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In Gran Bretagna vince chi tifa Palestina

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Le elezioni oltremanica confermano una nuova tendenza, già consolidata in Europa: il voto islamico fa la differenza penalizzando i candidati non ritenuti abbastanza filopalestinesi.

Politica 16_07_2024

In Gran Bretagna volano solo le sinistre pro-Gaza. Chi ha scelto la Palestina come unico programma della campagna elettorale per lo scorso 4 luglio ha vinto di misura. Confermando, così, una nuova tendenza, ma già consolidata in Europa. È una galassia composita, che vede la sinistra alleata dell’islam e di una fetta di voto giovanile studentesco, tenuta insieme, oggi più che mai, dall’opposizione ad Israele. E agisce di conseguenza. 

È così che la sinistra di Starmer ha visto un esodo insperato di elettori e candidati, per un successo che, comunque, è stato meno clamoroso di quanto sia apparso. La versione breve è che è frutto di un sistema di voto fatto di 650 collegi uninominali, che eleggono un parlamentare ciascuno, e dove vince solo il primo – non conta con quanti voti. Lo chiamano first past the post. È così che con appena il 33,9% i laburisti hanno ottenuto 411 seggi, mentre, per esempio, il partito dell’ingegnere della Brexit, con il 14,3% di voti, ha eletto quattro parlamentari. Rispetto alla tornata elettorale precedente il partito della sinistra inglese ha perso ben 7 punti percentuali. Quello del 4 luglio scorso è stato, inoltre, il voto con l’affluenza più bassa dal 2001 – ferma al 59 %. Nel 2019, si era fermata al 67,3 %. E più in generale, in Inghilterra mai erano scesi sotto il 70 % di votanti fino alla fine degli anni ’90. Il referendum sulla Brexit, per esempio, aveva visto il 72,2 % degli inglesi recarsi al voto. 

È in tale contesto che il voto islamico inglese assume un peso specifico molto importante: il Labour è calato, in media, di 23 punti nei seggi in cui almeno il 20% della popolazione si identifica come musulmana. In Inghilterra e Galles circa il 6,5 % della popolazione si dice musulmana. E sebbene non vi sia un “voto islamico” coeso, l’80 % degli elettori musulmani a livello nazionale ha sempre votato per i laburisti alle elezioni. Rafforzando, di anno in anno, i legami storici creatisi dopo la migrazione di massa dei lavoratori dal Pakistan negli anni ’50 e ’60. 

Se, infatti, il partito laburista è da sempre il luogo d’elezione dei musulmani, la guerra in Medio Oriente ha modificato ogni cosa e corroborato i rapporti: sono state tante le ex roccaforti labour andate ad indipendenti di sinistra che offrivano posizioni molto più estremiste su Gaza. E tanti elettori hanno preferito non votare dove non c’erano candidati ritenuti all’altezza delle istanze islamiche.

In uno dei colpi più clamorosi della serata, il ministro ombra Jonathan Ashworth, fedelissimo di Starmer, ha perso il suo seggio a Leicester South contro Shockat Adam, candidato musulmano indipendente per la sinistra. Ha brindato al grido di: «Questo è per Gaza!». Lì, il 30 % degli elettori è musulmano. 
A Dewsbury, Batley, Birmingham e Blackburn, cittadine dalle notevoli comunità islamiche, e tutti seggi storici della sinistra, gli indipendenti hanno schiacciato i laburisti. I vincitori hanno tutti lo stesso comune denominatore: l’attivismo pro Palestina. A Blackburn ha vinto Adam Hussain rivendicando di averlo conquistato «come risultato di un voto di protesta sulla scia di un genocidio». Iqbal Mohamed ha stravinto a Dewsbury, con lo slogan «cessate il fuoco».  

A Islington North c’è il vincitore più noto: Jeremy Corbyn si è ripresentato da indipendente, dopo essere stato sospeso dal partito con l’accusa di antisemitismo, e ha staccato il candidato laburista vincendo di oltre 7.000 voti. 
In tutta la zona est di Londra, i parlamentari laburisti in carica hanno resistito all’assalto degli indipendenti pro-Pal per una manciata di voti.  
Il giorno delle elezioni, lo scorso 4 luglio, nel quartiere di Tower Hamlets, nell’East London, dove quasi il 40 % della popolazione è musulmana, un camper da campagna elettorale ha parcheggiato davanti al seggio di Whitechapel per riprodurre ad oltranza: «Votare per il partito laburista significa votare per un genocidio».

Intervistati dal New York Times, alcuni elettori di sinistra, hanno dichiarato che, dopo una vita nel partito della rosa bianca e rossa, quest’anno non gli avrebbero ridato il voto. 
Per la Palestina certo, ma anche per le posizioni che Sir Starmer ha assunto contro l’immigrazione. Quando, infatti, il segretario del partito, rispondendo ai lettori di The Sun, ha sostenuto che c’è un problema nel Regno Unito rispetto ad alcuni paesi i cui immigrati dovrebbero essere mandati indietro, per esempio, «Al momento», ha detto, «le persone provenienti da paesi come il Bangladesh non vengono espulse perché non vengono sottoposte a giuste procedure di controllo», s’è scatenato il putiferio. 

Secondo quanto riporta la BBC, gli elettori islamici ritengono che il Labour sia diventato anche un po’ islamofobo. I musulmani inglesi, dal giorno dopo il 7 ottobre, hanno chiesto incessantemente a Sir Keir Starmer di condannare duramente Israele e fare pressioni per ottenere un "cessate il fuoco" immediato. Ma da quando è diventato leader del partito laburista nel 2020, Starmer ha dovuto lavorare duramente per prendere le distanze dalle accuse di antisemitismo in un partito che ha dovuto persino estromettere il suo leader per la tendenza espressa. Tant’è che il Labour ha subito appoggiato Israele. Ma quando ha visto che la base degli elettori non ci stava e soprattutto che il voto islamico iniziava a scalciare, ha iniziato un lento passo indietro. Troppo lento, per gli elettori di sinistra, che comunque, però, hanno premiato di più la sua posizione che quella di Rishi Sunak. 

Ma uno Starmer troppo poco palestinese, già a febbraio, in un’elezione suppletiva, era costato al partito un seggio parlamentare a Rochadale. Nel nord del Paese, dove George Galloway, attivista di estrema sinistra, già laburista e poi fondatore del Workers Party of Britain, ha vinto facendo appello agli elettori musulmani (il 35% della popolazione) e festeggiato al grido (anche lui!) di «Keir Starmer, questo è per Gaza». 

Sono, poi, diversi gli esponenti di partito che si sono dimessi in protesta per la posizione del Labour su Gaza. Ci ha pensato, allora, The Muslim Vote, un’organizzazione musulmana, nata in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, e che nella sua orbita vede personaggi legati ad Hizb al-Tahrir, struttura politica internazionale pan-islamica e fondamentalista, e altre vecchie organizzazioni inglesi, tra cui l’Associazione Musulmana della Gran Bretagna (MAB), il Muslim Engagement and Development e il Forum Palestinese in Gran Bretagna, a fare, anche per il rinnovo del Parlamento inglese, una campagna a tappeto per tutto il Paese a sostegno dei candidati indipendenti capaci di difendere le istanze islamiche e la lotta per la Palestina.

Ad oggi il voto musulmano nel Regno Unito vale 3,9 milioni di elettori. E Abubakr Nanabawa, coordinatore e portavoce della campagna di The Muslim Vote, ha descritto la mobilitazione dell’elettorato islamico come “storica”.A scrutare il crollo dell’affluenza, i deputati eletti e la capacità di mettere in difficoltà il Labour, ancora una volta abbiamo la certezza che il muslim vote fa la differenza.



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