Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
liturgia

Il ritrovamento e i miracoli della Santa Croce

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Per secoli il 3 maggio si commemorava il recupero del sacro legno avvenuto per opera di Sant'Elena. Evento narrato dalla Legenda Aurea e dalla storia dell'arte, che manifesta la consapevolezza del valore salvifico di uno strumento di morte che è divenuto fonte di vita. 

Ecclesia 03_05_2023

«Negli anni di Cristo MCCLXXXXIIII [1294], il dì di santa Croce di maggio, si fondò la grande chiesa nuova de’ frati minori di Firenze detta Santa Croce…»: dalla Cronica di Giovanni Villani sappiamo che la prima pietra della celebre basilica fiorentina fu posata il 3 maggio, ovvero il «dì di santa Croce di maggio», quando fino a pochi decenni fa la liturgia celebrava l’Inventio Sanctae Crucis.

L’Inventio, talvolta volgarizzato in “Invenzione”, allude al Ritrovamento della Santa Croce (dal latino invenio: ritrovare) ad opera di Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, avvenuto all’incirca nell’anno 327 e celebrato in Oriente il 14 settembre. A dire il vero il passaggio dall’Oriente al mondo latino aveva comportato qualche confusione con un altro evento, quello del 628, quando la Croce fu trionfalmente recuperata dopo essere finita in mano ai persiani. Comunque sia, sul piano liturgico, le due ricorrenze si andarono consolidando così: il 3 maggio il Ritrovamento e il 14 settembre l’Esaltazione o Trionfo della Croce. E pur lamentando che «i latini confusero l'oggetto delle due feste», il beato Alfredo Ildefonso Schuster nel suo Liber Sacramentorum sottolinea «il profondo significato liturgico» di una festa dedicata alla Croce «tra gli splendori del tempo pasquale».

Più che un doppione per molto tempo le due ricorrenze sono state percepite come complementari. L’una più legata al mistero (l’Esaltazione), l’altra all’oggetto (l’Invenzione) che da strumento materiale di morte è divenuto singolarissima reliquia della redenzione e portatrice di vita. L’antica colletta del 3 maggio fa riferimento ai «miracula» avvenuti in occasione del suo ritrovamento, e Schuster ricorda ancora che «Iddio si è compiaciuto di accordare tanta virtù alla Croce, che al solo suo segno i sacerdoti benedicono i fedeli, i demoni fuggono e i devoti impetrano copiose grazie», così che questo segno non è un mero ricordo di un evento passato o di un concetto, ma in qualche modo rinnova le virtù della “vera Croce”. Il predecessore di Schuster sulla cattedra ambrosiana, San Carlo Borromeo, volle che il rito della Nivola e la processione del Santo Chiodo si ripetessero anche il 3 maggio e così avvenne fino al 1962, quando la “Croce di maggio” fu soppressa dal calendario universale per “accorparla” a quella di settembre – ma con alcune eccezioni.

In numerosi luoghi una radicata devozione o una singolare reliquia hanno fatto sì che la festa di maggio venisse ancora celebrata o quantomeno sentita, per esempio, a Savignano sul Rubicone, in Romagna; a Bagnone, in Lunigiana; a Lucca, per non citarne che alcuni. Sempre il 3 maggio vari Paesi dell’America Latina si celebra la cruz de mayo o fiesta de las cruces. E “croci di maggio” erano chiamate quelle che proprio in questo giorno venivano poste a protezione dei campi e per invocare la benedizione sul raccolto; in parte lo si fa ancora. Ma soprattutto la Custodia di Terrasanta celebra la liturgia del Ritrovamento della Santa Croce a maggio, spostata però al 7, in ricordo del 7 maggio 351, quando «a circa l’ora terza del giorno, una enorme croce formata di luce apparve nel cielo sopra il santo Golgota» (così la descrisse il vescovo Cirillo di Gerusalemme all’imperatore Costanzo).

Sembra che i francescani, oltre a essere custodi della Terra Santa, abbiano custodito anche la “leggenda della Vera Croce”. È francescana la basilica fiorentina di Santa Croce che fu consacrata nel «dì di santa Croce di maggio», come attesta il Villani e dove non potevano mancare le vicende di Sant’Elena affrescate da Agnolo Gaddi nell’abside. Così come lo era (fino al ‘700) la chiesa di San Francesco a Volterra, che nella cappella della Croce di Giorno ospita un analogo ciclo dipinto da Cenni di Francesco. Entrambi precedono di pochi decenni il ciclo più celebre: le Storie della Vera Croce affrescate da Piero della Francesca nella basilica aretina di San Francesco. E tutti, però, fanno riferimento a un autore vissuto nel Duecento: Jacopo da Varazze (questa volta un domenicano!), che nella sua Legenda Aurea aveva condensato le tradizioni orali giunte fino a lui.

Quei racconti facevano risalire il sacro legno a un rametto fiorito sulla tomba di Adamo «dove diventò un grande albero che visse fino al tempo di Salomone». Questi però lo fece sparire, dopo aver udito la profezia della regina di Saba «che a quel tronco sarebbe stato appeso un uomo per la cui morte il regno dei Giudei sarebbe stato distrutto». Ma quel tronco riemerse al tempo della Passione di Cristo e con esso fu costruita la sua croce. «Questo prezioso legno della croce rimase per duecento e più anni nascosto sottoterra ma fu poi trovato da Elena», prosegue Jacopo che a questo punto descrive il sogno e la vittoria di Costantino. In breve, di croci ne trovarono tre, «ma non sapendo come distinguere la croce di Cristo da quelle dei ladroni, le misero tutte in mezzo alla città aspettando che si manifestasse la gloria del Signore». E si manifestò con una guarigione – o addirittura una risurrezione, secondo le varie versioni – avvenuta a contatto con la Vera Croce e non con le altre due.

Storie "medievali", si dirà. Allora ne raccontiamo una più recente, ma non meno “miracolosa”: quella di Joris-Karl Huysmans, scrittore vissuto tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Nella sua inquieta esistenza non si era fatto mancare nulla, compreso il satanismo. Il suo tormento, infine, sfocia nella nevrosi e nel pessimismo, ma pure nella straziata invocazione finale del romanzo À Rebours (Controcorrente): «Signore, abbi pietà del cristiano che dubita, dell'incredulo che vorrebbe credere, del forzato della vita che s'imbarca solo, nella notte, sotto un firmamento che non è più rischiarato dai consolanti fari dell'antica speranza!». Il critico Barbey d'Aurevilly commentò: «Dopo un simile libro, non resta all’autore che la scelta fra la canna della pistola o i piedi della croce». «Già fatto», rispose Huysmans, che aveva scelto: si gettò ai piedi della croce, aggiungendosi alla schiera di innumerevoli uomini guariti dal sacro legno.