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CRISI POLITICA

Il vuoto di potere e il rischio di una Weimar italiana

L’Italia come la Repubblica di Weimar? Così come nella breve esperienza democratica della Germania pre-nazista, anche in Italia si è creato un vuoto di potere. Il centro-destra rischia di scomparire con Berlusconi, il centro-sinistra non sa liberarsi di Renzi, che pure è in declino. Per nostra fortuna, Grillo non è Hitler.

Politica 14_03_2017
Gerg Grosz, "I pilastri della società"

L’Italia come la Repubblica di Weimar? Guardando alla cronaca politica di queste ultime settimane viene da domandarselo. Da sinistra a destra l’intero schieramento delle forze democratiche è paralizzato da una crisi sin qui senza speranza. Fuori di esso cresce o comunque si consolida solo il Movimento 5 Stelle, una forza tipicamente neo-autoritaria che – come già altre volte abbiamo ricordato – presenta preoccupanti analogie con il primo fascismo, quello della fase “sansepolcrista”.

Come nella Germania degli anni ’20 del secolo scorso, quella appunto divenuta Repubblica con  una costituzione varata da un’assemblea riunita a Weimar, non si vede chi sia in grado di dar vita a una maggioranza di governo stabile con un programma adeguato alle urgenze del  momento. Sul versante di centrodestra è drammatica la situazione di Berlusconi che, reso più fragile sia dall’età che dalle sue tante vicissitudini, raccoglie ora il frutto amaro di tutti i suoi errori: dalla mancata realizzazione della grande riforma che aveva promesso (e che avrebbe a suo tempo avuto la forza di fare) alla mancata costruzione nel suo partito di un gruppo dirigente forte e preparato; dalla sua paradossale incapacità dar vita a giornali e Tv di orientamento non ostile al suo progetto politico al quasi immediato abbandono di qualsiasi impegno nel campo della cultura.

Sul versante del centrosinistra, la recente assemblea dei sostenitori di Matteo Renzi al Lingotto di Torino, la storica fabbrica della Fiat da tempo divenuta sede di fiere e di congressi, ha messo in luce una crisi umanamente meno drammatica ma altrettanto profonda. E’ stata una grande “festa de noaltri” senza dubbio di grande consolazione per Renzi e per i suoi; ben difficilmente potrà però trovare proporzionato riscontro alle elezioni. E’ molto interessante al riguardo riandare al commento de la Repubblica, portabandiera del blocco di governo occulto che tanto a lungo ha sostenuto Renzi sia nella sua conquista del Pd che poi nel suo governo: “Renzi denuncia la deriva anti-sistema e la delegittimazione degli istituti della democrazia rappresentativa. Contesta l'offensiva anti-casta e la devastazione dei principi del garantismo giuridico. Ma mentre accusa giustamente di tutto questo i pentastellati, dovrebbe guardarsi allo specchio(…).“ Più che un commento, come si vede, è un tombale epitaffio su Renzi e sul renzismo, reso ancor più pesante dalla firma di chi lo scrive, Massimo Giannini che de la Repubblica è, per così dire, il commissario politico. 

Tuttavia, conclude Giannini, “L'unica cosa certa è che, per quanto fiaccato e ferito, il Pd resta il solo avamposto possibile intorno al quale ricucire la tela strappata delle riforme in Italia, e il solo cardine possibile intorno al quale riorientare la democrazia minacciata in Europa. Resta da capire se [Renzi. Ndr] sarà all'altezza del compito. La ricerca velleitaria di un ipotetico "oltre" non ha funzionato, perché "oltre la sinistra" c'è solo la destra, quella del partito-azienda di Berlusconi o quella del partito-algoritmo di Grillo. La rincorsa identitaria a un generico "altro" non ha pagato, perché l'Italia di Veltroni e Renzi non è l'America di Kennedy e Obama. (…) Quell'errore, oggi, la sinistra non se lo può più permettere”. Per la Repubblica insomma sul Pd, il partito di casa, non si discute; però bisogna cambiargli la testa, ovvero Renzi. “È lui l'uomo giusto, per tentare l'impresa? Con quali basi programmatiche? Con quali alleanze politiche per il dopo-voto?”, conclude Giannini su la Repubblica di domenica scorsa, e la risposta è intuibile. 

Liberarsi di Renzi non sarà però per loro molto facile. E’ evidente che l’ex premier gode di sostegni economici assai consistenti. Dopo le sue dimissioni da premier e in seguito da segretario del Pd in teoria è un disoccupato con tre figli a carico e moglie insegnante precaria. Dovrebbe dunque essere in cerca di lavoro. Invece continua a fare politica a tempo pieno. Si può poi immaginare quanto possa costare un’assemblea come quella del Lingotto. D’altra parte conquistò il Pd al termine di almeno due anni passati a tempo pieno viaggiando per tutta l’Italia con le spese conseguenti.

Al di là di questo resta comunque intatto il problema del vuoto politico che si sta pericolosamente formando nel nostro Paese. Un vuoto cui occorre porre rimedio al più presto. Per nostra buona sorte Grillo non è Hitler e Di Maio non è Goebbels, né oggi l’Italia è nella situazione in cui era la Germania nel 1933. Ciononostante all’idea di Grillo e di Di Maio al governo c’è di che rabbrividire.