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TEMPI MODERNI

Il secolo della rinuncia alla realtà e all'identità

In giro c’è aria di rinuncia. L'uomo, la donna, la Chiesa, lo Stato: tutti rinunciano a un pezzo di realtà e di identità. 

Editoriali 14_06_2019

In giro c’è aria di rinuncia. Il maschio da tempo ha dismesso la sua armatura e s’imbelletta nelle beauty farm, abdica al ruolo di padre preferendo quello più comodo di amico dei propri figli. La donna abbandona il focolare domestico e salta sul rapido 901 che si chiama divorzio express, destinazione successo personale oppure s’imbarca sul transatlantico della carriera emancipatrice. La politica desiste dagli ideali alti, più attratta, sotto ricatto elettorale del popolino cresciuto sull’Isola del Famosi, dal cabotaggio tra i litorali dei desideri dei cittadini che si fanno diritti in Parlamento.

La Chiesa rinuncia alla trascendenza nelle fede e alla metafisica in morale e si scolora in un’organizzazione non governativa che, sempre a rimorchio, dà una mano ai governi in tema di povertà e immigrazione, temi alla fine confortevoli. La scuola si è ridotta a un’erogatrice di servizi insipidi e incolori perché l’inclusività e il pluralismo non hanno mai incendiato i cuori dei ragazzi, ma solo strappato a loro ampi sbadigli. I media, con lodevoli eccezioni, cucinano con ossessiva ripetitività lo stesso menù fatto di stereotipi di plastica e di giudizi copia-incolla.

In breve pare che ognuno abbia rinunciato ai propri ruoli naturali, alla sua vocazione, ossia alla sua identità. Il filosofo francese Vladimir Jankélévitch ebbe a scrivere in merito all’identità: «io sono il solo ad essere me stesso» (La cattiva coscienza, Dedalo, Bari, 2000, p. 130). Ecco, pare che si faccia a gara per imitare chi non dobbiamo essere: il maschio imita la donna, la donna il maschio, la Chiesa lo Stato, lo Stato la Chiesa perché si dogmatizza (es. la Costituzione è sacra, l’Europa non si toccca), etc. Il risultato è il seguente: se ciascuno di noi insieme allo Stato, alla Chiesa, alle varie agenzie educative e realtà sociali, preferisce giocare a ribasso, il mondo si svuota di identità e il «diventa ciò che sei» di Pindaro (Pitiche, II, 72) svapora di significato. L’identità è quel tratto di bisturi inciso dalla natura nella carne viva dell’uomo che la storia e la volontà di molti agguerriti ominidi tentano da sempre di cancellare. In tal modo la fisionomia dell’uomo, della donna, degli ordinamenti giuridici, della scuola si deforma, anzi diventa amorfa, liquida. Senza più confini l’uomo non diventa libero, ma si perde perché cammina nel deserto. «Sono libero, ma tra i morti» ricorda il Salmo 87.

Ora tratto comune di tutte le ideologie è la guerra contro la realtà, contro ciò che è così come è, ossia contro l’identità. Questo per tentare, con sforzo da Sisifo, di sostituire al reale un ideale. Aleksandr Solženicyn racconta nel suo Arcipelago Gulag che l’intellighenzia staliniana un giorno chiese al fior fiore degli ingegneri esperti in mobilità quanti passeggeri ci potessero stare in un vagone ferroviario. Gli ingegneri fecero i conti e li presentarono ai politici. Questi ne furono scandalizzati. Ma come?! Così pochi?! I vagoni dei treni della Grande Madre Russia sono i migliori al mondo e quindi di certo possono contenere un numero di passeggeri enorme. Risultato: gli ingegneri finirono nei gulag con buona pace dei loro calcoli. Se la realtà non ti piace, fai guerra alla realtà.

E così se io sono maschio, ma mi sento donna, magicamente divento ciò che la realtà mai potrà concedermi. Se la donna pensa che la sua felicità sia involarsi lontano dalla famiglia e dai figli, ecco l’emancipazione femminile che sbeffeggia la maternità come costrutto sociale, non riconoscendola come realtà naturale. Se la Chiesa pensa che lo srotolarsi dell’esistenza umana scorra unicamente sul piano immanente della storia, dimentica che la realtà dell’uomo è composta da materia e spirito, ecco che le priorità diventano i posti di lavoro e la lotta alle mafie. E l’elenco potrebbe continuare a lungo e lungo le strade della vulgata corrente.

Rinunciamo ai compromessi per non rinunciare all’identità.