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TURCHIA-UE

In Olanda si vota all'ombra di Erdogan

Braccio di ferro fra Olanda e Turchia, alla vigilia del voto nei Paesi Bassi. La causa immediata è il divieto di accesso dei ministri turchi che volevano fare comizi pro-Erdogan (per il referendum sulla sua riforma costituzionale). La causa profonda è la caccia agli oppositori che il presidente turco ha scatenato in Olanda e nel resto d'Europa, anche attraverso moschee e ambasciate. 

Esteri 15_03_2017
Bandiera turca sul consolato olandese

Gli olandesi vanno a votare oggi, proprio mentre si intensifica la guerra (per ora solo diplomatica e a parole) con la Turchia. Ieri era lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan ad accusare gli olandesi per il genocidio di Srebrenica del 1995. Come mai proprio l’Olanda, dal momento che l’eccidio dei bosniaci musulmani fu commesso dai serbo-bosniaci? Perché erano i caschi blu olandesi che avrebbero dovuto presidiare la città assediata, che tre anni prima era stata proclamata zona franca ed era piena di rifugiati. La memoria del crimine di 22 anni fa è ancora una macchia nella memoria collettiva degli olandesi e ricordarla, da parte di Erdogan, è un colpo basso. Il premier olandese risponde al volo, definendo il presidente turco “un isterico”. Ma perché si è giunti ad alzare così tanto i toni fra due paesi così lontani? Perché oltre al voto olandese di oggi, anche in Turchia si vota. O meglio: si voterà a breve, il 16 aprile, per un referendum che potrebbe conferire al presidente Erdogan pieno potere esecutivo e un controllo ancora maggiore sulla magistratura e sul parlamento. Ed è stato il rifiuto olandese di far da cassa di risonanza della propaganda di Erdogan a scatenare le ire del “sultano”. L’Olanda non è l’unica ad essersi rifiutata di fare il gioco del presidente e anche altre nazioni europee ad alta immigrazione turca, come la Germania e l’Austria, sono nel mirino di Ankara. E il braccio di ferro sul referendum è solo l’ultima di una lunga serie di sfide fra la Turchia e l’Europa.

Il braccio di ferro con l’Olanda è iniziato cinque giorni fa, quando l’Aia non ha consentito l’accesso del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che avrebbe dovuto recarsi nei Paesi Bassi per guidare una manifestazione pro-Erdogan in vista del referendum del 16 aprile. Il governo olandese non ha neppure autorizzato la manifestazione turca, adducendo motivi di sicurezza (per le elezioni in arrivo). I 400mila turchi che vivono in Olanda l’hanno presa male e il presidente Erdogan ha accusato gli olandesi di essere “nazisti”. A questo punto anche un altro ministro turco, la signora Fatma Betul Sayan Kaya, titolare del ministero per la società e la famiglia, è stata scortata fuori dal paese, in Germania, dopo che le era stato impedito di raggiungere il consolato turco di Rotterdam. nella città portuale olandese sono allora scoppiati disordini fra la comunità turca, sedati dalla polizia. Immediata la protesta diplomatica turca che ha minacciato serie conseguenze, mentre in Turchia scoppiavano gravi proteste anti-olandesi. Chiuse le sedi diplomatiche dei Paesi Bassi ad Ankara e Istanbul, sul consolato di Istanbul un manifestante ha ammainato il tricolore olandese per issare al suo posto la mezzaluna turca.

Ma l’Olanda non è l’unica a impedire le manifestazioni pro-Erdogan. Anche la Germania ha cancellato i cortei, pur avendo a che fare con una comunità turca forte di 1 milione e mezzo di immigrati. Anche nei confronti della Germania, dal governo turco è subito partita l’accusa di “nazismo” e la minaccia di serie conseguenze. Il premier danese, Lars Loekke Rasmussen, ha chiesto al capo del governo turco Binali Yildirim di rimandare la sua visita prevista, finché non si saranno calmate le acque con l’Olanda. La Francia, finora, è stata l’unica a consentire il comizio di Cavusoglu a una manifestazione pro-Erdogan a Metz, ma comunque il ministro degli Esteri  Jean-Marc Ayrault ha pregato la sua controparte di “evitare eccessi e provocazioni”. In Austria, altro paese con un alto tasso di immigrazione turca, il cancelliere Christian Kern chiede di bandire i ministri turchi da tutta l’Unione Europea, almeno finché non si terrà il referendum sulla riforma presidenziale di Ankara.

Ma perché tanto accanimento contro un presidente con cui l’Ue ha trattato confidenzialmente fino all’estate scorsa, considerandolo sempre come un partner affidabile? La dura repressione scatenata da Erdogan dopo il fallito golpe del 15 luglio, in violazione dei più basilari diritti umani, è solo parte della spiegazione. In realtà, l’Europa si sente spiata e penetrata dal regime del “sultano”. I fedeli del presidente stanno intimidendo da tempo i giornalisti olandesi a lui contrari. Ebru Umar, una giornalista turco-olandese, è stata arrestata. Il quotidiano olandese De Telegraaf, reo di aver pubblicato una vignetta in cui Erdogan era rappresentato come una scimmia, rischia la denuncia. Erdogan sta anche intentando una causa a Hans Teeuwen, un comico amico del defunto regista Theo van Gogh (ucciso da uno jihadista nel 2004). In Turchia è stato arrestato anche il giornalista turco-tedesco Deniz Yucel, del Die Welt, che stava lavorando a un servizio sulle email del nipote del presidente turco, trapelate di recente. Ora deve rispondere all’accusa di “propaganda a sostegno di organizzazioni terroristiche e istigazione pubblica alla violenza”.

In Olanda, Germania e Austria, ovunque sia forte la presenza turca, gli oppositori di Erdogan o presunti tali, curdi, aleviti, “gulenisti” (fedeli a Fethullah Gulen, l’islamista ex alleato di Erdogan, ora accusato di essere la mente del complotto di luglio) vengono attaccati, le loro sedi incendiate, le loro proprietà danneggiate, i loro uomini aggrediti o intimiditi. In mezzo a tutta questa tensione, il 22 dicembre il capo degli Affari Religiosi nell’ambasciata turca all’Aia, è stato incriminato per spionaggio dalle autorità olandesi. Era accusato di spiare l’opposizione di Erdogan per conto del presidente. In Austria, Peter Pilz, parlamentare, ha dichiarato di essere in possesso di documenti sulla “rete globale di spionaggio” nelle ambasciate turche, in almeno 30 paesi. E non solo nelle ambasciate. Il “sultano”, tramite movimenti islamici a lui fedeli come Milli Gorus, controlla direttamente almeno la metà delle 500 moschee in Olanda.

Sono soprattutto questi i “motivi di sicurezza”, non solo le elezioni imminenti, che hanno indotto il governo olandese e non autorizzare le manifestazioni pro-Erdogan e i comizi dei suoi ministri. Hanno fatto scoppiare il bubbone, anche a costo di pagare un prezzo molto alto. Perché Erdogan ha tante armi di ricatto, fra cui la bomba umana di circa 3 milioni di rifugiati mediorientali che per ora trattiene entro i suoi confini, ma che potrebbe scaricare interamente sull’Europa “nazista”