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ELEZIONI

Il Senegal volta pagina Sall è il nuovo presidente

Il presidente uscente Wade ha rinunciato a tentare il colpo di mano. La novità potrebbe essere uno stato meno legato alle confraternite sufi.

Attualità 26_03_2012
Macki Sall

Festeggia tutta Dakar con caroselli nella notte, festeggia anche Tambacounda, dove mi porta la mia seconda missione in Senegal nel corso della quale esplorerò nei dettagli il dopo elezioni, un centro potenzialmente turistico - la porta per i parchi nazionali del Sud - che si è sentito negli ultimi anni abbandonato dal governo centrale. Il Senegal ha il quarto presidente della sua storia, Macky Sall, dopo quarant'anni di presidenti socialisti - vent'anni di Léopold Sédar Senghor (1906-2001), poeta di fama mondiale ma rovinoso per l'economia locale, e vent'anni del suo delfino Abdou Diouf - e dodici anni dell'esponente liberale Abdoulaye Wade.

Nonostante i timori e le voci di brogli, l'ottantacinquenne Wade non ha tentato il colpo di mano - che avrebbe probabilmente scatenato una rivoluzione, una «primavera senegalese» - e si è lasciato battere al ballottaggio da Macky Sall.

Chi è Sall? Nato a Fatick - il suo feudo, una città polverosa di cui non sono riuscito ad apprezzare speciali pregi - nel 1961, il nuovo presidente è un uomo che si è fatto da solo. Il padre, un impiegato pubblico, era un usciere; la madre, una venditrice di arachidi al mercato. Al liceo di Fatick, poi all'università di Dakar dove studia geologia, Sall ripudia la militanza socialista del padre - per lui il Partito Socialista è legato a un governo rapace e corrotto - e si avvicina al marxismo-leninsmo ortodosso del leader comunista senegalese Landing Savané, del cui movimento And-Jëf sarà per anni  un membro convinto e attivo. Giovane geologo, è affascinato da Abdoulaye Wade, il carismatico avvocato che promette di porre fine al regime dei socialisti. Sall è membro di un partito marxista, Wade è un liberale. Ma alle elezioni del 1983 Sall rompe con Savané, che propone di non votare. Considera che la prima priorità sia liberarsi dalla corruzione dei socialisti, e sostiene Wade. Ne nasce un sodalizio che durerà fino al 2007. Quando Wade è incarcerato, e anche molti liberali lo abbandonano, Sall resta al suo fianco. È uno dei grandi protagonisti della vittoriosa campagna elettorale di Wade nel 2000. Il nuovo presidente lo ricompensa nominandolo presidente della Petrosen, la società petrolifera di Stato. Sall gli fa capire che preferisce la politica attiva e la sua ascesa è folgorante: ministro delle Miniere nel 2001, ministro dell'Interno nel 2003, primo ministro nel 2004, presidente dell'Assemblea Nazionale nel 2007. Sall è l'esecutore fedele ed efficiente di tutti i progetto di Wade, che nel 2007 pronuncia un discorso commovente ai funerali della madre del suo collaboratore. Molti senegalesi considerano Sall l'erede naturale di Wade.

Ma nel corso del 2007 le cose si guastano. Wade dichiara pubblicamente di non vedere persone capaci di succedergli nel suo partito. Dietro queste dichiarazioni c'è il desiderio del vecchio leader di lanciare come futuro presidente del Senegal il figlio Karim, cui fa affidare contemporaneamente tre ministeri chiave. Sall si sente tradito e reagisce: come presidente dell'Assemblea Nazionale convoca Karim perché risponda di un presunto storno di fondi pubblici. Wade gli chiede allora di dimettersi. Con sorpresa di molti Sall, che non aveva mai risposto di no al presidente, rifiuta. Wade fa allora approvare una legge che abbrevia il mandato del presidente dell'Assemblea, al solo scopo di eliminare Sall. Un errore. Nel 2008, l'ex primo ministro lascia Wade e fonda un suo partito, che raccoglie molti esponenti liberali convinti che Il vecchio presidente abbia fatto il suo tempo. E che nel 2012 lo porta alla vittoria nelle elezioni presidenziali.

Che cosa cambia in Senegal? Molti interlocutori con cui parlo tra Dakar e la provincia sperano che Sall porti aria nuova, rispetto agli ultimi anni di presidenza in cui Wade - che aveva suscitato, e non va dimenticato, grandi speranze nel 2000 - appariva prigioniero di una logica dinastica e familiare, impegnato a favorire parenti e amici in vista della sua futura uscita di scena secondo quello che è un male endemico della politica africana. Ma quanto alle grandi linee di politica interna e internazionale non cambierà molto. A differenza di altri Paesi africani, dove le sigle dei partiti nascondono spesso semplici rivalità tribali, in Senegal - dove la politica prescinde quasi completamente dalle tribù - i socialisti sono socialisti e i liberali sono liberali. Benché la crisi economica si faccia sentire pesantemente - e, alla fine, sia stata la ragione determinante della sconfitta di Wade - il ballottaggio è stato fra due candidati liberali, nessuno dei quali ha nostalgia del quarantennio socialista.

Se però non nascondono le tribù, i partiti senegalesi nascondono in una certa misura le confraternite musulmane sufi. Non si tratta di ambiti ristretti di fervore religioso. La grande maggioranza dei senegalesi - che al novanta per cento sono musulmani - fa parte di una confraternita. E molti senegalesi, quando li si incontra, dichiarano subito di che confraternita sono. La maggioranza dei negozi, delle automobili, dei camion, dei ristoranti espone con orgoglio l'appartenenza alla confraternita del proprietario e il ritratto del leader nazionale, il califfo generale, o del maestro spirituale di riferimento, il marabutto. Se i Tijani sono la confraternita più numerosa, i Muridi - i più rappresentati anche tra gli emigrati in Italia - costituiscono il gruppo più strutturato nella vita economica e politica.

Con sfumature e articolazioni locali, i socialisti - che hanno anche una minoranza di cattolici, di cui faceva parte il primo presidente, Senghor - sono il partito dei Tijani - uno dei loro due candidati alla presidenza, Moustapha Niasse, giunto terzo al primo turno, fa parte della famiglia che tradizionalmente guida una delle principali branche tijane - e i liberali sono il partito dei Muridi. Se è vero che Wade ha sbandierato la sua appartenenza ai Muridi con grande evidenza per tutta la campagna elettorale, è di formazione muride anche Sall. Per questo il califfo generale dei Muridi non ha preso posizione ufficiale sul ballottaggio, anche se alcuni suoi collaboratori si sono espressi per Wade - uno ha perfino affermato che gli è apparso lo spirito del califfo generale precedente, incitandolo a sostenere il presidente uscente -, e nelle zone che ho visitato la simpatia per Wade era evidente negli esercizi commerciali gestiti che esponevano i simboli muridi.

Infastidito da questi sostegni a Wade, tra il primo e il secondo turno Sall ha parlato ripetutamente di laicità dello Stato e ha perfino affermato - suscitando grande stupore e scandalo - che dopo tutto «i marabutti sono uomini come gli altri». Wade ha risposto accusando Sall di essere massone - la massoneria è forte in Senegal, ma non è amata dalle confraternite -, accusa prontamente respinta al mittente dallo sfidante secondo cui semmai era il vecchio presidente a frequentare le logge.
Sui giornali locali sono apparsi diversi articoli secondo cui con Sall si apre una nuova fase politica, in cui le confraternite nella politica senegalese conteranno un po' meno. Ma, al di là della retorica sulla laicità d'imitazione francese, la struttura delle confraternite è talmente presente nella vita sociale e anche economica del Senegal da far pensare che il suo peso non verrà meno, anche se forse Sall eviterà qualche gesto pubblico e clamoroso di sottomissione alle gerarchie muride che era diventato un marchio di fabbrica del suo predecessore.

Quanto alla Chiesa Cattolica, che raduna un po' meno del dieci per cento dei senegalesi e gode di grande rispetto per le sue attività caritative e per le sue scuole, che funzionano bene in un Paese dove la situazione della scuola pubblica è gravemente carente, essa sembra essere percepita da molti come se fosse la terza grande confraternita, con il cardinale di Dakar nel ruolo del califfo generale della confraternita cattolica. La Chiesa ha insistito sulla sua neutralità, ma almeno nel Sud dove ho svolto prevalentemente la mia osservazione molti cattolici hanno votato o Sall o il socialista Niasse al primo turno, e Sall al secondo.

Quanto alla svolta «laica» di cui molto si parla, da una parte fa piacere ai cattolici, infastiditi da una certa prevalenza - specie dei Muridi - nella vita pubblica senegalese, e dalle interferenze di alcuni marabutti quasi su tutti gli aspetti della vita sociale. Ma d'altra parte i cattolici hanno anche qualche timore verso ogni modifica dello status quo. La coesistenza fra cattolici e islamici in Senegal è definita «esemplare» da un vescovo di cui chiedo l'opinione. E lo stesso vescovo - che preferisce restare anonimo - mi dice che, se le confraternite sono talora un po' invadenti, sono state per altri versi un sicuro argine allo sbarco in Senegal dell'islam politico. Solo nella contestazione contro Wade degli ultimi mesi della sua presidenza - che, come altri fenomeni di rivolta africana, ha avuto la sua origine prima nella crisi economica - si sono sentite parole d'ordine tipiche dell'islam radicale, e si sono temute infiltrazioni straniere. Il Senegal non ha bisogno di questo. I cattolici sperano che il nuovo presidente sia il presidente di tutti. E che un po' di laicità in più, gradita, non rompa un equilibrio che tutto sommato assicura la pace religiosa.