Immigrati, ci vuole una Conferenza internazionale
Paesi di arrivo, disposti ad accogliere, di transito e di origine: tutti intorno a un tavolo sotto l'egida dell'ONU. Come si fece nel 1979 per i boat-people vietnamiti. Ma oggi nessuno si pone il problema. Chi chiede l'apertura indiscriminata delle frontiere è complice delle organizzazioni criminali.
Che cosa si aspetta a convocare in sede Onu una conferenza per affrontare un problema, quello dei migranti non programmati ovvero irregolari, che ha ormai assunto dimensioni planetarie? Il Mediterraneo è attualmente il crocevia principale di questi flussi, che però sono rilevanti anche nel Sudest asiatico e altrove. In passato la comunità internazionale aveva saputo reagire a fenomeni analoghi in modo ben più efficace e ben più rapido.
Nel luglio 1979, a un anno dall’inizio dell’impennata dell’esodo dal Vietnam dei “boat-people”, l’Onu aveva già organizzato a Ginevra una conferenza internazionale per affrontare il problema con la partecipazione non solo dei paesi di arrivo di tale flusso e dei paesi disposti ad accogliere stabilmente i “boat-people” ma anche dello stesso Vietnam. Sulla base degli accordi presi nella circostanza venne messo in moto un sistema grazie al quale quell’esodo venne gestito risolvendosi nell’arco di circa dieci anni nello stabile insediamento negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali, Italia compresa, di una massa di rifugiati valutabile tra le 600 e le 800 mila persone.
Il confronto tra quanto venne fatto allora e quanto si sta facendo con i “boat-people” di oggi è sconfortante. Non si registra alcuna adeguata volontà di affrontare la questione al livello internazionale a cui si pone. In sede di Unione Europea tale cecità è addirittura istituzionalizzata. La gestione dell’afflusso è in capo al Paese di primo arrivo dei migranti nel territorio dell’Unione. Il filtraggio di migranti che nella quasi totalità mirano a raggiungere il Nord Europa viene messo così sulle spalle dei Paesi membri bagnati dal Mediterraneo, il che oltre a essere iniquo è anche impossibile.
L’Unione Europea non fa peraltro peggio di altri. Ovunque sia nell’Unione Europea che ai suoi confini (e così pure altrove nel mondo) ogni Stato che si trova alle prese con un afflusso di migranti irregolari cerca in sostanza di cavarsela da solo come può. C’è chi punta a respingerli, chi cerca di favorirne il transito verso altre destinazioni, chi ci specula sopra e chi cerca di strumentalizzarli in vario modo (vedi il caso Turchia affrontato ieri).
Il nostro Paese detiene il segmento più ampio e più accessibile della frontiera marittima mediterranea dell’Unione Europea. Quello inoltre che i migranti comunque preferiscono perché sanno che tradizionalmente gli italiani sono più benevoli di altri verso chi bussa alla loro porta. Il nostro governo avrebbe pertanto più che mai motivo di chiedere all’Onu la convocazione della conferenza internazionale di cui si diceva, meglio se con l’appoggio dell’Unione Europea se lo si potesse ottenere in fretta, ma anche senza se per ottenerlo si dovesse perdere altro tempo prezioso.
Vale la pena di ripetere ancora una volta che la tappa via mare verso le coste italiane è soltanto l’ultimo anello di catene transcontinentali di traffico di persone umane gestite da organizzazioni internazionali di passatori criminali. Intervenire soltanto sull’ultima tappa di questi itinerari non ha senso. Sarebbe come pretendere di fermare un fiume sbarrandone la foce. Nell’immediato occorre tagliare queste catene in vari punti; e soprattutto là dove iniziano. E lo si può fare efficacemente solo se sul posto si creano anche realistiche alternative a queste migrazioni disperate.
Si rende invece colpevole di una obiettiva complicità con le organizzazioni criminali che gestiscono questi “viaggi della speranza” chi con irresponsabile moralismo pretende che venga riconosciuto ipso facto il diritto di immigrazione a chiunque riesca in un modo o nell’altro a mettere piede sul territorio nazionale o su una nave che batte bandiera italiana.
Al dovere di soccorrere chi è in pericolo, di dar da mangiare all’affamato e di curare il malato non corrisponde affatto un presunto diritto di accoglienza definitiva della persona soccorsa, nutrita e curata. Sono due cose diverse, senza alcun necessario legame tra loro; e ciò è in primo luogo nell’interesse di chi ha bisogno di accoglienza. Nella misura in cui infatti si pretendesse di far corrispondere al dovere dell’accoglienza un diritto all’invasione, ben presto la disponibilità all’accoglienza verrebbe meno. Sarebbe ora di rendersene conto.