Il Santuario della “Madre di Dio” Incoronata di Foggia
La traccia mariana che andiamo a esaminare questa volta ci porta presso il santuario dedicato a “Maria Madre di Dio Incoronata”, situato a poca distanza da Foggia. Un salto all’indietro di oltre mille anni perché risalgono all’inizio dell’XI secolo se si vogliono trovare le origini di questo luogo di devozione mariana.
La traccia mariana che andiamo a esaminare questa volta ci porta presso il santuario dedicato a “Maria Madre di Dio Incoronata”, situato a poca distanza da Foggia. Credo che il nome della città pugliese richiami immediatamente nell’animo dei lettori una terra che il Signore ha benedetto con grazie davvero speciali, suscitando una devozione assai profonda da parte di gente umile, povera di mezzi ma ricca di fede. E allora non possiamo non citare il Santuario di Santa Maria di Leuca, in provincia di Lecce, situato sulla punta della regione, affacciato su un promontorio dal quale si gode una vista talmente straordinaria che vien difficile non lodare Dio per la bellezza del creato; ancora, possiamo citare Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, dove si trova il Santuario dedicato a San Michele Arcangelo: edificio sacro assai caro ai pellegrini pugliesi e non solo, caratterizzato da una originalissima collocazione naturale, nella profondità di un antro che discende tra le rocce, fino a condurre alla grotta-cappella dove si venera l’effigie del principe delle milizie celesti. E infine, sempre in provincia di Foggia, non possiamo omettere un piccolo centro che da oltre mezzo secolo è famoso in tutto il mondo: San Giovanni Rotondo, ove sorge il convento in cui milioni di pellegrini si sono riversati per poter incontrare Padre Pio, il frate delle stigmate, la cui festa celebreremo tra pochi giorni, essendo nato al Cielo il 23 settembre del 1968.
Insomma: se, trattando di qualche santuario francese abbiamo avuto occasione di dire che la Francia è davvero un Paese privilegiato da Dio per le numerose apparizioni mariane che vi hanno avuto luogo in passato – ad esempio Laus, Lourdes, La Salette, Pellevoisin, Rue du Bac a Parigi – la stessa cosa si potrebbe ora dire della Puglia, che pare egualmente terra privilegiata per l’abbondanza di doni celesti, come sopra ho appena ricordato: la devozione di Santa Maria di Leuca e quella a San Michele presso il santuario di Monte Sant’Angelo, unitamente a quel gigante di santità che è stato ed è San Pio da Pietrelcina. Andare con la mente e con il cuore al santuario dell’Incoronata, significa fare un salto indietro nel tempo di circa mille anni. Se è vero infatti che ben più antico è il culto che si è sviluppato a Leuca – dove la tradizione fa risalire a San Pietro stesso e ai primi cristiani la dedicazione di un edificio sacro in luogo di quello che era stato un tempio votivo della dea Minerva – bisogna però riandare all’inizio dell’XI secolo se si vogliono trovare le origini della devozione mariana che ora andremo a esaminare. E così intendo fare con voi, cari amici, ritornando indietro precisamente al 1001 d.C.
È infatti quello l’anno nel quale, secondo la tradizione, si svolsero i fatti che diedero impulso alla devozione all’Incoronata. A quel tempo un nobilotto locale, il conte d’Ariano, del quale si ignorano più precise generalità, stava rientrando da una giornata di caccia. Essendo ormai prossima la sera, fu colto dal buio e costretto a rifugiarsi presso una casupola eletta a rifugio di fortuna nel bosco limitrofo al fiume Cervaro, in una zona distante circa una decina di chilometri dall’odierna area urbana di Foggia. Mentre il conte si riparava dai pericoli e dalle insidie della notte, ecco che le tenebre furono squarciate da una luce intensissima che attraversò la selva circostante il casolare. Sorpreso da quella scia luminosa, il nobile uscì dal riparo e, seguendo quel chiarore così inusuale, giunse ai piedi di un albero della boscaglia. Alla sommità dell’albero si trovava una bella e misteriosa Signora, circondata da una luce sfolgorante. Osservandola con stupore, il conte notò che ella indicava una statua di legno che a sua volta si trovava collocata tra i rami di una vicina quercia, accompagnando tal gesto con le parole: “Non temere, io sono la Madre di Dio, voglio che mi sia eretta qui una cappella per essere venerata dai fedeli. Renderò celebre questo luogo con le grazie che concederò a quanti mi invocheranno davanti questa immagine con cuore sincero e filiale”.
Mentre stava accadendo tutto questo, si trovava a passare da quelle parti un contadino che, in quell’ora antelucana, si recava al lavoro. Arrestati i buoi che stava conducendo ai campi, l’uomo – che la tradizione riferisce chiamarsi Strazzacappa - comprese immediatamente di trovarsi in presenza della Vergine Santissima.Senza lasciarsi sopraffare dal timore e dal timore che possiamo immaginare lo colsero, il contadino prese il paiolo che avrebbe utilizzato per il povero pasto di quella dura giornata lavorativa e vi versò prontamente dell’olio, improvvisando una rudimentale ma efficace lampada votiva che subito accese in onore della Madonna.Dinnanzi a quel gesto, anche gli occhi del nobile finalmente riconobbero la soprannaturalità dell’evento e, di lì a poco, fu proprio il conte d’Ariano a finanziare la costruzione di una cappella che rappresenta il primo edificio sacro dedicato all’Incoronata, cui fecero seguito, a più riprese, lavori di ampliamento, restauro ed edificazione che condussero all’attuale santuario che si annuncia per la svettante sommità del campanile che quasi pare richiamare i pellegrini che ancora oggi si recano presso il luogo dell’apparizione, immergendosi in una atmosfera di profondo raccoglimento favorita dall’area boschiva che circonda l’area del complesso sacro cui si giunge anche in pullman da Foggia, attraversando vigneti e campi coltivati.
Prima di esaminare meglio il significato di questa apparizione, possiamo ancora riferire qualche notizia storica utile a comprendere la rapida diffusione della devozione mariana all’Incoronata. Dapprima la cappella edificata dal conte d’Ariano fu affidata a un eremita, il quale ben presto non fu però più in grado di provvedere da solo all’accoglienza dei numerosi pellegrini che, attratti dalla notizia dell’apparizione, si recavano sul posto per venerare la statua lasciata dalla Madonna. A questi vanno poi aggiunti quanti, senza essere a conoscenza dei fatti, si trovavano a passare per quella zona in quanto diretti presso il già rinomato Santuario di San Michele di Monte Sant’Angelo. Contadini e pastori, curiosi e fedeli, sempre più numerosi spinsero all’ampliamento della cappellina. La nuova chiesa fu affidata alle cure dei monaci Basiliani, ovvero di quei religiosi che seguono la Regola di San Basilio Magno (330-379 d.C.) e che possono essere sia di rito greco che latino. Nel 1139 il re normanno Ruggero II donò il santuario a Guglielmo da Vercelli e il santo, succedendo nella custodia ai basiliani, vi rimase fino alla morte. Fu quindi la volta dei monaci cistercensi che, tra il Duecento e l’inizio del Cinquecento resero il luogo sacro, grazie alla felice unione di fervore e laboriosità, una delle mete sacre più frequentate della regione, al punto che si resero presto necessari nuovi lavori di ampliamento del complesso, attraverso l’impegno dei pellegrini e la munificenza di tanti benemeriti.
Si giunse così all’infelice principio del XIX secolo, quando, in pieno regime napoleonico, i beni del santuario vennero confiscati, nel 1808. Furono gli anni più difficili per il santuario dell’Incoronata, minacciato dall’abbandono e dall’incuria al punto che si temette per la sopravvivenza dello stesso edificio sacro. Mancando le condizioni di sicurezza necessarie e non essendovi l’adeguata cura spirituale, sempre meno erano i pellegrini che si recavano presso il luogo dove, ottocento anni prima, la Vergine era apparsa al conte d’Ariano e al povero contadino. Occorre attendere la metà del Novecento affinché il santuario ritorni sotto la piena giurisdizione dell’autorità ecclesiastica. Fu il vescovo di Foggia, mons. Fortunato Maria Farina, che, nel 1950, affidò la custodia del complesso sacro ai Figli della Divina Provvidenza fondati da Don Orione. In breve crebbero la devozione dei fedeli e lo spirito di preghiera e di raccoglimento che per secoli avevano caratterizzato quell’area del Tavoliere pugliese. Con l’aumentare dei pellegrini, si rese necessario lo studio di un significativo ampliamento della chiesa. Venne quindi elaborato il progetto per un nuovo tempio che, dopo oltre dieci anni di lavori, poté essere concluso nel 1965, lanciando verso il cielo l’alto campanile che ancora oggi è richiamo per moltitudini di fedeli.
La particolarità del santuario è che esso, pur caratterizzato da forme architettoniche alquanto imponenti e moderne, si inserisce in un contesto naturale che richiama quello dell’apparizione di oltre mille anni fa, poiché ancora troviamo l’antico bosco di querce che vide la Vergine Incoronata scendere tra gli uomini, in terra pugliese, per recare conforto e stimolo alla fede e alla preghiera. L’area sacra è costituita da un ampio recinto che accoglie edifici secondari, attorno a un centro ideale che è il santuario stesso. Il tempio, capace di accogliere un nutrito numero di fedeli, presenta una pianta a croce greca e si presenta come un unico, ampio vano. Dicevo che il santuario è posto al centro degli altri edifici – quello dedicato ai Padri Orionini, quello per l’accoglienza dei pellegrini, il museo e il teatro. Tale collocazione mira a esprimere il ruolo della Chiesa – di cui Maria è Madre e Regina – quale presenza accogliente e punto di riferimento per quanti a lei ricorrono. A questa funzione di orientamento e richiamo concorre l’altissimo campanile, sul quale svetta la croce che indica il trionfo di Cristo che annuncia una nuova speranza all’umanità confusa e incerta di questo inizio di terzo millennio. È una croce che, nelle intenzioni di chi ha progettato il santuario, cioè l’architetto Luigi Vagnetti di Roma, vuol indicare che mille anni fa la Madonna è venuta a chiamare a raccolta i suoi figli e tale chiamata ancora oggi continua, come una missione che sarà conclusa solo quando anche l’ultima pecorella smarrita avrà fatto ritorno all’ovile. Per rendere concretamente l’idea di quanto il santuario sia aperto all’accoglienza dei fedeli, devo almeno ricordare la casa del pellegrino “Incoronata” che conta una sessantina di posti letto, oltre a una sala teatro da 300 posti e una sala da pranzo per 200 persone. Oltre a salone per conferenze e incontri di gruppo, sorge pure una palazzina con oltre cento posti letto adibita a ostello per i giovani.
Diverse sono le tradizioni che ancora oggi sopravvivono per caratterizzare con vivacità il culto della Incoronata. Anzitutto quella della vestizione della statua della Madonna che, ogni anno, ricorre il mercoledì precedente l’ultimo sabato di aprile – ovvero il giorno in cui, secondo la tradizione, la Madonna apparve al nobile e al contadino.Degna di nota è poi la “Cavalcata degli Angeli”, una folcloristica processione di cavalli bardati a festa e di centinaia di bambini vestiti da santi e fraticelli che, in corteo, il venerdì successivo alla “vestizione”, compiono tre giri attorno al santuario, per far rivivere, davanti alle migliaia di pellegrini che per l’occasione accorrono, l’atmosfera di gioia e di tripudio creata dalle centinaia di angeli che dovettero accompagnare la discesa di Maria in terra in quella notte di aprile del 1001. Parlando delle devozioni fiorite attorno al santuario dell’Incoronata, non posso non citare l’olio benedetto della Madonna Incoronata. Da sempre infatti vi è l’usanza, tra i pellegrini, di ungersi con l’olio benedetto custodito nella “cappella dell’unzione”, nella quale si può passare prima di rendere omaggio alla statua dell’Incoronata. Tale olio è un sacramentale, cioè un segno sacro grazie al quale, in virtù della intercessione della Vergine Santissima, possono ottenersi grandi grazie e guarigioni, sia fisiche che spirituali. Si tratta di olio di oliva, per ricordare lo stesso olio utilizzato oltre mille anni fa da Strazzacappa per accendere una lampada votiva ai piedi della Madonna.
Riandiamo dunque ancora a quella notte del 1001. Il povero contadino fu pronto a riconoscere nella misteriosa Signora apparsa sulla cima dell’albero la Vergine Maria e prontamente verso l’olio di oliva che portava con sé nel proprio paiolo, facendone una lampada votiva.Badate bene che il gesto non è affatto scontato, poiché la povertà del contadino porta a credere che fu un bel sacrificio privarsi di tutto quel prezioso alimento. Eppure, tanta generosità fu subito ripagata, poichè l’olio prese ad ardere e, pur levando una bella fiamma in onore della Madonna, non si consumò. Alcune immagini della tradizione vedono gli angeli che alimentano la lampada, spigando così il prodigio dell’olio che, pur bruciando, non accennava a venir meno. é veniva meno quando, successivamente, i pellegrini presero l’abitudine di farsi il segno della croce ungendosi con lo stesso olio che pure prelevavano in quantità non sempre modiche per portarlo a casa a parenti e ammalati.Oggi questo segno miracoloso non accade più, poiché è necessario rifornire l’olio che i pellegrini prendono per sé e i propri cari.Eppure, ancora oggi, continua ad accadere forse il miracolo più importante, in quanto numerosissime sono le testimonianze delle guarigioni interiori e delle conversioni operate da quanti, con devozione, hanno voluto ungersi con il prezioso liquido custodito presso il santuario. A quanti sono pratici di Notre Dame de Laus, non può non venire in mente un facile parallelo con l’olio che si può trovare nel santuario francese, non lontano da La Salette, che ricorda le apparizioni mariane a Benedetta, la giovane che vide la Vergine dal 1664 al 1718.
La condizione essenziale è ovviamente la devozione di quanti si accostano a tale olio benedetto, sicuri che esso sia un segno di quella promessa di guarigione che Gesù stesso fa a quanti si affidano a Lui con tutto il cuore. In caso di malattie, di difficoltà materiali e spirituali, di paure legate al passato o di timori per il futuro, ci si può dunque segnare con tale unguento, provvedendo però di avere un cuore pronto a ricevere le eventuali grazie impetrate, purificando il proprio animo tramite il Sacramento della Riconciliazione e nutrendolo con la Parola di Dio e l’Eucarestia. Si può compiere questo gesto di devozione recitando preghiere libere e spontanee, oppure la seguente orazione: «O Dio, Padre Misericordioso, che diffondi i tuoi doni per opera dello Spirito Santo, nel ricordo dell'unzione battesimale riceviamo ora, con sincera devozione, l'unzione con l'olio benedetto della lampada che il pastore Strazzacappa mise ad ardere sull' albero per la Vergine Incoronata. Pertanto fa' che nell'anima nostra non manchino mai l'olio della Fede, l'unzione della ferma Speranza e la fiamma della santa Carità! Ti preghiamo per intercessione di Maria madre di Gesù, il Cristo Tuo Figlio e nostro Signore, il quale vive e regna con Te per tutti i secoli dei secoli. Amen!»
Se fin qui abbiamo parlato di tradizione, vorrei però dare maggior fondamento storico all’episodio da cui abbiamo preso le mosse, ovvero l’apparizione del 1001. Purtroppo però le fonti letterarie dirette risalgono al Seicento, per quanto tuttavia già il diploma reale di Ruggero II, datato 1140, attesti l’esistenza del santuario. A questo punto alcuni tra voi, cari amici, potranno restare forse perplessi dinanzi alla scelta di presentare questo santuario: grande devozione, senz’altro, e non solo tra i pugliesi, però ben poche notizie storiche relative all’unica apparizione che ho riferito poco sopra. E, soprattutto, nessun messaggio. È vero che la tradizione attribuisce alla Vergine la richiesta di edificare una cappella proprio sul luogo dell’apparizione, caratteristica questa che un po’ contraddistingue la maggior parte delle apparizioni mariane che abbiamo esaminato in quasi due anni qui a “Sulle tracce di Maria”, convinti come siamo che ogni santuario non sia che la risposta umana a una iniziativa precedentemente assunta dalla Madonna stessa tramite apparizioni e messaggi che ancora oggi “parlano” a noi. In questo caso, pare non esserci un messaggio, dunque, a parte le poche parole indirizzate dalla Madonna al conte d’Ariano: “Non temere, io sono la Madre di Dio, voglio che mi sia eretta qui una cappella per essere venerata dai fedeli. Renderò celebre questo luogo con le grazie che concederò a quanti mi invocheranno davanti questa immagine con cuore sincero e filiale”. E invece, a ben guardare, la stessa apparizione costituisce un eloquente messaggio di quanto la Madonna è venuta a dire agli uomini di quel tempo affinché potessimo farne tesoro noi stessi oggi.
Anzitutto, notate come la luce che illumina la notte di quell’ultimo sabato di aprile del 1001 sia un segno che ricorda quella luminosa scia che mille anni prima aveva guidato i re Magi alla grotta di Betlemme a rendere omaggio a Gesù. Anche questa volta il segno luminoso porta a Gesù, nel senso che, appena si manifesta, la Madonna dice: “Io sono la Madre di Dio”, specificando la propria identità in relazione a quella di Colui che l’ha resa “beata” per tutti i secoli, come la Vergine stessa canta nel Magnificat. Ecco dunque che la luce sfolgorante che circonda la Madonna è il segno di quella Luce che entra nel mondo con la nascita di Gesù, di quella Luce che è venuta tra gli uomini per liberarli dalle Tenebre del Male e del peccato. Come in ogni altra apparizione mariana, è dunque Maria Vergine la protagonista. Eppure si serve di strumenti umani per fare sì che il suo messaggio possa essere raccolto, custodito, divulgato. In questo caso i veggenti sono due, adulti – mentre spesso abbiamo visto essere scelti dalla Madonna dei bambini, come la piccola Bernadette o i tre pastorelli di Fatima. Si può credere che la richiesta avanzata al conte – “voglio che mi sia eretta qui una cappella per essere venerata dai fedeli” – sia la ragione dell’aver scelto due adulti come veggenti, al fine di poter contare su persone adulte capaci di rendere immediatamente operativa la volontà di soddisfare la richiesta della Vergine. Sarà infatti il conte, come abbiamo visto, che darà impulso alla costruzione del primo edificio sacro sul luogo dell’apparizione. Tale generosità non è però superiore a quella del povero contadino: Strazzacappa infatti, lo abbiamo detto, non esita a fare della propria preziosa razione di olio d’oliva una riserva di combustibile per la lanterna votiva che allestisce alla bell’e meglio per celebrare la bella Signora che subito capisce essere la Vergine. Questo è un particolare importante: come la vedova del Vangelo, che gettando due spiccioli nel tesoro del Tempio donò a Dio tutto ciò che aveva, così l’umile omaggio del contadino acquista un enorme valore se si considerano le disponibilità del pover’uomo e come si sia privato senza esitazione dell’essenziale alimento.
Se l’offerta del contadino non è dunque da meno rispetto a quella del nobile, posso poi aggiungere ancora un elemento che mi pare rendere ancora più significativa la presenza di Strazzacappa sul luogo dell’apparizione: il primo a riconoscere la Madonna come tale non il conte d’Ariano, che pure la vede per primo, bensì il contadino. Benché la Vergine si sia presentata esplicitamente, dice la tradizione, già al nobile quale “Madre di Dio”.Eppure gli occhi del conte dovettero rimanere come chiusi, abbagliati da quello splendore che non riuscivano a sostenere, mentre gli occhi semplici e trasparenti del contadino non dovevano faticare per riconoscere con immediatezza quel bel volto cui tante volte, posso immaginare, avrà innalzato in precedenza suppliche fiduciose e sguardi del cuore carichi di affetto filiale. E questo è un punto su cui vorrei insistere. La povertà del cuore è la condizione indispensabile per riconoscere la Madonna nella nostra vita, ben sapendo che se a pochi è dato di essere veggenti, a tutti è dato però di “vedere” la Vergine con gli occhi del cuore, nella preghiera. È la Madonna stessa che invita a questo riconoscimento del cuore quando dice che avrebbe reso celebre quel luogo per le numerose grazie concesse a quanti avessero l’avessero invocata con cuore sincero e filiale davanti all’immagine. Comprendiamo così il significato del dono della statua che la Madonna indica al conte e che questi vede sulla sommità di una vicina quercia. È come se la Vergine dicesse: non occorre che mi vediate con i vostri occhi sensibili per potervi accorgere della mia materna presenza accanto a voi. Basta che mi vediate con gli occhi del cuore, affidandovi a Me, con sincerità e amore.
Per fare questo, basta indirizzare i propri affetti e i propri pensieri alla Vergine, rivolgendole ogni moto dell’animo. Per arrivare a questa disposizione interiore, la venerazione devota e sincera di una immagine sacra può essere un buon punto di partenza, a volte anzi quasi una condizione necessaria per non soccombere alle molte distrazioni esterne e ai pensieri che affollano la mente.La Madonna, che conosce le fragilità del cuore dell’uomo, sembra dunque dire ai suoi cari figli: ecco, io stessa vi offro un simulacro della mia immagine, affinché possiate partire da esso, contemplandolo con occhi sensibili per indirizzare la mente e il cuore a me, affinché nella preghiera riusciate a indirizzare gli occhi del cuore a me e a percepire nel profondo di voi stessi la mia presenza. Quanto la tradizione abbia recepito l’importanza di questo particolare è dato dal fatto che non solo il santuario conserva la statua nera della Madonna con Bambino, con entrambe le figure sormontate da splendide corone, come culmine del percorso devozionale che si può compere nel complesso sacro - dopo essersi unti con l’olio benedetto che sopra ho ricordato - ma vi è altresì custodito, sotto l'altare della cripta, il 'santo legno', unico pezzo residuo dell'antica quercia dell'apparizione. Un elemento che, unitamente alla statua lignea della Madonna, datata proprio ai tempi dell’apparizione, contribuisce ancor più a collocare nella realtà storica il fenomeno. Mi pare che dietro a questo dono della statua ci stia dunque un invito esplicito affinché ognuno di noi, oggi, possa curare sempre meglio la propria preghiera. Il diavolo teme la preghiera poiché essa è un dialogo d’amore che unisce l’anima a Dio. E quante sono le distrazioni con cui il Maligno cerca di far cadere la nostra preghiera ogni volta!Dinanzi al rischio di distrarsi, di pensare alle mille cose da fare, di “girare a vuoto”, perché non abituarsi a porre gli occhi su una qualche immagine sacra – un crocifisso, una statua della Vergine, una qualche icona religiosa – al fine di meglio indirizzare i pensieri e gli affetti dell’anima?
Un altro messaggio implicito in questa apparizione mi pare contenuto nel fatto che i due veggenti siano un nobile e un contadino, come a dire che non conta il rango sociale o la ricchezza o la cultura ma chiunque può essere termine della chiamata alla conversione che la Madonna rivolge dunque a tutti i suoi figli. L’obiettivo è quello di portare le anime a Dio – non dimentichiamo che Ella si presenta in funzione di Dio stesso dicendo: “Sono la Madre di Dio” – e per fare questo, per accrescere la fede, la Vergine sa che deve stimolare la preghiera e il raccoglimento individuali.Ecco il perché del dono della statua, ecco il perché della promessa di numerose grazie a chiunque avesse pregato con devozione e sincerità dinnanzi all’immagine sacra. Tutti sono chiamati, dicevo, ricchi e poveri, contadini e nobili, a significare una chiamata universale alla salvezza, come ben manifesta il campanile svettante del santuario che pare invitare a raccolta tutte le genti del circondario, segno di quella universale chiamata alla salvezza che la Chiesa – di cui Maria è la Madre – rivolge a tutta l’umanità. Infine, mi pare importante ricordare le parole con cui si apre il messaggio della Madonna al nobile che la vide sulla sommità dell’albero, circondata di luce sfolgorante: “Non temere”. Credo che questo invito possa valere particolarmente per noi oggi, e non solo per il veggente che, dinnanzi a quella inattesa e stupefacente visione, poteva esser preso da timore. “Non temere” è un invito rivolto a ognuno di noi quando ci lasciamo prendere dallo sconforto, quando nel mezzo delle prove e delle difficoltà che caratterizzano la “buona battaglia” della vita di ogni giorno siamo tentati di gettare la spugna, di pensare che non ce la faremo. In questi casi, non dobbiamo perderci d’animo, ma ricordare con fiducia queste parole della Madonna: “Non temere”. In questo invito a non lasciarci prendere dalla paura risuonano le parole che la Virgen de Guadalupe rivolse all’umile Juan Diego, l’indio che vide la Vergine “Morenita” nel 1531, allorché gli disse: “Perché temi? Non sto forse qua io, che son tua Madre?”. Ecco, cari amici, le stesse parole rivolge la Madonna a noi oggi: quando più infuria la battaglia non dobbiamo farci prendere dal timore ma, con fiducia filiale e sincera, dobbiamo abbandonarci tra le braccia della nostra Mamma Celeste: Lei ci accoglierà, ci darà rifugio, ci metterà al riparo da ogni pericolo.
Come facciamo a essere sicuri che potrà Ella difenderci dal maligno? Ricordiamo che si è presentata come “Madre di Dio”, indicando come contraddistintivo della propria identità un privilegio divino di cui ha goduto in virtù della grazia di esser stata esentata dal peccato originale, essendo stata concepita come Immacolata. Ora, proprio la sua Immacolata Concezione – premessa fondamentale al suo poter accogliere in Sé il Verbo, divenendo la Madre di Dio – indica che la Madonna è esente da ogni peccato, ovvero che in Lei non vi è la minima macchia né traccia dell’azione del demonio. Se la sua realtà non può dunque essere intaccata dall’azione del Diavolo, quale luogo più sicuro del suo Cuore Immacolato per trovare noi stessi riparo? Ecco dunque che in quel “non temere” sta l’invito per ognuno di noi a non avere più paura, ad abbandonarsi completamente alla volontà di Dio ponendosi al riparo del manto della Madonna.
Con questi sentimenti di fiducia, ci rivolgiamo dunque in preghiera alla Madre di Dio Incoronata:
O Madre nostra Maria, il titolo di Madre di Dio Incoronata,
col quale da mille anni generazioni innumerevoli Ti onorano,
ci ricorda la Tua materna protezione e la Tua potente intercessione presso il Figlio tuo Gesù per chiunque ricorre fiducioso a Te.
Dio stesso Ti ha voluto dispensatrice di grazia in favore di tutta l’umanità.
L’antica e miracolosa immagine venerata nel Santuario a Te dedicato
è segno concreto della Tua materna presenza e disponibilità
verso tutti coloro che Ti invocano.
Questo luogo benedetto, a Te prescelto,
che è stato centro di unione della chiesa cattolica sia d Occidente che d’Oriente,
è da secoli meta di pellegrini provenienti da tutto il mondo
fiduciosi di sperimentare la Tua materna intercessione.
Confortati e animati dalla più grande confidenza, benché peccatori,
noi eleviamo a Te con filiale devozione le nostre suppliche e preghiere,
prostrandoci davanti alla Tua immagine gloriosa
che splende come fulgida stella tra i rami della quercia dove siedi Regina Incoronata,
perché Ti degni di ascoltarle ed esaudirle.
Amen.