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LETTERE IN REDAZIONE

In difesa dei piccoli imprenditori

La generica lotta all'evasione fiscale si sta traducendo in una persecuzione dei piccoli e micro imprenditori che rappresentano il 95% delle imprese italiane. I risultati non tarderanno a farsi sentire. 

Caro direttore,

ritengo doveroso un appello un appello affinchè, con la Legge finanziaria non si affossi anche, tutta intera, una componente assai vitale nella produzione di Pil in questo disgraziato paese.
Nei giorni scorsi la maggior parte della stampa nazionale, ha dato ampio risalto alle lettere di chi lamentava quanto questa manovra colpirebbe i “soliti noti”, che presumo essere i lavoratori dipendenti, a tutto vantaggio dei soliti “evasori fiscali”, entità ormai mitica dato che mai le si dà ulteriore specificazione e volto.

Per la verità, questo tipo di lamentazione, è un mantra ricorrente cui non sfugge ormai più nessuno, in una sorta di “dalli all’untore” al quale si lasciano volentieri andare in tanti, destra, sinistra, volgo e giornalisti tutti. La cosa preoccupante è che spesso, troppo spesso, quasi sempre non si sappia bene di che cosa si stia parlando: la materia, infatti, non è così semplice da prestarsi allo slogan populista, propagandista, semplicistico, demagogico e falso, che è quello in genere  che raccoglie i più facili consensi, del dalli all’evasore.

Non nascondiamoci dietro un dito e diciamolo, una volta per tutte, dato che ce l’abbiamo lì, sulla punta della lingua, chi è questo “untore” di debito pubblico, questo mitico “evasore fiscale”. E’ chiaramente all’area del lavoro autonomo e delle partite iva che si vuole alludere.

Faccio timidamente notare due cose: la prima è che, dato ISTAT 2009, il 95% delle imprese italiane è costituito da attività con meno di 10 dipendenti (imprenditore compreso). Si parla di 18 milioni di persone, tanto per fissare dei numeri. Di sfuggita, faccio pure notare che il 35% è costituito da ditte individuali. Sempre nella direzione di fare chiarezza quanto più sia possibile, vale la pena osservare quanto questi piccoli, micro, imprenditori, accettando le pure e semplici regole del mercato, rischino del loro e non siano tutelati da alcuna delle varie provvidenze che invece proteggono la vita del dipendente. Se un cliente importante non paga, se il mercato subisce una contrazione, se il lavoro sparisce, non esiste cassa integrazione per loro, si chiude e, spesso, si fallisce (che è una cosa assai dolorosa e gravida di conseguenze, per sé e per la propia famiglia). Non esiste malattia così come non esistono ferie pagate. Quasi mai ricorrono alla sanità pubblica e si pagano le visite specialistiche senza fiatare (non potrebbero permettersi di fissare appuntamenti a 3, 4 6 mesi semplicemente perché non sono padroni del proprio tempo che appartiene invece ai loro clienti) e, per i propri figli, farebbero volentieri a meno della scuola pubblica.

Pur pagando fior di contributi, le loro pensioni, se e quando ci arrivano, si collocano poco al di sopra della pensione sociale e, in ogni caso, a partire da un anno e mezzo dopo il lavoratore dipendente di pari anzianità lavorativa (si sono ormai abituati a vivere come dhimmi). Una sciocchezza, ma vale la pena citarla per dire del clima che circonda il piccolissimo, micro imprenditore: per il semplice fatto di possedere partita Iva, il figlio di costui viene di fatto tolto dalle liste di accesso agli asili nido comunali. Si paga per lo stato sociale ma non lo si usa, quasi per nulla.

E veniamo al secondo punto, che riguarda il rapporto che lo stato ha instaurato nei confronti di questi piccoli/micro imprenditori. Vediamo dapprima che cosa chiede lo stato alle nostre aziende: da uno studio della Banca Mondiale (Paying Taxes 2011 – A global picture) disponibile online per chiunque, il cumulo di tasse gravante sull’impresa media in Italia è del 68.6%, il che ci colloca al 167° posto sulle 183 economie del mondo (vedere a pagina 101 dello studio citato). Avete letto bene, solo 16 posizioni prima del paese più tassato al mondo (Congo) e di poco avanti a paesi come: Sierra Leone, Eritrea, Comore, Colombia, Bolivia, Bielorussia e Burundi. Non proprio paesi democratici e, per di più, con un alto tasso di corruzione.

Va detto che la grande e media azienda generalmente sfugge a questo inferno: delocalizzando all’estero con unità produttive ed altro. Si tratta di pratiche che il piccolo/micro imprenditore non si può certo permettere a causa dei costi e della organizzazione richiesta.  Per assicurarsi poi che il nostro piccolo/micro imprenditore paghi questo “modesto obolo” del 68.6% e non venga invece indotto nella tentazione di evaderlo, il governo di centro-destra, retto dal ministro Tremonti, ha posto in essere, e qui veniamo al punto più interessante di tutta la vicenda, una serie di leggi e disposizioni che vedono al centro l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia (il riscossore delle tasse).

Innanzitutto, in materia fiscale, si è proceduto manu militari a rovesciare uno dei cardini di ogni giurisdizione civile, l’onere della prova. Il contribuente è colpevole fino a prova contraria. Il che si traduce nel fatto che, basandosi su semplici dati presuntivi, l’Agenzia delle Entrate può richiedere il pagamento di tasse che “secondo loro” sono state evase, senza produrre alcuna evidenza che l’evasione si sia realmente prodotta.  Accade così che, da anni, piovano su tutte le piccole/piccolissime imprese italiane, decine di avvisi di accertamento all’anno per somme che, nella stragrande maggioranza dei casi non sarebbero dovute. Fino a che le somme “presuntivamente” accertate si aggirano sui 5,000 Euro,  l’imprenditore non ha altra scelta che pagare: una causa tributaria dura dai 7 ai 10 anni e dato che l’Agenzia delle Entrate persegue, di default, tutti e tre i gradi di giudizio, di conseguenza non sono di fatto sostenibili spese legali di quell’entità per il piccolo contribuente.

Purtuttavia e nonostante la situazione di cui sopra, l’Agenzia delle Entrate è soccombente per più del 50% dei casi in cui si giunge a giudizio. E’ un dato clamoroso che la dice lunga sull’uso per lo più arbitrario del rovesciamento dell’onere della prova. Da notare che le Commissioni Tributarie (il primo grado di giudizio), per formazione culturale e politica dei loro componenti, sono solitamente molto restie a far prevalere le ragioni del privato nei confronti dello stato.

Non si era infatti previsto che l’uso di “leggi speciali” in materia fiscale avrebbe fatto aumentare il ricorso ai tribunali in maniera esponenziale (anche se da qualche parte lo si era detto) e, di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate, complici Equitalia, Tremonti, la Lega ed il suo governo, vi hanno presto posto mano. Accade cosìche dal giorno 1 di Ottobre del corrente anno entreranno in vigore nuove disposizioni in materia di accertamento fiscale: l’avviso di accertamento (il semplice avviso) diviene cosìtitolo esecutivo per modo che le somme ivi reclamate dall’Agenzia, dovranno essere pagate prima di iniziare un qualsiasi e democratico confronto, pena l’immediato pignoramento di casa, auto e beni vari da parte di Equitalia. Il problema è immediatamente risolto alla radice: dove vai a trovare i soldi per la causa quando hai la casa pignorata? Chi te li dà, la banca? Provaci.

Si tratta di misure (rovesciamento dell’onere della prova e carattere esecutivo dell’avviso di accertamento) che non si sono mai viste sulla faccia della terra e che fanno dell’Italia un paese al di fuori del novero dei paesi democratici (ritorniamo un attimo alla graduatoria della World Bank citata poco fa): forse, leggi simili, sono state promulgate soltanto durante il ventennio fascista, quando diventò normale espropriare i beni degli ebrei. E’ in corso un vero e proprio esproprio nei confronti di un intero gruppo sociale non trascurabile sia come puro dato numerico che per l’apporto che conferisce al Pl del paese.

Non è una novità, qualcuno lo aveva teorizzato con molta lucidità ed esiste una corrente di pensiero molto forte volta a fare sparire questo “cancro” dall’Italia. Si vedano Amato, Visco e tutta l’intelligentsija che vive solo di stato, in un modo o nell’altro, o perché dipendenti da quest’ultimo o perché assistiti a qualche titolo.

Peccato che i mercati non credano che tutto ciò possa fare ripartire l’economia in Italia e continuino a svendere tutto ciò che hanno in mano di questo disgraziatissimo paese. Sono cose queste che per un giornalista, per un dipendente, pubblico o privato che sia, risultano semplicemente incomprensibili, non essendone toccati. Lo capirete fra poco.

La ringrazio per l'attenzione e Le porgo i piu' distinti saluti,
 
Lettera firmata