“In Cile la gente ha perso fiducia nella Chiesa”
La Chiesa cilena è sotto attacco da parte dei sovversivi che da ottobre 2019 tengono il Paese in ginocchio: da allora sono state distrutte 57 chiese. Mons. Alberto Lorenzelli, vescovo ausiliare di Santiago del Cile, spiega come la Chiesa locale cerchi di recuperare la sua credibilità dopo il terremoto causato dagli scandali sugli abusi sessuali: “Il tempo di una Chiesa un po’ trionfalistica è passato. I casi di abusi hanno avuto una ricaduta nel tessuto sociale”.
Da più di quattro mesi il Cile cerca di sopravvivere all'eccessiva violenza dei gruppi sovversivi che non solo hanno generato un notevole danno materiale, minacciando di distruggere quella che era l'economia più prospera dell'America Latina, ma hanno anche attaccato direttamente la Chiesa cattolica.
Fino allo scorso 26 gennaio, 57 chiese cattoliche ed evangeliche sono state attaccate con danni di varia entità: “dai vetri rotti al saccheggio massiccio fino alla profanazione del Santissimo Sacramento. Gli attacchi sono diffusi in tutto il paese”, si legge nel rapporto della Commissione interamericana per i diritti umani. E, nonostante ci siano prove dell’organizzazione dietro questi attacchi, è evidente il senso di malessere del popolo cileno contro la Chiesa cattolica.
Per tentare di ottenere risposte, la Nuova BQ ha intervistato in esclusiva Mons Alberto Ricardo Lorenzelli Rossi, salesiano inviato da Papa Francesco a Santiago del Cile come vescovo ausiliare nel luglio 2019, dopo il terremoto subìto dalla chiesa locale a causa degli scandali per abusi sessuali che ha coinvolto membri del clero cileno; secondo la procura nazionale al momento ci sono 271 vittime che ancora attendono giustizia.
“La Chiesa vive un momento di difficoltà, lo sappiamo, per vari temi, perché anche come istituzione ci ritroviamo toccati dal tema degli abusi e questo ha colpito fortemente quello che è il tessuto sociale”, ha detto. Inoltre, ha spiegato che, sebbene la fede dei cileni rimanga intatta, “la gente ha perso quella fiducia che aveva un tempo nella Chiesa e che era molto alta”. Tuttavia, ha sottolineato che “la gente comune rifiuta la violenza. Le persone hanno il desiderio di ritrovare la loro stabilità e la possibilità di vivere bene”.
In effetti, nella storia cilena la Chiesa cattolica ha sempre avuto un ruolo da protagonista, era una voce rispettata. Nell'attuale crisi del Paese e di fronte a questa perdita di credibilità, quale ruolo ha assunto la Chiesa?
Io credo però che il tempo di una Chiesa un po’ trionfalistica sia passato. E' il momento di una Chiesa vicina alla gente, che recuperi il suo servizio pastorale, evangelizzatore...; però è necessario che sia una Chiesa più umile, che sappia anche parlare nel fare. Una Chiesa che dà solo annunci, che fa bei documenti, non è la Chiesa che oggi la gente si aspetta. È in questo "fare" di presenza, di ascolto, di contenimento di fronte al momento che si vive, un ascolto anche capace di soffrire con la gente che soffre. Credo che in questa Chiesa potremmo essere una voce, una voce più significativa, più forte. Soprattutto oggi, coinvolgendo anche tutte le istituzioni, gli imprenditori, le istituzioni politiche, le istituzioni sociali, è necessario avere quell’attenzione per coloro che sono più sfortunati. Oggi credo che la parola che potrebbe essere più significativa come Chiesa è dare di più a chi ha avuto di meno.
I vescovi hanno lanciato un appello per il dialogo nazionale, chiedendo che si tratti di un “dialogo partecipativo senza esclusioni”; può descrivere quali sono le condizioni necessarie affinché tale dialogo sia possibile?
È necessaria la cultura dell'incontro, che è ciò che predica Papa Francesco, che è un dialogo più aperto per evitare, da una parte, le forme di violenza e, dall'altro, favorire anche l’ascolto. In fondo ciò che stanno richiedendo le persone, soprattutto coloro che si trovano in situazioni di difficoltà, è una situazione migliore. I problemi più evidenti che appaiono sono gli stipendi molto bassi, una educazione che sia più inclusiva, la questione delle pensioni. La gente lavora per tantissimi anni e poi si ritrova con una pensione da fame che non permette loro, con il carovita, di affrontare le singole giornate e di arrivare alla fine del mese. E, dall’altra parte, appaiono tutte quelle altre diseguaglianze che sono evidenti tra quella che è una Santiago del “barrio alto” e quelli che sono i quartieri più poveri, dove in fondo la gente fa veramente fatica a vivere... Quindi, cultura dell'incontro significa aprire un dialogo. I partiti politici sono i primi a dover iniziare un dialogo, poiché esistono molti individualismi e ciò non consente di comunicare. È tempo di un'unione nazionale che stabilisca leggi equanimi per tutti. E, in secondo luogo, tutte le classi sociali devono partecipare, anche con le istituzioni sociali, per costruire tutto ciò che è necessario per ridurre ulteriormente le disparità. Un dialogo in cui la Chiesa deve essere presente, perché ogni giorno nelle parrocchie si sente il grido della gente, dei più bisognosi.
Ma gli attacchi mostrano una frattura sociale anche con la Chiesa. Come può la Chiesa cattolica riguadagnare questa credibilità?
Prima di tutto dobbiamo essere credenti, uomini e donne di fede, una fede reale, una fede concreta. Una fede così diventa credibile, una fede così diventa autentica; questo arriva al cuore della gente. Forse in questo senso abbiamo peccato fortemente e la gente, molte volte, ci ha visto mettere dei pesi sulle sue spalle; le abbiamo mostrato le sue mancanze e ci siamo dimenticati di guardarci dentro, lì dove spesso erano i peccati, nel nostro cuore. Parlavamo bene ma agivamo male.
La più grande sfida ancora da affrontare?
La sfida più grande è rispondere ai nostri giovani. Credo che abbiamo perso il contatto con loro e abbiamo la necessità di aprire un dialogo con tutti; dovremmo anche dialogare con i giovani dissidenti, perché per la Chiesa i nostri giovani non sono solo quelli che partecipano, sono tutti. Perciò dobbiamo aprire un dialogo con loro, altrimenti rischiamo di essere una Chiesa che crea una frattura molto forte con le nuove generazioni. Credo che anche i giovani siano alla ricerca di una Chiesa che, più che giudicarli, sappia amarli per quello che sono e loro, a loro volta, ameranno quello che noi proponiamo. Io credo che la Chiesa in questo momento stia prendendo più consapevolezza dei propri errori. Deve essere più profetica e non tanto guardando al futuro, ma profetica nel suo presente. Questo cosa significa? Significa studiare un modo diverso di essere Chiesa.
Tuttavia, non sembrano essere sufficienti i tentativi della Chiesa cattolica di recuperare la sua credibilità in Cile, perché dopo due anni di incontri tra i leader della Rete di sopravvissuti agli abusi sessuali ecclesiastici e l'inviato del Papa, Mons. Charles Scicluna, lo scorso 17 febbraio la rete ha reso pubblica una lettera in cui esprimono il loro disappunto per la “dilazione” e il “silenzio” della Santa Sede di fronte ai processi canonici ancora inconclusi.