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BRUXELLES

Immigrazione, l'Ue decide ancora di non decidere

Raggiunto il compromesso con il Regno Unito, per evitare che il prossimo referendum britannico sancisca l'uscita di Londra dall'Ue, il Consiglio Europeo ha trattato come questione secondaria l'immigrazione, nonostante le tragedie continue nel Mediterraneo e l'urgenza del problema. Il piano di redistribuzione degli immigrati è fallito, ma i capi di Stato e di governo si limitano a facili condanne contro i paesi di frontiera che disapplicano Schengen. 

Politica 20_02_2016
Consiglio Europeo

Apertasi giovedì mattina a Bruxelles, la riunione del Consiglio Europeo, il vertice dei capi di Stato e di governo dei 28 membri dell’Unione, si sarebbe dovuto concludere ieri pomeriggio. Per evitare che si risolvesse in un fallimento, ieri i lavori sono invece proseguiti ad oltranza nella notte.

Gli argomenti all’ordine del giorno erano due, entrambi complessi e spinosi: la questione dei migranti e quella delle concessioni da fare alla Gran Bretagna per evitare che esca dall’Ue. Anche a seguito della notizia di un drammatico sbarco ieri di migranti su una spiaggia dell’Agrigentino, nel corso del quale almeno due persone hanno perso la vita, la questione dei migranti è quella che in Italia richiama la maggiore attenzione. In realtà a Bruxelles al primo posto stava l’altra, anche a motivo di una precisa scadenza. La settimana ventura si apre nel Regno Unito la campagna per il referendum popolare pro o contro la permanenza di Londra nell’Unione. Secondo i sondaggi  la propensione per il “no” e quella per il “sì” sono in pratica alla pari. Dopo aver lasciato i membri del suo stesso governo liberi di schierarsi a favore o anche contro (come infatti è avvenuto), il premier britannico Cameron aveva fatto sapere che al suo ritorno in patria si pronuncerà per il “no” o per il “sì” in base all’esito del Consiglio Europeo di questi giorni a Bruxelles.

Tenuto dunque conto che in questo momento un’uscita della Gran Bretagna, il cosiddetto “British Exit” o “Brexit”, secondo i più darebbe un colpo gravissimo all’Unione, si è fatto ogni sforzo per evitare che Cameron dovesse tornare a Londra a mani vuote. Nella tarda serata di ieri è stato così annunciato un accordo in forza del quale, secondo Cameron, alla Gran Bretagna viene riconosciuto nell’Ue uno “statuto speciale”. Nella sostanza il risultato è confuso, e non si sa quanto possa essere risolutivo. Tanto nervosismo non ha poi giovato al buon esito del dibattito sull’altro argomento all’ordine del giorno: quel problema dei migranti che tra l’altro sta diventando un catalizzatore della crisi generale dell’Unione Europea nonché della cultura politica tecnocratica che in questi ultimi decenni l’ha ispirata. 

Più che mai significativo di tale crisi è il fallimento (inevitabile sin dall’origine) del piano, deciso nello scorso ottobre, di ridistribuzione dei migranti fra i 28 Stati membri. Presupponendo che queste persone siano dei birilli il piano suddivideva i 160 mila migranti, che allora risultavano complessivamente giunti in Italia, in Grecia e in Ungheria, in gruppi precisi fino all’unità da destinarsi in questo o quello Stato membro. Tanto per fare qualche cifra: 425 a Cipro, 427 nel Lussemburgo, 808 in Lettonia, 1811 in Bulgaria e così via fino al massimo dei 30783 in Germania. Al vedere una cosa del genere viene nostalgia del Beppe Grillo comico, che purtroppo il Beppe Grillo politico ha fatto in larga misura sparire dalla scena. L’ideale sarebbe stato  l’indimenticabile Totò, ma anche il Beppe Grillo comico ci avrebbe fatto sbellicare dalle risa con un suo «cabaret» sul sorteggio di queste destinazioni fra i 160 mila; sui prevedibili maneggi dei 425 destinati a Cipro per prendere il posto dei 427 destinati al Lussemburgo; e sulla disperazione dei più sfortunati di tutti, i 1811 destinati alla Bulgaria.

In realtà questi migranti puntano comprensibilmente verso i Paesi più grandi o comunque più ricchi, dove molto spesso hanno dei parenti e amici ad attenderli; e una volta accettati sul territorio dell’Unione Europea se ne andranno dove gli pare. C’è qualcosa di tristemente comico nella pretesa che un’Unione incapace di mantenere il controllo delle sue frontiere esterne possa poi distribuire come pacchi al proprio interno persone che sono state capaci di entrare in Europa senza alcun permesso, in modo avventuroso e non temendo di farlo anche a rischio della propria vita e di quella dei familiari. Di fronte all’entità di tale fallimento, invece di riconsiderare tutto il problema, prendendo necessariamente le mosse da una radicale revisione dei trattati di Schengen e di Dublino, a Bruxelles hanno pensato di salvarsi l’anima lanciando grida di condanna a quegli Stati membri in prima linea, dall’Austria, all’Ungheria, alla Grecia, che già stanno disapplicando Schengen, come d’altra parte avevano nelle scorse settimane fatto pure alcuni sacrosanti e intoccabili Stati nordeuropei.

Sul nocciolo della questione i 28 hanno deciso di non decidere, come appare chiaramente dalla relativa dichiarazione finale al riguardo che così conclude: “dopo le approfondite discussioni di oggi, saranno accelerati i preparativi grazie ai quali al prossimo Consiglio Europeo si possa tenere un dibattito esauriente nel corso del quale, sulla base di una valutazione più precisa, si dovranno definire nuovi orientamenti e fare nuove scelte”. La questione resta insomma in alto mare.