Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MACERATA

Lo sgarbo del vescovo ai genitori di Pamela

Una preghiera veloce e due parole di circostanza prima ancora che arrivassero i genitori e subito via senza neanche benedire la lapide. Così il vescovo di Macerata, mons. Marconi, ha lasciato di stucco familiari e amici di Pamela Matropietro riunitisi per ricordare la ragazza uccisa e fatta a pezzi lo scorso gennaio..

Attualità 10_09_2018
I genitori e lo zio di Pamela durante la cerimonia di inaugurazione della lapide

Un bruttissimo sgarbo alla memoria e alla famiglia di Pamela Mastropietro, la giovane uccisa e fatta a pezzi lo scorso 30 gennaio. Così è stato percepito il comportamento del vescovo di Macerata Nazzareno Marconi, secondo fonti vicine alla famiglia.

Già diverso tempo fa, la proloco di Casette Verdini, la frazione del vicino comune di Pollenza dove sono stati rinvenuti i trolley con le membra sezionate della povera Pamela, aveva deciso di erigere un piccolo monumento che ricordasse questa tragedia, della quale gli abitanti ancora non riescono a capacitarsi. La madre di Pamela, Alessandra Verni, avvertita per tempo dell’iniziativa, aveva accettato commossa, delegando completamente alla comunità di Casette Verdini la scelta del progetto e dell’epigrafe.

Circa due settimane fa, il presidente della Pro loco Gabriele Ranzuglia aveva chiamato la segreteria del vescovo di Macerata per chiedergli se volesse intervenire per una benedizione. Monsignor Marconi aveva accettato, a condizione che l’orario della celebrazione venisse anticipato alle 9.00.

Ieri mattina, tutto era pronto. La lapide, finanziata dalle imprese locali, disegnata dall’architetto Leonardo Annessi, posta sul ciglio della strada, era coperta da un telo, pronta per essere scoperta. Ha la forma di un fiore di loto realizzato parte in marmo e parte in un vetro percorso da crepe e incrinature. La simbologia è chiara: la fragilità di Pamela, l’aridità della pietra intorno a lei e il fiore di loto che, pur crescendo nelle acque fangose e stagnanti, è un bellissimo simbolo di rinascita. La famiglia era in arrivo da Roma in auto, ci sono il papà, la mamma della ragazza  e lo zio, Marco Valerio Verni che, da avvocato, segue anche tutta la vicenda processuale in prima persona.

Il vescovo arriva puntualissimo alle 9. E’ nervoso, accenna subito a un impegno pressante (una cresima per l’esattezza) e così gli organizzatori, presi in contropiede, devono in fretta e furia radunare intorno alla lapide le ancor poche persone. Eppure la famiglia di Pamela, subito avvertita telefonicamente, è ad appena cinque minuti dall’arrivo. Nonostante tutto, il vescovo fa iniziare la cerimonia a spron battuto. Non benedice la lapide, dato che non è arrivata ancora la madre della vittima per scoprirla. Recita velocemente una preghiera, chiede che il ricordo «non sia di odio e di vendetta ma per fare del bene», e subito salta in automobile. Sono circa le 9.10, come testimoniano varie persone intervenute: la presenza del vescovo è durata meno di un quarto d’ora. Mentre il prelato esce in retromarcia, arriva l’auto della famiglia Mastropietro-Verni, subito circondata dall’abbraccio affettuoso dei cittadini di Pollenza e dintorni.
In sintesi, il vescovo di Macerata ha fatto anticipare la cerimonia, vi ha presenziato per dieci minuti, non ha benedetto la lapide e non ha incontrato i familiari di Pamela, venuti apposta da Roma.

“La manifestazione – spiega il presidente della Pro loco Gabriele Ranzuglia – aveva voluto fin dall’inizio evitare qualsiasi strumentalizzazione: per questo non  abbiamo  invitato autorità istituzionali tranne, ovviamente, il sindaco di Pollenza. Io e un centinaio di persone siamo rimasti molto male per il comportamento del vescovo. Francamente non ce ne capacitiamo, anche perché in altre occasioni egli è stato molto disponibile. Ci siamo trovati in grandissimo imbarazzo con la famiglia di Pamela”.

Lo sgarbo è apparso incomprensibile davanti al dolore di una famiglia, l’omaggio a una ragazza di 18 anni stuprata, cannibalizzata e smembrata, il trauma di una comunità per uno dei più spaventosi omicidi che hanno sconvolto il nostro Paese. Omicidio su cui peraltro si fa ancora fatica a fare luce, tanto che ieri la mamma di Pamela ha chiesto aiuto a tutta la comunità per "tirare fuori la verità e fare giustizia".

Ovvio dunque che in molti si siano chiesti il motivo di tale fretta, secondo alcuni dovuta a ragioni di opportunità "politica". Dopotutto, un’intervista di monsignor Marconi rilasciata a Tv 2000, il 20 febbraio scorso, dimostra una certa elusività del vescovo sull’argomento (clicca qui). 

Il vescovo infatti punta il dito esclusivamente sulla droga, “che ha portato questi giovani ad essere sotto attacco”, apparentando addirittura il caso di Pamela a quello di Meredith Kercher. E quando inevitabilmente è incalzato sul tema immigrazione, il vescovo appare più incline a colpevolizzare la comunità italiana, che non ha saputo integrare gli immigrati: “Il problema è educativo – conclude il vescovo - siamo una generazione di adulti che non ha saputo passare ai giovani i fondamenti di una vita equilibrata e costruttiva”. Nessun riferimento ai pericoli di un’immigrazione gestita irresponsabilmente, né alla mafia nigeriana, né alle pratiche orribili cui sono avvezzi i loro adepti.

«Non ci spieghiamo un simile comportamento – commenta l’avvocato Verni, zio di Pamela – quando il gregge va dal pastore per avere una parola di conforto, il pastore se ne va? L’unica volta che il vescovo ebbe modo di dire due parole a mia sorella fu per esortarla “a dimenticare nel silenzio e a perdonare”. Questi sono i comportamenti che allontanano le persone dalla Chiesa e ci fanno sentire sempre più soli».

Abbiamo cercato il vescovo Marconi attraverso la sua segreteria per avere un suo commento, ma evidentemente, come impone l’uso attuale, per ora ha ritenuto che il silenzio fosse la miglior risposta.