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FOCUS

In Egitto bombe e scontri allontanano la normalità

Decine di morti anche ieri per pesanti scontri al Cairo, dopo i 15 di venerdì causati da quattro attentati. Nel terzo anniversario della rivoluzione di piazza Tohrir e dopo la messa fuorilegge dei Fratelli Musulmani, emergono tutti i limiti di un potere nelle mani dei militari.

Esteri 26_01_2014
Manifestazioni al Cairo

Morti. Ancora tanti morti ieri in Egitto, certamente almeno 29. Ma non ha molto senso mettere nero su bianco un numero quando si è praticamente sicuri che tra il momento in cui scriviamo e quando lo leggerete saranno diventati ancora di più. Il bilancio degli scontri al Cairo e nel resto del Paese in occasione del 25 gennaio - il terzo anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir - è stato di nuovo pesante. Ed è giunto il giorno dopo il già tragico bilancio della giornata della vigilia, quella scossa dai quattro attentati nell'area metropolitana del Cairo e dai primi scontri con i sostenitori del deposto presidente Morsi, con un bilancio complessivo che era già stato di 15 morti.

La giornata di ieri ha mostrato con chiarezza tutta la complessità della situazione oggi in Egitto. C'era piazza Tahrir, la piazza simbolo della caduta di Mubarak, piena di gente con le foto del generale al Sisi e del ministro degli Interni Mohamed Ibrahim (un fatto quest'ultimo decisamente bizzarro: in quale Paese il giorno dopo quattro attentati portati a segno nel momento di massima allerta si osanna il ministro degli Interni?). Fuori - oltre il cordone creato da un massiccio sistema di sicurezza - andavano in scena gli scontri. Quelli con i sostenitori di Morsi che - nonostante la messa al bando dei Fratelli musulmani - continuano a protestare contro il «golpe» di luglio. Ma non solo.

Perché ieri al Cairo si è fatto vedere anche il terzo fronte, che non sta né con al Sisi né con i Fratelli musulmani. L'Egitto dei giovani attivisti laici delusi per la svolta autoritaria che c'è e si fa sentire: ieri hanno contato anche loro i propri morti negli scontri con le forze di sicurezza e con bande non proprio rassicuranti di sostenitori del generale pronte a menar le mani contro «quelli che non capiscono il pericolo del terrorismo». Tra le centinaia di arrestati di queste ore non c'è solo l'ennesima tornata di islamisti, ma anche tanti giornalisti (stranieri compresi), fotografi, blogger, storici attivisti dei diritti umani al Cairo.

Sono i conti che non tornano di una situazione sempre più avvitata su se stessa. Perché il pericolo islamista rimane alto, come hanno dimostrato gli attentati di venerdì (seguiti - peraltro - anche ieri da un attacco con un autobomba a una caserma delle forze di sicurezza a Suez). Sarebbe il caso di farsi qualche domanda in più prima di prendere automaticamente per buona la distinzione tra i bombaroli qaedisti e i «non violenti» Fratelli musulmani. Gli attentati sono stati infatti rivendicati sì dal gruppo Ansar Bayt al Maqdis, definito come una filiale di al Qaeda con le sue basi nel Sinai.

Però bisognerebbe anche chiedersi da dove spunta e come è cresciuta questa formazione nel Sinai. Perché intanto andrebbe chiarito che Ansar Bayt al Maqdis significa i «Sostenitori della Santa Casa», che ovviamente in questo caso è un riferimento al nome islamico di Gerusalemme. Questa formazione è stata lasciata crescere nel Sinai dopo che con l'uscita di scena di Mubarak è finita la cooperazione militare tra la sicurezza egiziana e Israele. E guarda caso proprio a partire dall'estate 2012 - con Morsi presidente - il gruppo ha messo a segno dal Sinai una serie di operazioni contro obiettivi legati allo Stato ebraico senza che le autorità del Cairo intervenissero mai seriamente per combatterlo. Il minimo che si possa dire - dunque - è che quella di  Ansar Bayt al Maqdis è una presenza che i Fratelli Musulmani hanno tollerato.

Ma c'è anche chi - qualche mese fa - si è spinto più in là con una denuncia clamorosa: il fondatore del ramo egiziano della Jihad islamica Nabil Naeem ha sostenuto che Khairat el-Shater - l'islamista miliardario, numero due dei Fratelli musulmani, anche lui in carcere al Cairo dallo scorso luglio - avrebbe stretto nei mesi precedenti un vero e proprio accordo con Ansar Bayt al Maqdis. E a mediarlo sarebbe stato Mohamed al-Zawahiri, il fratello del medico egiziano divenuto il volto simbolo di al Qaeda dopo la morte di Bin Laden. Il che spiegherebbe anche come mai all'improvviso questo movimento fino a ieri sconosciuto sia in grado di sferrare un attacco così in grande stile.

Può un Paese come l'Egitto di oggi sottovalutare questo tipo di minacce? Certamente no. Però la giornata di ieri ha confermato che una risposta solo muscolare alla fine fa il gioco degli islamisti. Oggi era atteso il discorso del capo dello Stato ad interim Adly Mansour con l'annuncio della data delle elezioni presidenziali. Ma è possibile immaginare un voto vero con dietro alle sbarre tutte le voci che non si riconoscono nel coro in favore di al Sisi? E poi: nonostante lo spiegamento di poster e bandiere, l'esercito da solo è in grado di garantire quel ritorno alla normalità che la gente al Cairo ha chiesto nei giorni scorsi con il voto a favore della Costituzione? Il test del 25 gennaio 2014 sembrerebbe proprio dire di no.