Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Francesco d’Assisi a cura di Ermes Dovico
VIAGGIO A SANTIAGO

Cile in fiamme: il nemico oscuro e la Chiesa impotente

6 chiese in fiamme o saccheggiate in Cile. Chi c'è dietro? Un nemico oscuro di anarco-comunisti tollerati da una Sinistra ambigua e senza leader, che ora vogliono la guida delle proteste sfociate in violenza. Le diseguaglianze e gli abusi di potere nella società cilena come detonatore. Ma anche l'assenza della Chiesa cattolica, che, dopo essere stata travolta dagli scandali sessuali, ha rinunciato alla sua autorevolezza e al suo ruolo di collante sociale precipitando al 14% nel gradimento della popolazione. La Bussola ne parla con il missionario don Federico Ponzoni e l'educatore Bolivar Aguayo. 

Attualità 15_11_2019
La chiesa della Vera cruz di Santiago dopo il rogo

L’hanno ribattezzato estallido social. Non è propriamente una rivolta, quanto piuttosto un’esplosione, una bomba sociale improvvisa. In Cile la botta di proteste ha superato il confine del dissenso legittimo e si avvia verso la guerriglia urbana. Tutto questo produce inquietudine e rabbia. Una sommossa sociale contro le politiche neo liberiste del governo di Sebastian Piñera? Sarebbe riduttivo classificare in questo modo il ‘48 che da quindici giorni ormai agita le strade attorno alla Moneda. La violenza di questi giorni ha una gestazione lunga che attraversa anche il governo progressista di Michelle Bachelet.

E poi ci sono le immagini che hanno fatto il giro del mondo di statue di santi e Madonne distrutte e altari violati che non hanno prodotto una necessaria indignazione del circo mediatico.

L’ultima presa di mira è la chiesa della Vera Cruz di Santiago che è stata letteralmente data alle fiamme. Ma prima, tra l’8 e il 14 novembre, c’erano stati attacchi e saccheggi al tempio della parrocchia de La Asuncion, sempre nella capitale, e poi nelle cattedrali di Viña del mar, Valparaiso e Talca. Episodi isolati di balordi o una vera e propria offensiva anticlericale che cela un piano sistematico di cancellazione del cristianesimo in un Paese cattolico?

La posta in gioco è alta, ma le risposte non sono così immediate. Di certo, quello che sta accadendo in Cile con le proteste e con le degenerazioni che colpiscono anche il sentimento di fede sono il segnale che qualche cosa sta avvenendo nel tessuto sociale di quella che è ancor oggi considerata come la Svizzera del Latinoamerica. Ma che cosa?

Secondo Bolivar Aguayo, esponente del cattolicesimo cileno, educatore e presidente della Fundaciòn Domus che si occupa di progetti di educazione «siamo sicuramente di fronte a una situazione di diseguaglianza sociale che colpisce in maniera trasversale. Ma quello che non si comprende è come mai le strutture dello Stato siano così fragili per farvi fronte». Aguayo, che nei giorni scorsi, attraverso l’associazione vicino a Comunione e Liberazione, Encuentro Santiago, ha diffuso un comunicato sui disordini di questi giorni, parla di un «nemico oscuro che se la prende con una serie di immobili pubblici che vengono distrutti e poi con le chiese»

Di chi si tratta? «Finora ci sono ipotesi, non c’è un’identificazione chiara se non che si tratti di una componente di anarco-comunisti radicalizzati che hanno l'obiettivo di prendere la leadership della protesta».

Si ma fino a distruggere il sacro? «Sì perché - prosegue – il saccheggio delle chiese è parte di un odio verso un popolo intero. In alcuni permane questa ossessione di distruggere tutto quello che esprime un significato anche se “non parla” e gli edifici che sono stati bruciati non parlano nel linguaggio dell’odio e della violenza, ma comunicano pace e silenzio, comunque un’impronta di un Altro e per questo devono essere cancellati e coperti dalle grida rabbiose dell’anarchismo».

La distruzione delle chiese dunque sembra essere l’effetto collaterale di una rivolta che nasce da uno stato di necessità, ma che sta prendendo velocemente la piega di una insurrezione ideologica. «Ci sono gruppi anarchici che hanno già una storia – insiste Bolivar – e che sono stati tollerati dalla politica e in particolare dalla Sinistra. Sì, quando sono venuti a galla, il sistema cileno, anche durante gli anni della Bachelet, non è stato in grado di identificarli e controllarli. Eppure, hanno iniziato a proliferare subito dopo la transizione che termina con il presidente Lagos».

Già, la Sinistra: effettivamente una buona parte di responsabilità nella proliferazione di questo nemico oscuro ce l’ha anche il partito progressista cileno. «L’ambiguità della Nuova sinistra cilena e del Partito comunista nello strizzare l’occhio a questo modo di agire è sotto gli occhi di tutti, c’è una Sinistra dura che non ha rappresentanza parlamentare, ma la Sinistra parlamentare non è stata chiara nel condannare queste violenze, mostra una certa tolleranza anche perché per certi versi fa comodo dato che la Sinistra non ha attualmente un leader capace di guidare un’opposizione a Piñera». Senza leader, tollerante con le frange estreme e incapace di costruire un dialogo per poter vincere le elezioni: «In questa prospettiva la Sinistra ha trovato sicuramente la possibilità di guadagnare un po’ di visibilità. E’ come se, nella sua ambiguità, stesse scommettendo su questo conflitto».

E poi c’è la Chiesa, l’altro grande “malato”. «Sta vivendo con discrezione questi giorni – ci spiega Aguayo – ma è ancora troppo in silenzio per colpa degli scandali di pedofilia e abusi degli ultimi anni. La Chiesa in Cile è rimasta in silenzio di fronte ai fenomeni sociali, adesso ha un profilo molto basso tanto che – anche di fronte ai fatti di questi giorni che hanno colpito le chiese – la gente si domanda: «Dov’è la Chiesa? Certo, ci sono alcune dichiarazioni di condanna, ma l’impressione è quella di una assenza generalizzata».

La lettura sull’assenza della Chiesa cilena è sposata anche da don Federico Ponzoni, prete della Fraternità sacerdotale San Carlo in missione da molti anni a Santiago. Il sacerdote spiega alla Bussola di avere un osservatorio privilegiato: «Da un lato, nella nostra parrocchia di Puente Alto, che è una zona molto povera della città, vediamo la grande diseguaglianza sociale che vivono i cileni e dall’altro, insegnando all’Università cattolica della Capitale, vedo giovani attivi e socialmente impegnati, diciamo di estrazione sociale più agiata, ma comunque non indifferenti agli squilibri che ci sono, tanto che alcuni dei miei studenti della pastorale universitaria hanno partecipato ai cortei pacifici.

Infatti, si sbaglia chi pretende di inquadrare queste proteste in un ottica classista come se si trattasse semplicisticamente di una rivolta di strati più bassi della popolazione contro le elite». Ci sono reazioni giuste, dunque. Ma anche irrazionali e folli. E sono queste quelle più pericolose che rischiano di prendere il sopravvento. «Possiamo dire che il Cile sia un Paese ingiusto – prosegue – dove ci sono tantissimi abusi. Mi spiego: una banca che ti inserisce sull’estratto conto una spesa ingiustificata, un prete che abusa di ragazzini o un datore di lavoro che non paga adeguatamente i suoi dipendenti. Ecco, questo fa del Cile un Paese ricco, benestante, che chiamano la Svizzera del Sudamerica, ma anche un Paese profondamente ingiusto nonostante abbia ridotto esponenzialmente la soglia di povertà che fino ad alcuni decenni fa era del 40% della popolazione».

Don Ponzoni afferma anche che «l’animo cileno è piuttosto violento. Quando è stato messo davanti alla necessità di cambiare, il Cile l’ha sempre fatto in modo violento». Una volta, per frenare questi “bollori”, era indispensabile l’azione di mediatrice sociale rappresentata dalla Chiesa cattolica, ma anche qui si deve registrare un’assenza. «Certamente la Chiesa cilena ha perso credibilità e la causa è certamente la dolorosa vicenda degli scandali sessuali del clero (celebre il caso Barros per il quale dovette intervenire dopo insistenze il Papa, le conseguenti dimissioni in massa dell’episcopato cileno e il commissariamento in alcune diocesi ndr). Questo sicuramente ha pesato nell’autorevolezza della Chiesa. Basti pensare che fino a pochi anni fa, la Chiesa cilena godeva della fiducia dell’84% della popolazione, oggi è scesa al 14%». In questo scenario le conseguenze sono inevitabili: «Certo, la causa principale è la secolarizzazione, comune a tutto il Latinoamerica, ma è indubbio che i casi di abusi abbiano costretto la Chiesa a ritirarsi rinunciando ad essere il collante sociale capace di dialogare con tutti e a perdere molta della sua autorevolezza. Basti pensare al caso di Santiago, che dovrebbe essere la diocesi trainante, ma che invece è ancora commissariata da un amministratore apostolico».