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GOVERNO

Il prossimo annichilimento del Parlamento

Dare stabilità al governo a spese del Parlamento, è questa la via che Renzi ha scelto di percorrere con la riforma elettorale. Vuole svuotare il Senato, rendendolo una camera non elettiva e con vaghi poteri. E leva alla Camera la sua funzione di rappresentanza degli interessi particolari. Chiamasi "autoritarismo".

Editoriali 28_04_2015
Scheda

Con il voto su due pregiudiziali, che è in programma oggi, entra nel vivo alla Camera l’esame del cosiddetto  “Italicum”, il progetto di riforma della legge per l’elezione della Camera stessa sul quale Renzi sta giocando tutte le sue carte. Il voto definitivo a scrutinio segreto sulla riforma nel suo complesso è previsto per l’11 maggio prossimo. Domani e dopodomani è all’ordine del giorno la discussione generale sul provvedimento, che quindi sarà al centro della cronaca politica della corrente settimana, abbreviata dalla ricorrenza del Primo Maggio.

In che cosa consiste la prospettata riforma? Il suo elemento-chiave è l’introduzione di un premio di maggioranza in forza del quale alla lista (la lista, si badi bene, non la coalizione) che abbia raccolto la maggioranza relativa  dei voti degli elettori, se non al primo turno in un secondo turno di ballottaggio, viene attribuita la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera. In ognuna delle nuove 100-120 circoscrizioni, con una media di circa 500 mila abitanti, il capolista sarà comunque eletto (se la sua lista raccoglie voti quanti ne bastano per eleggere almeno un deputato) mentre per tutti gli altri varranno le preferenze. La legge riguarda la Camera poiché è in corso una riforma costituzionale che, se approvata, porterà alla trasformazione del Senato in un’assemblea non elettiva.

Raramente si è vista, come in questo caso, altrettanta divaricazione fra le attese del ceto politico, cui la questione dell’Italicum interessa spasmodicamente, e le attese della gente comune, cui invece non interessa per nulla. Chi è fuori del proverbiale Palazzo ha l’impressione infatti che si tratti di una questione del tutto interna al ceto politico, il che in certo modo è vero ma fino a un certo punto.

Per capire, al di là della quotidiana miriade di dettagli spesso irrilevanti che caratterizza oggi la cronaca politica, quale sia la posta in gioco occorre fare lo sforzo di guardare alle cose più nel profondo. Ci sono sistemi istituzionali, come è il caso di quello degli Stati Uniti, ma non solo, in cui gli elettori, insomma il popolo, eleggono direttamente da un lato i loro rappresentanti in Parlamento e dall’altro il capo del governo (negli Usa il Presidente degli Stati Uniti). Nel primo caso tenderanno a scegliere qualcuno che condivida immediatamente i loro ideali e rappresenti i loro interessi; nel secondo caso invece la natura stessa dell’elezione e la dimensione della maggioranza elettorale necessaria spingeranno gli elettori a una scelta da un lato di compromesso e dall’altro di più ampio respiro.

In altre parole, il cittadino vota al Parlamento pensando ai valori e ai legittimi interessi suoi e del luogo ove vive e lavora, mentre invece vota per il capo del governo pensando tendenzialmente all’interesse comune del Paese. Essendo eletti entrambi dal popolo, il capo del governo e il Parlamento non dipendono l’uno dall’altro, ma hanno l’obbligo politico di mediare tra gli interessi che rispettivamente rappresentano. In quanto rappresentanza di interessi specifici il Parlamento viene eletto in modo proporzionale, mentre in quanto espressione di sintesi dell’intesse comune del Paese il capo del governo viene eletto con meccanismi che implicano di fatto un forte premio di maggioranza.

Nel nostro caso invece il Parlamento ha sia il compito di dare rappresentanza agli interessi specifici che quello di nominare e di far decadere i governi. Avendo l’esperienza confermato che si tratta di due funzioni incompatibili  tra loro si sarebbe potuto conservare al Parlamento la sua storica funzione di luogo di rappresentanza proporzionale e di confronto tra gli interessi specifici; e trasferire invece al popolo il potere di eleggere direttamente il capo del governo. Sarebbe stata questa la soluzione più democratica, tanto più se fosse stata accompagnata dall’estensione del medesimo sistema alle Regioni e alle autonomie locali.

Renzi ha scelto invece di percorrere un’altra strada, in realtà molto meno democratica: quella che consiste nel dare stabilità al governo a spese del Parlamento, che viene perciò annichilito. E’ un obiettivo cui punta lungo due percorsi diversi ma diretti al medesimo traguardo. Da un lato con un’apposita riforma costituzionale svuota il Senato trasformandolo in una camera non elettiva con scarsi e vaghi poteri; dall’altro con l’Italicum in nome della “governabilità” vanifica la funzione originaria e tipica della Camera, ossia quella appunto di essere luogo di autentica rappresentanza degli interessi; e per far questo deve non solo deformarla con il premio di maggioranza ma anche per così addomesticarla. Ammesso e non concesso che ciò possa dare qualche vantaggio nell’immediato, ci si rende conto della deriva neo-autoritaria che così viene messa in moto?