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Libertà religiosa

Il Québec vuole proibire di pregare in pubblico

La legge, che sarà presentata in autunno, è un ulteriore attacco alla libertà religiosa dopo Bill 21, la legge che dal 2019 proibisce di mostrare simboli religiosi in pubblico  

 

Il Québec è una provincia del Canada, la seconda per numero di abitanti, e fa parte della regione chiamata Canada francesce essendo la sua popolazione in prevalenza francofona. Dal 2019 una legge, la Bill 21, vi proibisce di mostrare simboli religiosi nei luoghi pubblici. Sono stati tolti i crocifissi nelle scuole, negli ospedali, nei tribunali e in altri edifici aperti al pubblico, per primo in Parlamento. Ai dipendenti pubblici è proibito indossare simboli di appartenenza religiosa. “Ci si avvicina – scriveva Luca Volonté su La nuova bussola quotidiana il 24 aprile 2021 – alla abolizione della libertà religiosa (che include la dimensione pubblica) e all’obbligo di privatizzare la fede”. Un tentativo di far annullare la legge del 2019 dai tribunali è fallito nel 2021. Presto, anzi, potrebbe essere proibito anche pregare in luoghi pubblici. Nelle prossime settimane infatti sarà presentata una proposta di legge che lo vieti. Di proibire le manifestazioni di culto pubbliche si parla da tempo. “Quando si vuole pregare, si va in una chiesa o in una moschea, non in un luogo pubblico” ha dichiarato mesi or sono il premier François Legault. Le autorità cattoliche hanno reagito preoccupate e addolorate. L’arcivescovo di Montréal, monsignor Christian Lépine, in una lettera pubblica ha argomentato che, se il principio informatore è quello della laicità dello Stato, questo non richiede “la cancellazione pubblica della fede nella società”. Vietare la preghiera in luoghi pubblici – ha aggiunto – “sarebbe in qualche modo come vietare il pensiero stesso”, oltre al fatto che un simile provvedimento contrasta con la Carta canadese dei diritti e delle libertà, con la Carta dei diritti e delle libertà dell’uomo del Québec e con la Dichiarazione universale dei diritti umani. Discriminatoria e ingiusta, la legge impedirebbe di svolgere, ad esempio, la Via Crucis, le processioni della Domenica delle Palme e la festa del Corpus Domini. Anche eventi come la visita del Papa non si potrebbero più svolgere. Sulla rivista “Tempi”, Caterina Giojelli, l’11 settembre cita il cardinale Marc Ouellet, che fu arcivescovo di Québec, il quale “denuncia da tempo la rimozione di Dio dall’orizzonte culturale occidentale, come un fatto massiccio e doloroso che reclama una risposta di conversione spirituale e missionaria. Chiese chiuse, riconvertite in palestre o teatri, cattedrali divenute spa, in una provincia che dalla ‘rivoluzione silenziosa’ degli anni 60 raccoglie i frutti delle riforme per laicizzare scuole e ospedali, legalizzare la contraccezione, depenalizzare l’aborto, nazionalizzare industrie e rafforzare i sindacati”. Tutto ciò, scrive Giojelli, “ha trasformato il Québec da una delle società più devote a una delle meno religiose, con la frequenza in chiesa scesa dal 90 al 4 per cento, e un tasso di fertilità ai minimi storici in Canada. La laicità radicale, che qui si traduce in proibizione della preghiera pubblica, non è solo questione di separazione tra Stato e religione: è un indice di una società che ha sostituito la fede con la gestione tecnica della vita. Nel Québec moderno, già mattatoio mondiale dell'eutanasia e laboratorio per estenderla oltre ogni paletto, il divieto della preghiera pubblica appare meno come tutela dei diritti civili e più come affermazione di un controllo culturale che definisce chi può esprimere il proprio credo e dove”.