In India continua la persecuzione dei cristiani accusati di proselitismo
A quattro organizzazioni no profit è stata tolta la licenza che consente di ricevere donazioni internazionali e un Pastore pentecostale è stato aggredito da un gruppo nazionalista indù
Sospettate di proselitismo, quattro organizzazioni non governative cristiane protestanti rischiano di dover interrompere le attività perché il ministero dell’interno indiano ne ha sospeso le licenze, indispensabili per ricevere fondi dall’estero. Due ong operano nello stato di Jharkhand, la terza, impegnata in India dagli anni 50 del secolo scorso, nel Manipur, e la quarta, anch’essa presente da oltre mezzo secolo, nel Maharashtra. Non è la prima volta che il governo indiano si serve di questo espediente per colpire le organizzazioni no profit cristiane e interferire nei loro programmi. I finanziamenti internazionali sono infatti vitali per molte organizzazioni. Nel 2017, ad esempio, è stata costretta a chiudere i battenti la Compassion International, accusata di utilizzare fondi provenienti dall’estero per conversioni al Cristianesimo. Aveva iniziato l’attività nel 1968 e tramite 589 partner locali si prendeva cura di oltre 147.000 bambini, il 76 per cento dei quali indù. “Le accuse di conversione forzata – spiega l’agenzia di stampa AsiaNews nel riportare la notizia – sono false e servono a montare le tensioni etnico-religiose nella società, seminando semi di sospetto contro la vulnerabile comunità cristiana. Le draconiane leggi anti-conversione e i gruppi radicali di vigilanza hanno creato una forte insicurezza fra i cristiani”. Il 13 settembre nell’Uttar Pradesh i militanti di un gruppo fondamentalista indù ha fatto irruzione nell’abitazione di Santosh Kannaujia, il Pastore pentecostale di una piccola comunità, accusandolo di aver tentato di convertire centinaia di fedeli indù al cristianesimo nel villaggio di Cholapur. I membri della comunità hanno reagito ed è stato necessario l’intervento della polizia per mettere fine allo scontro.