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DROGA

In compagnia la cannabis fa bene. Pare

Mentre la Corte di Cassazione definisce "penalmente irrilevante" il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, l'onorevole Bernardini inaugura un “cannabis social club”. Forse che fumarla insieme – o per motivi "terapeutici" – ne riesca a cancellare gli effetti peggiori?

Cronaca 02_02_2013
cannabis e cervello

La recente iniziativa dell’onorevole radicale Bernardini di promuovere il primo “cannabis social club” italiano, fa il paio con la decisione delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, che considera "penalmente irrilevante" il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti sia nell'ipotesi di "mandato all'acquisto" sia in quella del "acquisto comune". Tanto che la stessa Bernardini, alla sentenza, esulta e chiede la legalizzazione dell’uso delle cosiddette droghe leggere e il loro uso terapeutico.

I radicali attendono anche un’altra decisione della Suprema Corte, il 24 aprile, relativa all’iniziativa che riguarda la spensierata idea di migliaia – a detta loro – di giovani arrestati e processati per aver coltivato “un pò di cannabis” sul proprio balcone di casa. Tempo fa, la stessa Bernardini, durante una conferenza stampa alla Camera – presentando un progetto di legge che vuole introdurre la possibilità per persone affette da alcune gravi patologie di accedere sia alla cannabis in forma naturale sia ai farmaci derivati da estratti di cannabis e un altro progetto di legge che propone di depenalizzare la coltivazione domestica della marijuana – aveva piantato alcuni semi di cannabis in alcuni vasetti, pur consapevole che le coltivazioni di cannabis sono perseguibili penalmente. Nella stessa occasione, Emma Bonino si appellò al governo perché si considerasse l’opportunità di “una produzione in Italia di medicinali a base di cannabis tramite il centro di ricerca per le colture industriali di Rovigo e lo stabilimento farmaceutico militare di Firenze”.

Nella logica e nella strategia radicale, la depenalizzazione delle droghe leggere, hashish e marijuana, è il grimaldello attraverso il quale rendere libere tutte le droghe. Della strategia fa anche parte il “cannabis social club”, promosso da alcuni malati di sclerosi multipla amiotrofica e presentato nella sala consiliare del Comune di Racale, in provincia di Lecce, nei giorni scorsi: l’idea – condivisa, tra gli altri dall’immancabile don Andrea Gallo, che non presta molta differenza a un canto di Bella Ciao nella sua Chiesa e il consumo di droghe, e già ampiamente diffusa in Spagna, Olanda, Francia e altri paesi – è quella di garantire agli ammalati un luogo dove coltivare la cannabis di cui dicono di aver bisogno. La cannabis non li fa guarire, ma li aiuterebbe a stare meglio, dicono.

Sono malati che usano il Bedrocan, un farmaco a base di infiorescenze di cannabis prodotto da un’azienda olandese, che nel suo sito descrive la sua mission: “Comprendere e mettere a frutto interamente la potenzialità terapeutica della cannabis mediante la ricerca, l’insegnamento e la sua produzione per uso farmaceutico. Ci impegniamo per superare il divario tra le esigenze dei pazienti da un verso e, dall'altro, i requisiti di legge che la medicina al giorno d’oggi pone ai farmaci. Lavoriamo per realizzare soluzioni per i pazienti e i loro medici nei sistemi sanitari di tutto il mondo. Mediante lo sviluppo e la produzione sostenibile di varietà uniche di cannabis e di loro derivati contribuiamo a elevare il grado di accettazione della canabis per utilizzo medico ovunque nel mondo”. Una delibera della Regione Puglia – così come analoghe delibere di altre regioni – consente alle farmacie ospedaliere di ricevere il medicinale, ma sembra non sia facile da reperire. Questo fatto, secondo i fautori del "Cannabis social club", porterebbe tanta gente a ricorrere al mercato nero e persino alla criminalità organizzata.

L’associazione radicale “Coscioni”, dal canto suo, nel suo sito, dichiara: “Gli esseri umani utilizzano la cannabis fin dal Neolitico. Da allora ad oggi questa pianta ha conosciuto una grande varietà di utilizzi, incluso quello terapeutico legato alle sue proprietà analgesiche, sedative e miorilassanti”. È proprio vero: dalla preistoria, gli esseri umani hanno conosciuto tante cose, compresa la cannabis e una serie di aneddoti tramandati riguardanti l'uso medico della marijuana (infiorescenza femminile essiccata della cannabis). Aneddoti a parte, sono queste le cose che si sanno con certezza: la relazione, documentata da una serie di studi epidemiologici, tra precoce consumo di cannabis ed insorgenza, anche a distanza di molti anni, di psicosi di tipo schizofrenico in soggetti predisposti (stessa cosa può avvenire per gli utilizzatori cronici di cannabis, essendo il THC una sostanza psicotropa, capace cioè di alterare l'attività mentale); l'introduzione delle varietà di cannabis da coltura idroponica o in serra ha documentato scientificamente il suo impatto sulla guida, la capacità di indurre dipendenza, la compromissione a lungo termine delle funzioni cognitive e della memoria e infine, l'insorgenza di sintomi schizoidi.

In Italia, l'uso della cannabis è illegale: la legge del 2007 <http://genova.erasuperba.it/inchieste-genova/cannabis-terapeutica-marijuana-medicina-legge-burocrazia> dice che la cannabis può essere usata nelle patologie degenerative e nelle terapie del dolore, ma la prescrizione del tetraidrocannabinolo può essere fatta laddove la sostanza sia l'ultima opzione terapeutica possibile. Del resto, negli Stati – dove la FDA (Agenzia americana del farmaco) considera la cannabis alla stessa stregua dell’eroina e della cocaina, essendo dotata di proprietà assuefacenti e priva di utilità terapeutica adeguata a controbilanciare il pericolo di dipendenza – è avvenuto che i dispensari della cosidetta “Medical Cannabis” sono diventati il modo per produrre, commercializzare e consumare la cannabis a scopo voluttuario e ricreazionale.

È evidente che le forzature volte a far credere che della cannabis vi sia necessità a livello terapeutico servono solo per diffonderne il suo uso a tappeto e per scardinare il sistema proibizionista. Si spaccia come cosa assodata che la legalizzazione delle droghe argini i numeri che produce la droga: 300 miliardi di dollari di fatturato; 200mila morti nel 2010, con una persona su venti nel mondo che fa uso di sostanze stupefacenti; circa 230 milioni di persone, il 5 per cento della popolazione mondiale adulta (tra i 15 e i 64 anni), che si possono considerare consumatori; tra questi, 27 milioni, circa lo 0,6 per cento, sono tossicodipendenti dall'eroina e dalla cocaina: uno ogni 200 abitanti (dati del Rapporto 2012 dell’UNODC, l'Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine organizzato). Senza considerare che proprio quei numeri sono il prodotto di quella cultura libertaria, che, dal ’68 in avanti, ha inquinato la società occidentale, erodendo la nozione di quello che si era imparato a conoscere come umano.