Il sindaco di Varsavia vieta le croci, anche sulle scrivanie
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Il sindaco pro-Lgbt Rafal Trzaskowski ha ordinato la rimozione di croci, immagini di santi e altri simboli religiosi, non solo dai muri, ma anche dalle scrivanie dei dipendenti degli uffici di Varsavia. Un ordine che ricorda la dittatura comunista, contrario alla Costituzione.
Rafal Trzaskowski è un politico di spicco del partito Piattaforma Civica (PO) del primo ministro Donald Tusk. È sindaco della capitale polacca ed è stato candidato alla presidenza della Repubblica nelle recenti elezioni presidenziali (è stato sconfitto dall’attuale presidente Andrzej Duda). Nel 2019 è diventato famoso, anche grazie ai media mondiali, quando, senza consultazioni pubbliche, ha firmato la controversa “dichiarazione LGBT”, che prevedeva la concessione di numerosi privilegi alle persone che si identificano con l’ideologia LGBT. La dichiarazione riguardava, tra le altre cose, l’introduzione nelle scuole dei programmi richiesti dal movimento LGBT e il patrocinio del sindaco alla “Gay Pride Parade”.
Ma in questi giorni Trzaskowski ha lanciato un’altra campagna “progressista”, che ricorda i vecchi tempi del regime comunista: l’8 maggio ha dichiarato guerra alla croce e alla libertà religiosa in Polonia, firmando un ordine che richiede la rimozione di croci, immagini di santi e altri simboli religiosi, non solo dai muri, ma anche dalle scrivanie dei dipendenti degli uffici di Varsavia. I simboli religiosi dovranno scomparire da ogni spazio pubblico negli uffici di Varsavia, e tutti gli eventi organizzati dagli uffici della capitale dovranno essere «di natura laica, cioè non conterranno elementi religiosi, ad esempio preghiere…». Ovviamente queste restrizioni dovrebbero applicarsi alla croce e agli eventi religiosi e no alle bandiere arcobaleno e alle cerimonie in onore dell’orgoglio LGBT.
Trzaskowski giustifica la sua decisione di rimuovere le croci dallo spazio pubblico della capitale con la sua presunta preoccupazione per la neutralità dello Stato nella sfera religiosa e per i sentimenti dei non credenti. In realtà non si tratta di una lotta per la neutralità, ma di un tentativo di ateizzazione compiuto da un rappresentante dello Stato. Ma è significativo che per giustificare la sua decisione Trzaskowski non ha citato la Costituzione, ma un frammento della legge adottata ai tempi della Polonia comunista!
Non ha potuto citare la Costituzione perché il suo ordine riguardante la rimozione delle croci è contrario alla legge fondamentale polacca. La Costituzione della Repubblica di Polonia non prevede la neutralità ideologica o la “laicità” dello Stato, ma la sua imparzialità. Come ha spiegato l’Istituto per la cultura giuridica Ordo Iuris «la differenza è importante perché l'utilizzo di quest'ultimo concetto nel testo della Costituzione è stato deliberato e voluto e mirava ad escludere atteggiamenti dei pubblici poteri ostili alla religiosità». Insomma la Costituzione polacca non promuove l'ateismo e la “neutralità”, ma impegna lo Stato ad un'amichevole cooperazione con la Chiesa «per il bene dell'uomo e il bene comune». Un segno di ciò è la presenza di croci e cappelle negli uffici, nelle scuole, nelle stazioni ferroviarie e negli ospedali polacchi, e la possibilità di organizzare negli spazi pubblici incontri di Natale o di Pasqua.
La decisione di Trzaskowski viola tanti articoli della Costituzione, prima di tutto l’articolo 53 che garantisce a ciascuno la libertà di coscienza e di religione, compreso il diritto di manifestare pubblicamente la propria religione sotto varie forme. Secondo l’Istituto Ordo Iuris Trzaskowski può essere accusato di aver commesso un delitto previsto dall'art. 231 del Codice penale: abuso di potere da parte di pubblico ufficiale.
L'ordinanza di Trzaskowski costituisce un evidente abuso di potere. La Costituzione afferma chiaramente che eventuali restrizioni al diritto di manifestare la propria religione possono essere introdotte «solo per legge e solo in caso di necessità». Secondo i giuristi «l’ordinanza di Trzaskowski non solo non è un atto legale, ma non soddisfa nemmeno le altre condizioni per limitare la libertà religiosa previste dalla Costituzione della Repubblica di Polonia». Se un dipendente fosse costretto a rimuovere una croce o un'immagine sacra dalla sua scrivania, si violerebbero le norme sui dipendenti pubblici.
Vale la pena citare anche il preambolo alla Costituzione, che recita: «Grati ai nostri antenati per il loro lavoro, per la lotta per l'indipendenza pagata con enormi sacrifici, per la cultura radicata nel patrimonio cristiano della Nazione e nei valori umani universali». Insomma, la croce sui muri degli uffici pubblici non è solo un simbolo religioso: il cristianesimo è un elemento del patrimonio nazionale polacco. Ma è paradossale che i politici del partito di Trzaskowski 14 anni fa, durante il precedente governo di Tusk, hanno votato nel Sejm (la camera bassa del Parlamento) una risoluzione intitolata “Rispetto della Croce”, che dice: «La Croce, che è un segno del cristianesimo, è diventata permanentemente per tutti i polacchi un simbolo di valori universali universalmente accettati, indipendentemente dalla religione, così come il perseguimento della verità, giustizia e libertà della nostra Patria», pertanto «qualsiasi tentativo di vietare l'esposizione della Croce nelle scuole, negli ospedali, negli uffici e negli spazi pubblici in Polonia deve essere considerato un danno alla nostra tradizione, memoria e orgoglio nazionale».
Bisogna anche ricordare che la Corte europea dei diritti dell'uomo si è espressa sulla presenza della croce nello spazio pubblico, affermando nel famoso caso Lautsi versus Italia che anche l'esposizione obbligatoria (!) della croce nelle scuole italiane non viola i diritti dei non credenti. Secondo il Tribunale europeo, la presenza di croci nello spazio pubblico non viola le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Trzaskowski sicuramente sa tutto questo, ma probabilmente, da “progressista”, “europeista”, “gay friendly”, si sente impunito nel suo attacco alla croce, anche se viola la Costituzione e le leggi. Sembra che nell’Unione Europea non contino più le leggi ma le ideologie, ovviamente politicamente corrette.