In morte di Elsie, uccisa da chi vede i figli come oggetto
La vicenda di Elsie, la bimba inglese di 18 mesi data in affidamento a una coppia omosessuale e morta a causa di gravissime lesioni appena due settimane dopo l’affidamento, è paradigmatica rispetto a una concezione odierna del figlio come oggetto.
La vicenda di Elsie, la bimba inglese di 18 mesi data in affidamento, a causa della tossicodipendenza della madre naturale, a una coppia omosessuale composta da due uomini, e morta a causa di gravissime lesioni il 26 maggio 2016 - vale a dire appena due settimane dopo l’affidamento -, si configura, benché possa apparire eccezionale, come del tutto paradigmatica rispetto a una concezione odierna sempre più distorta del figlio.
Quali che siano l’esito del processo in corso e il destino giudiziario di Matthew Scully-Hicks, il trentunenne di Llandaff “papà” della piccola accusato di averne provocato la morte, non possiamo infatti esimerci dal leggere in questa tragica storia lo sbocco inevitabile di una società che da tempo, purtroppo, non solo ha smesso di pensare al bene del figlio, ma lo ha ridotto a mero oggetto dell’appagamento di terzi.
Si è cioè sostanzialmente capovolta la prospettiva per cui è il mondo adulto a doversi attivare per assicurare il meglio al bambino, col risultato che oggi è il bambino a dover soddisfare gli standard di chi lo ha preteso – si pensi alla fecondazione extracorporea -, commissionato – è il caso dell’utero in affitto – o accolto pur in assenza di fondamentali requisiti antropologici, com’è il caso di una coppia dove manca uno dei due riferimenti genitoriali, quello paterno o quello materno. In tale prospettiva, se da un lato la violenza fisica rimane totalmente rifiutata, dall’altro quando brutalmente si manifesta, come nel caso della povera Elsie, essa non è, a ben vedere, che l’ultimo anello di una più generale umiliazione della soggettività del figlio. Una considerazione, quest’ultima, difficilmente contestabile da chiunque non abbia i paraocchi, ma che al tempo stesso in pochi, c’è da temere, faranno propria.
Anche perché i grandi media – che pure, in genere, non amano risparmiarsi quando c’è di mezzo la cronaca nera - faranno il possibile, potete scommetterci, per minimizzare questa vicenda o per presentarla quale caso del tutto eccezionale. Tale tentativo però, com’è chiaro, non risponderà affatto alla volontà di rispettare la memoria della piccola, bensì alla protezione della narrativa lgbt tale per cui le famiglie arcobaleno sono quanto di più amorevole possa esservi. Una tesi che, implicazioni etiche a parte, si scontra con una crescente mole di letteratura specialistica che segnala come la violenza interpersonale, nelle coppie dello stesso sesso, risulta non solo presente, ma addirittura più elevata che nelle vituperata «famiglia tradizionale». Tuttavia questo interessa ben poco a coloro i quali, da tempo, sono abituati a sposare le ideologie anche a scapito dei fatti, e continueranno imperterriti, come se nulla fosse, nella loro propaganda contro la famiglia e il vero bene di ciascun bambino.