Il Vescovo: «Mi rifiuto di sospendere le Messe»
La lettera del vescovo di Ars-Belley (Francia), monsignor Pascal Roland, il cui giudizio parte dalla fede. In un momento in cui si è tentati di ragionare come il mondo (solo sui numeri e solo in base alla paura) il vescovo ha deciso di usare "un'altra mentalità", che parte dall'incontro con Cristo e dalla vita eterna (basti pensare che in Cina i cristiani hanno evangelizzato nelle zone più a rischio mettendo a repentaglio la propria salute).
Qui di seguito la lettera, tradotta da Cultura Cattolica, del vescovo di Ars-Belley (Francia), monsignor Pascal Roland.
Più che l’epidemia di coronavirus, dobbiamo temere l’epidemia di paura. Da parte mia, mi rifiuto di cedere al panico collettivo e di sottomettermi al principio di precauzione che sembra motivare le istituzioni civili. Quindi non intendo impartire istruzioni specifiche per la mia diocesi: i cristiani smetteranno di incontrarsi per pregare? Rinunceranno a trattare e aiutare i loro fratelli? A parte le elementari precauzioni che tutti prendono spontaneamente per non contaminare gli altri quando sono malati, non è opportuno aggiungere altro.
Dovremmo ricordare che in situazioni molto più gravi, quelle delle grandi piaghe, e quando i mezzi sanitari non erano quelli di oggi, le popolazioni cristiane hanno manifestato il loro valore con momenti di preghiera collettiva, nonché con l’aiuto ai malati, l’assistenza ai moribondi e col seppellire i defunti. In breve, i discepoli di Cristo non si allontanarono da Dio o si nascosero dai loro simili, ma piuttosto il contrario.
Il panico collettivo a cui stiamo assistendo oggi non rivela la nostra relazione distorta con la realtà della morte? Non manifesta l’ansia che causa la perdita di Dio? Vogliamo nascondere che siamo mortali e, essendo chiusi alla dimensione spirituale del nostro essere, perdiamo terreno. Avendo tecniche sempre più sofisticate ed efficienti, intendiamo dominare tutto e nascondere che non siamo i signori della vita.
A proposito, teniamo presente che la coincidenza di questa epidemia con i dibattiti sulle leggi di bioetica ci ricorda la nostra fragilità umana. Questa crisi globale ha almeno il vantaggio di ricordarci che viviamo in una casa comune, che siamo tutti vulnerabili e interdipendenti e che la cooperazione è più urgente della chiusura dei nostri confini.
Inoltre, sembra che tutti abbiamo perso la testa. In ogni caso, viviamo nella menzogna. Perché improvvisamente focalizziamo la nostra attenzione solo sul coronavirus? Perché nascondere che ogni anno in Francia l’influenza stagionale banale colpisce tra 2 e 6 milioni di persone e provoca circa 8.000 decessi? Sembra anche che abbiamo eliminato dalla nostra memoria collettiva il fatto che l’alcol è responsabile di 41.000 decessi all’anno e che si stima che 73.000 siano i decessi causati dal tabacco.
Lontano da me, quindi, l’idea di prescrivere la chiusura delle chiese, la soppressione delle Messe, l’abbandono del gesto di pace durante l’Eucaristia, l’imposizione di questa o quella modalità di comunione considerata più igienica (detto ciò, ognuno può fare come vuole), perché una chiesa non è un luogo di rischio, ma un luogo di salvezza. È uno spazio in cui accogliamo colui che è la Vita, Gesù Cristo, e dove, attraverso Lui, con Lui e in Lui, impariamo a vivere insieme. Una chiesa deve rimanere quello che è: un luogo di speranza.
Dovremmo rinchiuderci nelle nostre case? Dovremmo saccheggiare il supermercato del quartiere e accumulare riserve per prepararci ad un assedio? No! Perché un cristiano non teme la morte. È consapevole di essere mortale, ma sa in chi ha posto la sua fiducia. Crede in Gesù, che afferma: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; e tutti coloro che vivono e credono in me non moriranno mai” (Giovanni 11, 25-26) Sa di essere abitato e animato dallo “Spirito di colui che risuscitò Gesù dai morti” (Romani 8, 11).
Inoltre, un cristiano non appartiene a se stesso, la sua vita deve essere offerta, perché segue Gesù, che insegna: “Chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perde la sua vita per me e per il Vangelo la salverà” (Marco 8, 35). Certamente, non si espone imprudentemente, ma nemmeno cerca di preservarsi. Seguendo il suo Maestro e Signore crocifisso, il cristiano impara a donarsi generosamente al servizio dei suoi fratelli più fragili, in vista della vita eterna.
Quindi, non cediamo all’epidemia della paura! Non siamo morti viventi! Come direbbe Papa Francesco: non lasciarti rubare la speranza!
+ Pascal ROLAND