In Africa la guerra si fa per il controllo dei bruchi
Sacerdoti uccisi che hanno scatenato la dura reazione della conferenza episcopale, un presidente che detiene il potere dal 2001. Ma in Congo tra i motivi di frizione tra le varie tribù ci sono anche i bruchi. Nel Katanga abbondano, ma non li mangia nessuno, invece a Kinshasa sono ricercatissimi perchè prelibati. E per il loro commercio ci sono stati già 13 morti.
Nella notte tra il 21 e il 22 ottobre un sacerdote, don Joseph Mulimbi Nguli, 52 anni, è stato ucciso in Africa, nella Repubblica Democratica del Congo. Era il vicario della parrocchia di San Martino di Katuba, un comune di Lubumbashi, capoluogo dell’Alto Katanga. Degli sconosciuti gli hanno teso un agguato mentre stava rientrando a casa e lo hanno ferito a morte con un colpo di Kalashnikov. Padre Joseph è il secondo sacerdote ucciso in Congo quest’anno. Il 20 marzo era toccato a padre Vincent Machozi, freddato da soldati governativi in un villaggio vicino a Butembo, nel Nord Kivu, mentre partecipava a un incontro di capi tradizionali nel centro sociale Mon Beau Village.
Di recente la Conferenza episcopale congolese, Cenco, si è detta allarmata per gli attacchi a parrocchie e comunità religiose soprattutto a Kinshasa, la capitale, a Kananga, capoluogo del Kasai Occidentale, e a Bukavu, capoluogo de
l Sud Kivu. Il Comitato della Cenco incaricato di seguire il processo elettorale, in vista delle presidenziali di novembre, in un comunicato ha inoltre espresso preoccupazione per i ripetuti massacri compiuti nel Nord Kivu, per gli scontri tra le forze dell’ordine e le milizie del capo tradizionale Kamuina-Nsapu che nel Kasai Centrale hanno provocato molti morti e feriti, per i cruenti conflitti intertribali riesplosi negli ultimi mesi in diverse province e infine, un po’ dappertutto, per la recrudescenza del banditismo.
L’allarme dei vescovi è più che motivato. Solo la scorsa settimana sono morte 22 persone in tre giorni di scontri tra Batwa e Luba, due etnie del Katanga. I Batwa, meglio noti come Pigmei, sono cacciatori-raccoglitori e vivono in prevalenza in foresta. I Luba sono Bantu, il grande gruppo etno-linguistico protagonista della prima grande colonizzazione del continente conclusasi entro il primo millennio che ha costretto i cacciatori-raccoglitori a ritirarsi nelle foreste e nei deserti, gli ambienti più inospitali. I Luba disprezzano i Batwa, li considerano inferiori. I Batwa si ritengono, non senza motivo, emarginati e discriminati. Spesso scoppiano delle liti che degenerano in aggressioni e atti di vandalismo. Negli ultimi tre anni le tensioni tra le due etnie hanno causato centinaia di morti.
Questa volta la ragione del contendere sono i bruchi. Nel Katanga i bruchi abbondano, ma non li mangia nessuno. Invece a Kinshasa e nei suoi dintorni, centinaia di chilometri più a ovest, affumicati e conditi con una certa salsa, sono considerati una prelibatezza. Così i Batwa li raccolgono in quantità sugli alberi e li vendono ai commercianti che li portano nella capitale. Ma nei giorni scorsi i Luba hanno deciso di imporre un dazio sui bruchi. I Batwa al vedersi ridotto il profitto, tanto più in modo arbitrario e illegale, si sono ribellati. Ne sono seguiti scontri costati la vita a diversi Luba. Per vendicarsi i Luba a loro volta hanno organizzato una spedizione punitiva riuscendo a uccidere almeno 13 Batwa.
Dai bruchi alla massima carica dello stato. Tra il 19 e il 21 settembre l’annuncio di un probabile rinvio delle presidenziali ha causato tumulti e proteste a Kinshasa con decine di morti: quanti non si saprà mai dal momento che il governo ha impedito al Comitato per i diritti umani della Monusco, la missione Onu di peacekeeping operativa nel paese dal 2010, di visitare le carceri e di parlare con molti testimoni. Il Comitato tuttavia ha potuto accertare che 422 persone hanno subito violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia, almeno 53 persone sono morte, 143 sono state ferite, 299 arrestate e detenute illegalmente. Ci sarebbero anche prove che le autorità il 19 settembre hanno distribuito armi e denaro a un centinaio di ragazzi perché attaccassero i manifestanti.
All’origine delle proteste è il fatto che il presidente Joseph Kabila sta facendo di tutto, e a tutto pare disposto, pur di conservare la carica che detiene dal 2001 quando è succeduto al padre Laurent-Désiré, morto assassinato. Il suo secondo mandato scade a dicembre. Poiché la costituzione limita a due i mandati presidenziali che un cittadino può ricoprire, non gli è consentito ricandidarsi. In attesa di trovare il modo di modificare la costituzione, per prima cosa il Presidente lo scorso maggio ha ottenuto dall’Alta corte che, nel caso le elezioni fissate al 27 novembre dovessero essere rimandate, lui debba restare in carica fino al loro successivo svolgimento. A settembre il governo ha annunciato il possibile rinvio del voto. Poi il 1° ottobre la commissione elettorale ha confermato che le presidenziali dovranno essere rinviate per motivi economici e ritardi nella compilazione del registro degli aventi diritto al voto e il giorno successivo ha precisato che il voto non potrà aver luogo prima dell’aprile 2018.
I vescovi congolesi hanno quindi deciso di abbandonare il dialogo nazionale, l’organismo creato per discutere la situazione politica al quale avevano aderito: “In Congo siamo sull’orlo di un nuovo conflitto globale – si legge in un comunicato della Cenco – se, come sembra, il presidente Kabila non indirà le elezioni rinunciando al potere dopo due mandati, così come prevede la Costituzione, tutto il Paese precipiterà nella guerra civile”.