Il prossimo teatrino giudiziario
Almeno in parte, Berlusconi deve il suo successo politico alla persecuzione giudiziaria. Quindi si prepara ancora una vittoria. Perché la procura di Firenze, proprio alla vigilia delle elezioni siciliane, riapre l'indagine sull'ex Cavaliere e su Marcello dell'Utri per le stragi di mafia degli anni '90, basandosi sui colloqui in carcere di un boss.
Se ci fosse un libretto di istruzioni su come far prendere voti a Berlusconi, il primo suggerimento utile sarebbe quello di farlo apparire, agli occhi dell’opinione pubblica, un perseguitato dalla giustizia. E’ quanto è accaduto fin dalla sua discesa in campo, nel 1994, è quanto sta per ripetersi oggi, a distanza di quasi un quarto di secolo.
Non che in questi 25 anni alcune procure abbiano pensato a molto altro, visto che l’accanimento giudiziario ai danni dell’ex Cavaliere si è tradotto in inchieste screditanti sul piano morale ma prive molto spesso di materiale probatorio consistente. La farsa del “Ruby gate” resterà, da questo punto di vista, negli annali della giustizia-spettacolo. Oggi, però, con l’approssimarsi delle elezioni politiche che potrebbero riconsegnare l’Italia nelle mani del centrodestra (ma sarà vero?), ecco che qualcuno riestrae dal cilindro altre accuse risibili ai danni di Berlusconi e del suo entourage, sulla base delle dichiarazioni di pentiti che, quando aprono bocca, vengono trattati come i paladini della verità.
E’ notizia di due giorni fa che Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono indagati per le stragi di mafia del 1993, come possibili mandanti occulti degli attentati a Firenze, Roma e Milano, dalla procura di Firenze, che ha già ottenuto la riapertura del fascicolo che era stato archiviato nel 2011. Ciò dopo la registrazione dei colloqui in carcere del boss di Cosa Nostra Giuseppe Graviano, intercettato dai pubblici ministeri palermitani del processo sulla ‘trattativa Stato-mafia’, mentre parlava con un compagno di cella nel carcere di Ascoli Piceno. La Direzione investigativa antimafia procederà con nuovi accertamenti. La registrazione dei colloqui in carcere del boss è stata messa a disposizione da Sekret, il nuovo format di inchiesta di Marco Lillo disponibile sulla piattaforma Loft, su vari siti di informazione. Le intercettazioni, con molti omissis, sono state depositate al processo di Palermo, nel giugno scorso.
Il boss Graviano avrebbe in più occasioni fatto cenno o chiamato in causa Silvio Berlusconi, dal padrino definito col diminutivo “Berlusca”. I pm palermitani hanno inviato le registrazioni ai colleghi di Firenze che, con una nuova perizia, dovranno stabilire se i riferimenti erano a Berlusconi e a Forza Italia. Nicolò Ghedini, avvocato di Berlusconi, ha dichiarato che si tratta di "illazioni e notizie infamanti prima del voto, non avendo mai avuto alcun contatto il presidente Berlusconi, né diretto né indiretto, con il signor Graviano". Già a metà settembre il pubblico ministero palermitano Nino Di Matteo era stato ascoltato dalla commissione parlamentare Antimafia, e lì aveva annunciato che per disvelare le trame occulte dell’ultimo mezzo secolo di storia repubblicana sarebbero state necessarie le confidenze che il boss mafioso Giuseppe Graviano aveva fatto al camorrista Umberto Adinolfi: "Berlusca mi ha chiesto questa cortesia, per questo è stata l’urgenza", diceva Graviano al suo compagno di sventura, passeggiando nel cortile del carcere, senza sapere di essere intercettato (e chi ci crede?). E aggiungeva: "Lui voleva scendere in politica però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa". Di Matteo vuole insinuare, dando credito a quelle parole, che sarebbe stato Silvio Berlusconi a invocare le stragi con le quali la mafia, a partire dal maggio del 1992, ha sparso morte e terrore a Palermo, a Roma, a Firenze fino a Milano. Lo avrebbe fatto per scendere in campo e vincere a mani basse.
Firenze, competente per la strage di via dei Georgofili, aveva archiviato la prima volta la sua inchiesta su questa ipotesi già nel 1998. La procura di Caltanissetta, nel 2002, era approdata ad analoghe conclusioni rispetto ad un ipotetico ruolo di Berlusconi e di Marcello Dell’Utri nel massacro del giudice Paolo Borsellino. Ora le parole di Graviano costringono la procura di Firenze a riaprire quell’inchiesta. E il cortocircuito con la campagna elettorale sarà inevitabile. Questo perché l’ossessione antiberlusconiana di alcuni magistrati come Di Matteo e altri che l’hanno preceduto (come dimenticare Ingroia?) è invincibile e finisce per togliere credibilità alle critiche, quelle sì spesso argomentate e assai fondate, ai metodi e ai contenuti dell’azione di governo di Berlusconi e dei suoi alleati, che andrebbero combattuti con le armi democratiche del confronto dialettico e politico e non con le inchieste pretestuose e ridicole, destinate a rivelarsi un boomerang per chi le promuove e le alimenta.
Intanto queste temerarie iniziative giudiziarie contribuiranno ad avvelenare la campagna elettorale e a far votare per Berlusconi anche chi non immaginava di farlo. Dopo il voto tutto questo clamore mediatico-giudiziario, come per incanto, evaporerà e i pubblici ministeri protagonisti di quest’ennesima offensiva giudiziaria contro il leader del centrodestra, dopo aver guadagnato le prime pagine dei giornali e le comode poltroncine degli studi televisivi in accesi talk show, e dopo aver dilapidato ingenti risorse pubbliche per avallare inverosimili teoremi, torneranno in letargo. A loro, peraltro, il governo in carica sta già pensando, affinchè non disturbino più di tanto: ennesimo aumento di stipendio all’orizzonte, dopo che per anni sono stati gli unici dipendenti pubblici italiani, anche in epoca di spending review, a non subire il blocco delle retribuzioni. La vera casta ha colpito ancora.