In Sudafrica cresce la violenza contro gli immigrati africani
L’ostilità nei confronti degli stranieri di origine africana esplode periodicamente in gravi episodi di violenza soprattutto nei grandi centri urbani
Afrofobia. Qualcuno ha incominciato a chiamare così l’ostilità nei confronti degli immigrati africani e i frequenti episodi di violenza contro di loro in Sudafrica. Succede soprattutto nelle grandi città: Durban, Johannesburg, Città del Capo. Le vittime sono soprattutto originarie di Nigeria, Somalia, Mali, Repubblica democratica del Congo, mentre nei confronti degli immigrati dell’Africa australe come il Mozambico e lo Zimbabwe le tensioni sono meno forti. Lo scorso settembre a Johannesburg decine di immigrati sono stati aggrediti, derubati, i loro negozi saccheggiati e distrutti. Alla fine di gennaio le violenze hanno preso di mira la comunità somala di Pretoria e dintorni. Vatican News ne ha parlato il 1° febbraio con due religiosi scalabriniani: padre Pablo Velasquez che lavora a Johannesburg e padre Filippo Ferraro che opera a Città del Capo. Entrambi chiamano il fenomeno xenofobia e lo spiegano come lascito dell’apartheid. “Forse le radici dell’odio etnico si trovano ancora nell’apartheid. Vent’anni di democrazia – sostiene padre Pablo – non hanno risolto i problemi del paese. La differenza tra i ricchi, la maggior parte dei quali bianchi, e i poveri è enorme”. “In molti sudafricani neri – osserva padre Filippo Ferraro – è ancora vivo il senso d’inferiorità imposto per decenni dal regime di segregazione dei bianchi boeri. Il fatto di essere stati sempre trattati come cittadini di serie B fa sì che la loro frustrazione si riversi sugli immigrati che oggi sono gli ultimi degli ultimi. Molti sudafricani vedono nei nuovi arrivati un nuovo nemico da combattere che potrebbe sottrarre loro le poche risorse a disposizione. Così scattano violenti pogrom che distruggono le attività dei migranti e, in alcuni casi, arrivano a uccidere gli stranieri”. I due religiosi in sostanza attribuiscono all’apartheid la nascita della xenofobia che monsignor Buti Tlhagale, arcivescovo di Johannesburg, paragona al nazismo. Sembrano non considerare il ruolo determinate del tribalismo, della conflittualità tribale che permea la storia e la società africane, millenni prima dell’apartheid. Giustamente invece evidenziano il danno enorme della corruzione diffusa nella classe politica e nella pubblica amministrazione: “La corruzione – spiega padre Filippo – è una piaga che infetta tutto il corpo della nazione. Politici e funzionari corrotti rendono instabile il paese, indebolendo l’economia e accrescendo ancora di più la disoccupazione e la povertà”. A peggiorare la posizione degli immigrati sono la presenza di molti illegali, le diffuse attività illegali e, come altrove, la confusione tra immigrati e profughi. Preoccupa la Chiesa cattolica inoltre la proposta di emendare l’attuale legge sui rifugiati. Subito dopo la fine dell’apartheid è stata adottata una normativa che permette ai richiedenti asilo di muoversi nel paese, lavorare e studiare. La nuova legge, dice padre Filippo, “intende creare centri di detenzione in cui ammassare i richiedenti asilo. Sebbene sia previsto che lo status di rifugiato debba essere riconosciuto entro 8 mesi, i migranti aspettano anche 9 anni prima di avere una risposta. Ciò significa che si verrebbero a creare veri e propri campi di concentramento. Una cosa assurda. Anche perché la società sudafricana ha bisogno dei migranti: lavorano in settori in cui i sudafricani sono esclusi, creano imprese e offrono lavoro. Il loro dinamismo è essenziale”.