autorizzato la “Marcia antifascista e antirazzista”, partecipandovi”.

Inoltre, il sindaco Carancini ha anche avuto parole aspre per la famiglia Mastropietro accusandola di “criticare tutti e di non fare mai autocritica”, riferendosi al fatto che Pamela fosse finita nella spirale della droga, (pur grazie all’influenza di un amico rumeno). Non siamo ancora al livello del “se l’è cercata”, ma da queste posizioni sembra quasi che la droga porti prevedibilmente a finire stuprati, pugnalati, scuoiati e fatti a pezzi.  Nessun cenno a un’immigrazione pericolosa e mal gestita, né alla mafia nigeriana e ai suoi riti tribali.

Insomma, coloro che dovrebbero avere a cuore la comunità dei propri cittadini, proteggendola dai lupi, non riescono proprio a nascondere le loro insopprimibili simpatie. Vengono in mente la parole di Shakespeare: “Più che le erbacce, puzzano i gigli marciti”.

Facciamo il punto  con l’avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela e procuratore delle parti civili nel processo. 

Avvocato, come stanno sua sorella e il papà di Pamela?
In questi giorni rivivono, passo dopo passo, quelli che devono essere stati gli ultimi momenti di Pamela. Il dolore è inesauribile, ma è stato trasformato dalla mia famiglia in una fonte di energia  per andare fino in fondo nella ricerca della verità. Non ci fermeremo finché non si saprà esattamente cosa è successo, perché e quali realtà nasconde l’assassinio di Pamela.

Al momento,  qual è il quadro processuale?
A quanto apprendo dalla stampa, il processo potrebbe celebrarsi a porte chiuse, presumibilmente per evitare le reazioni di sdegno dei cittadini. Dall’ultima udienza del 26 novembre, l’unico ad essere rinviato a giudizio è Innocent Oseghale. La richiesta è stata avanzata solo per lui dato che per gli altri due nigeriani, Lucky Awelima e Desmond Lucky, è stata chiesta l’archiviazione. Attualmente questi ultimi sono in carcere, condannati ad otto e sei anni per spaccio, poiché c’è stato uno stralcio nell’ambito del processo per Pamela e sono stati giudicati a parte.

Come mai l’archiviazione per i due sodali di Oseghale?
Lucky e Awelima erano stati chiamati in causa dallo stesso Oseghale, ma i rilievi scientifici non hanno trovato tracce della loro presenza nella casa di Via Spalato, a Macerata, al momento dell’omicidio. (A questo punto si dovrebbe procedere contro Oseghale anche per calunnia nei loro confronti). Se non c’entrano con Pamela, ci si dovrebbe comunque interrogare su chi siano, per una serie di motivi: ad esempio, sul cellulare di uno dei due sono state trovate le foto di uomini orribilmente torturati (un africano con la lingua tagliata, ed un altro, disteso pancia a terra, con una candela accesa conficcata tra i glutei). Le immagini, si badi, risulterebbero scattate direttamente da quel dispositivo e non scaricate dal web. Uno dei due, poi, ha ammesso di essere stato un “rogged”, ovvero appartenente a una banda criminale. Come mai non si apre un’indagine su questo? E’ stato inoltre intercettato un colloquio fra i due nel quale essi ammettevano di aver fatto “cose ben peggiori” dell’omicidio di Pamela che al confronto era “una cosa da bambini”. Inoltre, ricordavano di aver pur consigliato a Oseghale di non disfarsi del corpo, ma di congelarlo e mangiarlo piano piano”.  

Cosa tacciono i media su quello che è realmente avvenuto?
Pamela è stata violentata e successivamente pugnalata con almeno due coltellate al fegato, che ne hanno decretato la morte. Mia nipote è stata poi lavata con varechina, scuoiata, scarnificata, disarticolata e fatta a pezzi chirurgicamente con una perizia tale che il consulente medico legale della Procura ha dovuto riconoscere: “Io stesso, con gli strumenti giusti e un tavolo settorio, non avrei potuto fare di meglio”. Un lavoro molto diverso da quello che la macellazione di animali domestici potrebbe aver insegnato, ma nonostante tutto Oseghale ha dichiarato di non aver mai fatto nulla del genere prima di allora e di non aver avuto nessuna esperienza”.  

Lei che idea si è fatto su quanto avvenuto?
Non lo so ancora. Certo ci sono elementi molto strani. Come mai uno che voleva disfarsi di un corpo lo ha poi lasciato, in quelle condizioni così ben “lavorate”, sul ciglio di una strada trafficata? Forse doveva consegnarlo a qualcuno e perché? In pochi sanno che gli interpreti scelti per il processo si sono resi irreperibili, segno evidente di una qualche forza intimidatrice che li ha terrorizzati. La mafia nigeriana? Mi auguro che la Procura invii tutti gli incartamenti alla Direzione Distrettuale Antimafia di Ancona, perche è quello l’ufficio competente che ha strumenti differenti di indagine e di analisi, oltre che una visione sistemica del fenomeno.

Qualche tempo fa, lei aveva annunciato una provocazione…
Esasperato dalla continua retorica sull’accoglienza, sono stato tentato di pubblicare le foto del corpo di Pamela. In troppi non si rendono conto dei rischi tremendi cui vengono esposti i nostri concittadini con politiche migratorie dissennate e con gli appelli provenienti dal mondo ecclesiastico cui siamo abituati da vari anni. In pochi sanno che Oseghale, nonostante fosse stata respinta la sua richiesta di protezione internazionale e nonostante non dovesse trovarsi sul territorio italiano, avrebbe ammesso, in un interrogatorio, che una parrocchia di Macerata gli aveva pagato tre mensilità dell’affitto, che, riferite a Via Spalato, equivarrebbero ognuna a 450 euro. Lo stesso Bruno Vespa ha ricordato come Oseghale avesse partecipato alla Giornata del Migrante del 2018 e che fu chiamato all’altare per leggere una preghiera, ringraziando per l’accoglienza.

Che sia per via di queste circostanze che il comportamento del vescovo di Macerata Nazzareno Marconi sia stato così sfuggente in passato?
La linea della Diocesi non sembra essere cambiata, come spiega Deborah Pantani, consigliera comunale di centro-destra a Macerata: “Il giorno 26 ho mandato un’email alla Diocesi chiedendo a Mons. Marconi un sacerdote che il 30 venisse a dare una benedizione in Via Spalato, per la triste commemorazione. Nessuna risposta.  Quando alcuni giornalisti mi hanno chiesto cosa avremmo organizzato per ricordare Pamela, la mancata risposta del vescovo ha fatto notizia. Una nota della Diocesi ha risposto dicendo che “erano state celebrate delle messe in suffragio di Pamela nel corso delle quali si è pregato per i suoi familiari”. Dove? Quando? Nessuno lo aveva saputo. Inoltre, solo dopo che la cosa è uscita sulla stampa, la Diocesi si è decisa a mandare il parroco in Via Spalato e a far benedire la  stele eretta a ricordo di Pamela a Casette Verdini. Un episodio che si commenta da solo, al pari dell’atteggiamento del sindaco di Macerata, Romano Carancini (PD) che ha rifiutato di autorizzare cerimonie pubbliche in memoria di Pamela, dicendo che l’Amministrazione “non era tenuta ad organizzare alcun tipo di iniziative del genere”. Però in febbraio Carancini aveva ben autorizzato la “Marcia antifascista e antirazzista”, partecipandovi”.