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BETTAZZI SCATENATO

Il vescovo "vandalo" saccheggia la Scrittura per dire sì all'aborto

A 99 anni suonati il vescovo emerito di Ivrea Bettazzi si inventa il concetto di pre-uomo per giustificare l'aborto, saccheggiando la Genesi, forzando il concetto di "soffio di Dio" e sovvertendo la concezione millenaria della Chiesa sul tema. Gli fa eco sulla rivista Rocca il teologo Piana che gli dà ragione perché l'insegnamento della Chiesa non deve essere "mummificato". L'ennesima finestra di Overton, stavolta su uno dei pochi punti morali rimasti in piedi in questo pontificato. 
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Ecclesia 26_11_2022

È questo il tempo in cui gli uomini, “rifiutando di dare ascolto alla verità” si volgono “alle favole” (cf. 2 Tm 4, 4). E lo fanno con un metodo collaudato: saccheggiando la Sacra Scrittura, riducendola ad un corposo insieme di scritti piuttosto datati, dai quali trarre liberamente ispirazione, e chiamando mummificazione la fedeltà all’insegnamento della Chiesa e innovazione e progresso la sua sovversione. Con queste due coordinate non c’è più nulla che sia al riparo dall’assalto vandalico di certi pastori e teologi.

Il quasi centenario vescovo emerito di Ivrea, Mons. Luigi Bettazzi, ha offerto la sua personale e fantasiosa interpretazione di Genesi 2, 7 alla rivista Rocca, voce di Pro Civitate Christiana, quella che ha partorito le edizioni Cittadella e che era nata nel 1939 con lo scopo di cristianizzare il proprio tempo “in filiale obbedienza alla Santa Sede e all'Episcopato” (per sapere come sia andata a finire, basta dare un’occhiata alle pubblicazioni).

Sul numero 15/16 del 15 settembre 2022, Mons. Bettazzi sostiene che l’aborto, fino a circa il quinto mese di gestazione, non debba essere considerato un omicidio. Sarebbe proprio la Bibbia a distinguere «la polvere del suolo dall’essere vivente, provocato dal soffio divino dell’alito di vita», mostrando così che «v’è dunque qualcosa di preliminare che non è ancora il singolo essere umano, ma quello destinato ad esserlo». E quale sarebbe questo momento in cui Dio infonderebbe l’alito di vita? Bettazzi riconosce che «la “ragione” ci dice che quello sarebbe il momento in cui lo sperma maschile feconda l’ovulo femminile, perché in quel momento la scienza ci dice che v’è la radice di quello che sarà l’uomoconcreto». Però, siccome la scienza e la ragione non sanno cosa sia la persona, occorre lasciare spazio all’«intuizione», che «porterebbe a supporre che l’essere umano diventi un autonomo individuo, persona umana, quando diventa in grado, ancora nel seno materno, di poter vivere da essere umano e da respirare autonomamente». Prima di questa autonomia, il feto «è sostanza destinata a divenire persona umana senza esserlo ancora».

Bettazzi si rende perfettamente conto di «sovvertire la concezione dell’aborto da parte della Chiesa», ma pensa che sia una valida via d’uscita l’affermare che la tradizione «non consiste nel ripetere sempre le stesse cose, ma nell’esprimere le verità del Vangelo secondo la mentalità e la maturazione dell’umanità che cresce». Insomma, tutto e il contrario di tutto, a seconda della mentalità dell’umanità.

A dar man forte al vescovo emerito, interviene, nel numero 22 del 16 novembre, don Giannino Piana, teologo moralista, il quale giudica l’intervento di Bettazzi «come sempre lucidissimo» e sviluppato «con rigorose argomentazioni», dichiarando esplicitamente di condividerne il contenuto. Piana la butta sull’impossibilità di oggettivare e circoscrivere il “mistero” della persona, sostenendo «che la conoscenza dei processi umani a partire da quello in cui si diventa persona avviene attraverso un ampio scambio relazionale in cui si fondono orizzonti di senso differenti e che si presenta come permanentemente aperto». La strategia del mistero insondabile serve fintanto che può essere usato per gettare fumo negli occhi del lettore e rendere incerto ciò che era certo. Perché poco più avanti, Piana esce dal mistero e dà come assolutamente certo «che il momento di inizio della vita personale vada spostato ben in avanti rispetto all’atto della fecondazione».

Ed anche lui, come Bettazzi, non si fa problemi ad ammettere l’aperto contrasto con l’insegnamento della Chiesa, il quale però «non può (e non deve) essere pensato come un blocco monolitico, da trasmettere in maniera mummificata e ripetitiva».

La “lucidissima e rigorosa” argomentazione di Bettazzi incappa in realtà in errori piuttosto macrosopici. Il senso di Gen 2, 7 non è certamente quello di indicare un’anteriorità della componente puramente biologica nella formazione dell’uomo, ma semplicemente di mostrare come la particolarità dell’uomo stia proprio nell’avere in sé il soffio di Dio. E’ un’indebita forzatura utilizzare questo testo per affermare una posteriorità della persona rispetto all’essere umano, o per sostenere un sostrato pre-umana, il quale, solo successivamente, riceverebbe la sua forma.

Il neo concepito è una realtà biologicamente ed ontologicamente definita: un essere umano che inizia a sviluppare le proprie potenzialità. Non è un essere umano in potenza: è invece in atto quanto all’essere uomo, mentre è in potenza quanto allo sviluppo di molte capacità umane. Ed è per un’attività intrinseca, che pure necessita di una serie di condizioni esterne, che il neo concepito si sviluppa, senza alcuna discontinuità. Bettazzi confonde l’essere individuo con alcune capacità che vengono via via acquisite, come quella di respirare da solo (e chissà perché questa e non altre) o, ancor più vagamente, «di poter vivere da essere umano»; molti potrebbero pensare – e di fatto lo pensano – che “vivere da essere umano” significhi autonomia di giudizio, capacità di badare a se stessi, un certo livello di sviluppo cognitivo. Dal che dovremmo dedurre che uccidere un bambino di due o tre anni non sia omicidio. In realtà, una natura individuale è già chiaramente presente nello zigote, in quanto, oltre ad avere un proprio e distinto patrimonio genetico, inizia un processo di sviluppo coordinato e integrato, processo che trova nello stesso zigote la sua causa.

Ma se abbiamo un individuo di natura umana allora abbiamo anche una persona. Non esistono pre-persone, perché non esistono pre-uomini. E non esistono persone in potenza – che dunque diventano persone solo ad un certo punto – perché non esistono uomini in potenza. Ancora una volta, ad essere in potenza, non è l’essere persona, ma alcune facoltà proprie della persona. E queste facoltà si possono sviluppare precisamente perché l’individuo che si sviluppa è persona.

Le autorità a sostegno della propria tesi ovviamente non ci sono. Troviamo solo il solito richiamo scorretto a Tommaso d’Aquino, per il quale l’animazione avverrebbe in un momento successivo al concepimento; richiamo che ignora totalmente le conoscenze biologiche più recenti circa il fatto che è nello zigote stesso - e non nel seme maschile, che funzionerebbe da causa strumentale dell’anima paterna -, che troviamo la causa proporzionata del proprio sviluppo. Se Tommaso lo avesse saputo, avrebbe difeso la presenza della persona umana fin dal concepimento.

Oppure, cosa ancora più curiosa, secondo Bettazzi, un indizio dell’animazione tardiva sarebbe la pratica di battezzare «eventualmente il feto “sotto condizione”, la condizione che sia già uomo?». Appartiene ad un livello poco più che elementare del catechismo sapere che i sacramenti “sotto condizione” possono essere amministrati alle persone delle quali non si conosce con certezza se siano ancora vivi o già morti; oppure, nel caso dei sacramenti che possono essere conferiti una sola volta, se si ha il ragionevole dubbio che siano stati amministrati in modo invalido.

Però, come si sa, tutto fa brodo. L’importante è iniziare a mettere in dubbio ciò che è certo, aprire l’ennesima finestra di Overton, avviare processi, stavolta su uno dei pochi punti morali rimasti in piedi in questo pontificato. L’inizio del processo, però, è piuttosto maldestro.