In Corea del Nord le attività religiose sono crimini politici
L’edizione 2020 del Libro bianco della libertà religiosa documenta il persistere di livelli estremi di persecuzione specialmente contro i cristiani da parte del regime di Kim Jung-Un
Il Database Center for North Korean Human Rights ha da poco pubblicato l’edizione 2020 del “Libro bianco sulla libertà religiosa” della Corea del Nord. Il Centro, fondato nel 2003, ha iniziato nel 2007 a raccogliere dati e informazioni sulla persecuzione religiosa nel paese e ogni anno redige un rapporto. Poiché il regime impedisce che si indaghi sulla situazione dei diritti umani, in gran parte le notizie si devono ai cittadini nordcoreani che riescono a espatriare. Finora il Centro ha raccolto informazioni da 1.234 fonti e ha documentato 1.441 casi di persecuzione religiosa. L’edizione 2020 del libro bianco conferma che le attività religiose continuano a essere considerate dal regime atti “anti-statali” e pertanto sono punite come crimini politici. In merito alle sanzioni previste per chi svolge attività religiose, il 46,7 per cento delle persone intervistate hanno risposto che la punizione è l’internamento nei campi di lavoro forzato. Ma ben il 38,6 per cento non hanno saputo rispondere semplicemente perché la repressione del regime è tale che della religione ignoravano tutto. Nel 2014 Kim Jung-Un, che nel 2011 ha assunto la carica di “guida suprema” ereditandola dal padre Kim Jong-il, ha ordinato di “arrestare tutte le persone in qualche modo in contatto con il Cristianesimo. Da allora delle squadre di agenti danno la caccia ai Cristiani, braccandoli persino in Cina. Sono affiancati da dipendenti del Dipartimento di sicurezza nazionale, dei Servizi segreti e persino dell’ambasciata nordcoreana in Cina. Nonostante la durissima persecuzione, il rapporto rivela che ogni anno il numero dei nordcoreani che affermano di “aver visto una Bibbia” aumenta in media del 4 per cento. Prima del 2000 solo 16 persone avevano ammesso di aver visto una Bibbia. Adesso sono 559 gli esuli che dichiarano di aver visto una Bibbia mentre vivevano in patria.