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Il ragazzo non è un robot, cosa serve per ripartire a scuola

Ogni esame ha in sé due incognite: l’imprevisto e il fattore umano. L’imprevisto è sorprendente e liberante ad un tempo, perché ci fa capire che non tutto dipende da noi, come insegnava già sant’Ignazio. Il fattore umano significa innanzitutto che non siamo robot. Quest’anno è successo qualcosa di epocale, e non sempre le risposte del mondo della scuola sono state adeguate. Ecco perché

Cultura 21_06_2020

Ogni esame contiene in sé due incognite: l’imprevisto e il fattore umano, entrambi imponderabili.

L’imprevisto ci fa capire meglio a livello esperienziale che la ragione non riesce a cogliere e a comprendere tutto, perché la realtà non è stata costruita e progettata da noi, ma ci previene. Per questo l’imprevisto è sorprendente e liberante ad un tempo, perché ci permette di comprendere che noi non siamo onnipotenti, non tutto dipende da noi, gli esiti non sono sempre in mano nostra.

Perché è liberante questa consapevolezza? Perché se non tutto dipende da noi, se l’esito non è la naturale conseguenza di un impegno e di uno sforzo, significa che esiste un altro criterio di giudizio del lavoro e dell’impegno, esiste un’altra possibilità di valutazione dell’operato, un metro di giudizio che è interno al cuore, non estraneo, che coincide con la coscienza: quanto ho lavorato e mi sono impegnato, ovvero quanto sono stato responsabile, cioè ho cercato di rispondere alle richieste della realtà, delle persone e dei compagni? Quanto sono cresciuto e sono diventato più maturo, più grande, più cosciente di me? Prima ancora che il voto, è la risposta a queste domande che ci fa capire il senso di questa esperienza.

Stiamo attenti, però, perché di fronte all’imprevisto possiamo assumere come linea guida il disimpegno oppure la proposta di sant’Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio».

Il secondo fattore è quello umano, così ben descritto nel meraviglioso film Sully di Clint Eastwood. La vita per fortuna non è un’equazione matematica, non può essere riassumibile in formule ed equazioni. Un pilota si trova ad affrontare un guasto sull’aereo appena decollato, avendo pochi secondi per valutare, giudicare, prendere posizione; non si comporta come un robot, proprio perché ha il fattore umano, fattore che rende affascinante l’avventura della vita.

Un esame di Stato non è mai uguale a un altro. Quest’anno, poi, soltanto a poche settimane dalla prova gli studenti hanno scoperto quale tipo di esame avrebbero sostenuto, a causa della chiusura delle scuole e dell’avviamento della Dad (la didattica a distanza). Durante l’esame il ragazzo ha la possibilità di capire un po’ meglio se stesso, la propria emotività, le reazioni, le capacità, le inclinazioni e i desideri.

Dopo quest’anno sono ancora più convinto che debbano rimanere delle prove serie e faticose al termine del percorso scolastico che introduca poi al mondo universitario o a quello lavorativo. Gli esami rimangono l’ultimo rito d’iniziazione nella civiltà occidentale.

Ormai da più di vent’anni, dalla riforma del 1997 entrata in vigore dall’anno scolastico 1998-1999, non esiste più il titolo di esame di maturità e ci si avvale della denominazione di esame di Stato.

Certamente gli esami non hanno mai valutato la maturità di uno studente. Chi potrebbe negarlo! Ma in un certo qual modo gli esami hanno sempre segnato l’ingresso a un nuovo mondo, perché non segnano solo la fine, ma aprono anche a una fase diversa, a un nuovo inizio. Tracciano la fine di una fase della vita e l’inizio di un’altra.

A vent’anni si è ormai grandi, si apre davvero la fase della maturità, intesa come responsabilità, come momento della scelta e della libertà.

Leopardi, però, ci avverte nello Zibaldone:

«Nessuno diventa uomo innanzi di aver fatto una grande esperienza di se, la quale rivelando lui a lui medesimo, e determinando l’opinione sua intorno a se stesso, determina in qualche modo la fortuna e lo stato suo nella vita. A questa grande esperienza, insino alla quale nessuno nel mondo riesce da molto più che un fanciullo, il vivere antico porgeva materia infinita e pronta: ma oggi il vivere de’ privati è sì povero di casi, e in universale di tal natura, che, per mancamento di occasioni, molta parte degli uomini muore avanti all’esperienza ch’io dico, e però bambina poco altrimenti che non nacque. Agli altri il conoscimento e il possesso di se medesimi suol venire o da bisogni e infortuni, o da qualche passione grande, cioè forte; e per lo più dall’amore; quando l’amore è gran passione; cosa che non accade in tutti come l’amare» (Zibaldone).

Questi ragazzi, quelli che hanno sostenuto l’esame quest’anno, hanno avuto la grande occasione. Tutti noi abbiamo avuto una grande occasione! Nessuno potrà più dire che l’uomo contemporaneo occidentale non ha attraversato momenti tragici della storia universale, mentre fino a qualche mese fa si faceva spesso ricorso al refrain: “Le ultime generazioni non hanno conosciuto la guerra”.

Da questo momento in poi nessuno più potrà nascondersi dietro l’illusione di non sapere. La realtà, che già provoca e richiama nelle condizioni ordinarie, ci ha mostrato chiaramente la falsità della posizione dell’uomo odierno che si crede padrone e signore, che misconosce l’imprevisto e la dipendenza e si erge sul piedistallo per costruire quel mondo migliore che il Dio creatore non sarebbe riuscito a costruire.

«Ripeness is all» ovvero «la maturità è tutto» scrive Pavese come frase incipitaria del suo diario Il mestiere di vivere, richiamandosi al Re Lear shakespeariano. La maturità dell’uomo è questa consapevolezza della vita, l’accettazione del destino che, se non si tramuta in amore, lascia solo tanta tristezza e malinconia.

Quest’anno qualcosa di grande, di imprevedibile e di toccante è successo. I ragazzi (come del resto tutti noi) hanno conosciuto un fatto epocale, che segnerà in modo indelebile una civiltà che era (ed è ancora) convinta di poter decidere della vita e della morte, di poter controllare e dominare il mondo e l’universo, di poter prevedere e anticipare gli eventi. Il mondo e ogni uomo saranno segnati da questo, come una cicatrice impressa sulla pelle. Ma ciascuno potrà ancora fingere di non vedere la cicatrice: alla Prima Guerra Mondiale è seguita la Seconda, tutta la storia è stata sfregiata da scontri, devastazioni e lotte per il predominio, proprio perché l’uomo sembra non essere disposto ad imparare. Se anche riconoscessimo che Historia magistra vitae, dovremmo, però, anche ammettere che esistono pochi allievi disposti ad imparare.

Nel mondo della scuola, in questi mesi di emergenza coronavirus, se si fosse partiti dalla quotidiana esperienza degli insegnanti che vivono a contatto con gli studenti, si sarebbero potuti evitare alcuni gravi errori. In questa sede, ne ricordiamo solo un paio.

L’improvvida ed esibita comunicazione offerta ad inizio aprile dal Ministero della pubblica istruzione su ogni canale di comunicazione, atta a rasserenare i ragazzi, con l’annuncio che sarebbero stati tutti promossi, se non ha frenato gli studenti diligenti e motivati, ha senz’altro assopito e smorzato l’attività mal avviata di molti altri che hanno stentato con la Dad e che si sono sentiti rassicurati da parole inopportune. Non è certo inadeguato che a fine anno si tenga conto della situazione vissuta, ma prima bisogna spronare in ogni modo a un lavoro e a una fatica anche nelle difficoltà. Così si temprano persona e carattere. In altro modo si detta la linea della deresponsabilizzazione e a nulla serve poi far ricorso alla parola serietà.

Altro grave errore è stato quello di dettare una nuova agenda degli esami che mostrasse come si potesse soprassedere alla maggior parte delle competenze che una scuola superiore avrebbe dovuto valutare in uscita. Nell’esame di quest’anno - in cui in un’ora si sono valutate l’elaborato delle materie di orientamento della scuola, il commento di un testo di Italiano, i collegamenti al materiale proposto dalla commissione, il PCTO (quella che si chiamava fino a poco tempo fa Alternanza Scuola-Lavoro), Cittadinanza e Costituzione - dove sono finite le competenze e la cultura?

Soprattutto i ragazzi comprendono bene cosa sia importante nel mondo degli adulti: di certo non la cultura, senza ombra di dubbio i soldi e il calcio. Più serio è il campionato di calcio che deve finire come da programmi per garantire correttezza e giustizia nell’attribuzione dei premi e per far questo si possono rimandare le date delle gare. Davvero non si sarebbe potuto prevedere un esame tradizionale rimandando di alcune settimane l’inizio?

Tra pochi mesi si ripartirà. Regole chiare e precise, le date in agenda vanno dettate fin da subito, altrimenti a settembre si perderà tanto tempo prima di un regolare inizio. Nei mesi trascorsi molti processi educativi e di crescita umana dei ragazzi si sono interrotti. Lo sa bene chi, oltre ad insegnare, ha potuto osservare la situazione anche come genitore, da un punto di vista per così dire privilegiato.

Oltre a compilare schede su quanto non è stato svolto o dovrà essere effettuato, mi auguro che possa avvenire una riflessione seria non solo su quanto i ragazzi hanno imparato, ma anche su quanto a loro è mancato. Che cosa è davvero essenziale in un rapporto educativo? Che cosa non può mancare a settembre perché adulti e ragazzi possano davvero respirare a scuola e non vivere in trincea, anche senza lockdown, negli istituti scolastici?