Il voto mostra una Ue in crisi
Astensionismo in Italia, vittoria del populismo di estrema sinistra in Grecia e Spagna, di estrema destra in Austria, trionfo dell'opposizione in Polonia. Ovunque siano, in Europa, le forze di governo sono battute. Tranne che nel Regno Unito dove è Cameron l'anti-sistema, essendo euroscettico.
Se, al di là del consueto carosello massmediatico, andiamo ad analizzare i risultati della recente tornata elettorale ponendoli in una prospettiva di lungo periodo, ciò che innanzitutto emerge è un ulteriore aggravamento della crisi della democrazia e rispettivamente del consenso nei riguardi dell’Unione Europea.
I fattori principali di tale aggravamento sono da un lato la crescita finora irrefrenabile delle astensioni (questa volta quasi un elettore su due non è andato alle urne), e dall’altro l’altrettanto irrefrenabile crescita della reazione di rigetto nei confronti dei partiti nazionali consolidati. Sia a destra che a sinistra i maggiori vincitori (Zaia nel Veneto, Emiliano in Puglia, De Luca in Campania) sono leader locali del cui successo i rispettivi leader nazionali cercano di farsi belli ma che hanno raccolto vasto consenso proprio perché sono stati percepiti come indipendenti da loro. Questo non significa beninteso che i due schieramenti siano più o meno la stessa cosa. Significa però che in ognuno dei due schieramenti quegli elettori che si recano ancora a votare preferiscono (se ci sono) degli outsiders, dei… corsari rispetto ai rispettivi partiti storici. Se poi non ci sono, spesso o non vanno a votare o votano forze politiche di pura protesta.
Non si tratta peraltro di un fenomeno tipicamente italiano bensì, come ci interessa qui sottolineare, di una tendenza in atto un po’ dappertutto in Europa. La conferma più recente è quella delle elezioni, che hanno avuto luogo contemporaneamente alle nostre, in Stiria e nel Burgenland. In questi due Länder austriaci i socialdemocratici hanno perso il 9% dei consensi e popolari l’8% mentre l’Fpo, il partito “euro-scettico” che i grandi media europei bollano di populismo, ha visto i propri consensi aumentare del 16%. Risultati per un verso o per l’altro in linea con tale tendenza si sono registrati in tutte le elezioni che più di recente hanno avuto luogo in Europa. In Gran Bretagna Cameron ha vinto perché gli elettori hanno visto in lui qualcuno che è davvero pronto a far uscire Londra dall’Unione se l’Unione non cambia pelle. E sia in Spagna che in Polonia, ovvero alle estremità opposte dell’Unione, seppur con diverse motivazioni gli elettori hanno “punito” i partiti storici e premiato forze e personalità nuove. In precedenza, come sappiamo, ciò era accaduto pure in Grecia con la clamorosa vittoria di Tsipras.
Pur senza sottovalutare le differenze di cultura politica e di programma di queste nuove forze, non si può non rilevare che il loro successo è sintomo di un disagio e rispettivamente di un desiderio di novità che sta percorrendo l’intera Europa: qualcosa che, bene o male, queste nuove forze riescono a intercettare. In qualche caso sono una novità positiva; in altri invece una novità preoccupante. La risposta a queste ultime non può però ridursi a delle pure e semplici deprecazioni. Per essere positiva ed efficace può solo consistere in risposte migliori, il cui impatto sull’opinione pubblica può oggi venire di molto accelerato – come qualcuno mi ha opportunamente fatto presente – da un uso efficace di Internet (in questo il Movimento 5 Stelle è un fenomeno da studiare). È questa a mio avviso la sfida che abbiamo davanti a noi e alla quale accennavo lo scorso 20 maggio in Cattolici: meglio liberi e sani, fuori dai Palazzi, il cui titolo ad effetto è stato a quanto pare frainteso da alcuni lettori. I fatti stanno dimostrando che la questione riguarda non solo l’Italia, ma molti altri Paesi dell’Unione e in prospettiva l’intera Europa.