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La riflessione

Il significato del Natale, una riscoperta necessaria

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A causa soprattutto dell’ateismo e della secolarizzazione, si è smarrito il significato più autentico e religioso del Natale. Il protagonista, Gesù, è passato in secondo piano. Eppure è Lui l’unico che può portare al rinnovamento del cuore dell’uomo e alla vera pace.

Attualità 28_12_2024

Charles Dickens nel noto romanzo Canto di Natale (titolo in lingua originale A Christmas Carol) – un’opera pubblicata nel 1843 (quasi due secoli fa) – aveva rappresentato l’immagine di una società ove il denaro e l’egoismo potessero impossessarsi dell’animo umano, fino ad affievolire e spegnere del tutto lo “spirito” della festa del Natale. È ciò che capita al protagonista del romanzo Ebenezer Scrooge, un anziano e avaro signore, che riceve la visita di una serie di fantasmi che cercano di convertirlo. Il primo ad ammonirlo è Jacob Marley, il suo ex socio in affari morto sette anni prima; seguono le apparizioni degli spiriti del Natale passato, presente e futuro (che gli mostrano le belle cose che ha perduto del Natale passato, quelle belle che potrebbe vivere nel Natale presente, e il triste epilogo della desolante morte che lo attenderà nel Natale futuro). Al termine delle loro apparizioni, Scrooge ne uscirà profondamente cambiato, mutato in un uomo gentile e generoso. Il racconto del celebre scrittore britannico può aiutarci a riflettere sulla festa del Natale.

In tempi recenti, si è smarrito il significato più autentico e religioso del Natale, una solennità di primaria importanza per i cristiani che celebra l’evento della nascita di Gesù Cristo. Soprattutto nella civiltà occidentale, il Natale ha assunto un significato laico sempre più marcato, riducendosi a mera condivisione di banchetti accompagnati dal rito dello scambio di doni.

Il diffondersi dell’ateismo e la secolarizzazione della società ne costituiscono indubbiamente una delle cause principali. A ciò si aggiunga un tessuto sociale rinnovato dai processi di globalizzazione e dalla crescente presenza e integrazione di etnie e culture portatrici di tradizioni diverse da quella cristiana. La preoccupazione di offendere tali culture e minoranze religiose ha contribuito a scollegare il Natale dal suo fondamento cristiano e a caricarlo di contenuti di valore laico.

Si è impoverita ogni forma di preparazione e celebrazione del Natale, sia sotto l’aspetto socio-culturale, sia sotto l’aspetto religioso-sacramentale. Nel campo educativo e formativo gli istituti dell’infanzia e le scuole pubbliche hanno eliminato dalla festa del Natale ogni riferimento alla storia, alla cultura e alla simbologia cristiana. In famiglia si è affievolita l’educazione religiosa dei figli e con essa la rievocazione dell’evento della nascita di Gesù, anche mediante rituali propri della tradizione cristiana come l’allestimento del presepe. Nelle famiglie che conservano una religiosità praticante, non di rado, la preparazione al Natale si esaurisce in una corsa agli acquisti, alla pianificazione di viaggi e all’organizzazione di pranzi e cenoni.

Il simbolo cristiano del presepe è quasi del tutto scomparso nei luoghi pubblici e aperti al pubblico. È sempre più raro trovarlo ad ornamento delle abitazioni private. Sono appena conosciuti la stalla, l’asinello, il bue, la mangiatoia, chiari elementi che richiamano l’immagine della Sacra Famiglia. Ma si è persa la bellezza della realizzazione del presepe come evento preparatorio al Natale e soprattutto la sua funzione contemplativa del mistero della nascita di Gesù.

Sotto l’aspetto sacramentale la confessione ha perso quel ruolo di centralità alla preparazione dell’animo alla venuta del Signore. Fino a non molto tempo fa nei giorni antecedenti al Natale il fedele percepiva il dovere morale di accostarsi al sacramento della riconciliazione e nelle chiese occorreva mettersi in paziente attesa in coda ad un discreto numero di penitenti. Oggi i confessionali sono spesso vuoti anche alla vigilia di Natale e non di rado per confessarsi occorre andare alla ricerca di un sacerdote.

Il giorno di Natale i non credenti lo trascorrono semplicemente come una giornata di riposo dal lavoro e di svago o al più da trascorrere in compagnia di parenti e amici. Ma per il credente il modo migliore per onorare e santificare il mistero della nascita di Gesù è certamente la Santa Messa e la partecipazione all’Eucarestia. Ma quanti posti vuoti si contano al giorno d’oggi nelle chiese persino il giorno di Natale?

Queste profonde trasformazioni si sono radicate al punto di modificare e adattare il linguaggio e le forme di comunicazione al mutato sentire sociale e culturale. Al consueto scambio degli auguri di “Buon Natale” si sono sostituite forme augurali più laiche e “meno compromettenti” del tipo “buone feste”, o semplicemente “auguri”, o altre espressioni generiche nate dalla preoccupazione di non urtare la sensibilità di nessuno.

Il cambiamento che vive il protagonista Scrooge nel romanzo di Dickens dopo l’apparizione dei tre “spiriti” del Natale passato, presente e futuro – che lo spingono a superare l’egoismo e l’avidità – porta in sé una “morale” che può valere anche per il cristiano. Anche per il più fervente dei fedeli il Natale non può infatti esaurirsi in una esperienza liturgico-sacramentale e contemplativa.

Il Natale deve condurre ad un rinnovamento dell’animo, a diventare più buoni (come da piccoli ci veniva insegnato). Il Natale deve esser certamente un momento di pace e di gioia, ma soprattutto deve portare ad un cambiamento interiore che si manifesta nelle relazioni: l’egoismo, l’indifferenza e l’insensibilità devono lasciare il posto alla generosità, alla condivisione e al perdono. È un cambiamento che non è frutto dell’esperienza fantasiosa vissuta dal protagonista del romanzo di Dickens, ma della contemplazione del mistero della nascita di Gesù, dell’adorazione di quel Bambino, della santificazione della festa del Natale attraverso i sacramenti. Che il Figlio di Dio sia nato in una povera stalla, anziché in una lussuosa reggia, ci aiuta a riflettere che una vita vissuta seguendo Cristo non consiste nell’avido accumulo delle ricchezze. Ma è soprattutto la grazia del Verbo eterno che si è fatto carne a determinare un rinnovamento nel cuore dell’uomo. Perché non c’è autentica pace e gioia sulla Terra e nei cuori, senza Gesù. Perché non c’è reale capacità dell’uomo di elevarsi a sentimenti e atteggiamenti di bontà, amore, perdono senza rimanere uniti a Lui.

Non resta che augurare a tutti Buon Natale!