Il presepio secondo san Francesco
Una presenza viva per "rivedere" la scena di Betlemme, una celebrazione che invita alla conversione, il prolungamento della Santa Notte nella stabilità della vita. Così è stato il primo presepio creato a Greccio da San Francesco.
- PIAZZA SAN PIETRO: E GESÙ DOV'È?
Il modello per eccellenza del presepio cristiano è il primo presepio allestito da san Francesco d’Assisi a Greccio nel 1223.
Oggi, stante il rarefarsi della cultura cristiana, sono sempre in meno a conoscere questa fondamentale notizia storica e, tra i pochi che l’hanno presente, pochi conoscono i racconti dettagliati delle Fonti Francescane (FF). Ora da queste FF salta fuori che non solo san Francesco allestì per la prima volta un presepio facendo rivivere le tradizioni antiche e adattandole alla sensibilità dei tempi nuovi, ma soprattutto che san Francesco era preoccupato di ricreare un preciso contesto dal quale scaturirono dei ricchi frutti spirituali.
Dunque la lettura delle FF, in particolare di Tommaso da Celano, può procurarci diverse piacevoli sorprese ed essere ancora oggi il modello ideale della preparazione del presepio e dei frutti che ne devono conseguire. Certo, non si tratta necessariamente di ripetere gli avvenimenti di allora, ma di assimilarne lo spirito.
Esporremo il racconto in tre fasi diverse e successive, che sembrano ben segnate dal testo.
Prima fase: il “vedere” e le persone vive.
Lasciamo parlare il racconto: «C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo» (Tommaso da Celano, Vita prima di san Francesco d’Assisi 1,30,84 in FF 468).
In seguito il presepio si è concretizzato nelle statue e tali sono i nostri presepi, anche se non del tutto perché, benché rari, si danno ancora presepi viventi (ad analogia delle drammatizzazioni della Passione nella settimana santa). Per san Francesco comunque il presepio era fatto di persone e credenti, come dal testo - il credente Giovanni - e come dal testo seguente che parlerà di un accorrere di gente. Anche oggi normalmente dovrebbero essere i credenti ad allestire il presepio e proprio a partire dalla loro fede.
Non solo, san Francesco voleva “vedere” il fatto storico, la scena evangelica, la condizione umana e povera della nascita del Redentore. Dunque due preoccupazioni o ispirazioni: l’anelito visivo, ma anche la “correttezza visiva” ispirata ai Vangeli. La “correttezza visiva” è sempre stata sostanzialmente conservata nella tradizione, mentre oggi comincia a sgretolarsi in quanto il presepio a volte diventa come... i carri del carnevale di Viareggio dove si mette di tutto purché sia attuale: personaggi politici o di riferimento cristiano di oggi, personaggi fantastici, personaggi ideologici sino ai presepi omosessuali. In questo procedimento riaffiora la tendenza a vedere noi più che a vedere Gesù Cristo e in fondo è lo stesso procedimento degli “abusi” in liturgia che si replicano con analoghi “abusi” nel presepio. Ma il messaggio del presepio di san Francesco va in altra direzione: vedere e vedere correttamente.
Seconda fase: non solo rappresentazione storica ed emotiva, ma celebrazione e conversione.
In realtà la rappresentazione fu una celebrazione dove regolarmente e anzi con particolare intensità si svolse il ministero della predicazione che diede il senso all’avvenimento, evitando che predetto senso si cogliesse unicamente guidati dall’emotività frutto di una Betlemme scenicamente ricostruita.
Lasciamo parlare il racconto: «E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molto frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone sopra il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. (...) Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabili. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio». Qui la versione di san Bonaventura precisa che san Francesco, stante la prassi restrittiva circa la celebrazione fuori degli edifici cultuali, «perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità, chiese ed ottenne prima il permesso del sommo Pontefice» (Leggenda Maggiore 10,7 in FF 1186).
Riprendiamo il racconto di Tommaso da Celano. Francesco assapora una consolazione mai gustata prima e nel frattempo «si è rivestito dei paramenti diaconali, poiché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri del cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava il Bambino di Betlemme, e quel nome Betlemme lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come il belato di pecora. E ogni volta che diceva Bambino di Betlemme o Gesù, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole» (Ivi, 1,30,85-6 in FF 469-470).
Non solo. Un successivo passaggio porta alla conversione di molti presenti quando a un uomo virtuoso - forse lo stesso Giovanni - sembra che Francesco scuota il Bambino da un sonno profondo e questo era immagine di ciò che stava avvenendo «perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia» (Ivi, 1,30,86 in FF 470).
Dunque il presepio si concretizza nel sacramento dell’Eucaristia e nella predicazione di san Francesco, che in tal modo manifesta pubblicamente e intensamente il suo amore e la sua fede nel Redentore. E da questo benefico contagio nascono delle conversioni, dei ritorni alla vita cristiana. Anche oggi il presepio - nel suo allestimento e nel suo definitivo presentarsi - richiede in coloro che lo preparano un collegamento alla Parola e all’Eucaristia e alla conversione. Ma parla anche di queste cose a coloro che lo guardano, perché, chi è fuori dal fatto cristiano - o perché non lo vive o perché non è cristiano - non può non domandarsi come mai certuni allestiscano una simile scena e chi è il protagonista. E siccome nulla avviene per caso, dalla non fede o poca fede di certuni si spiega la proibizione a fare il presepio in luoghi pubblici: perché non si vuole manifestare la propria fede troppo debole o scomparsa, perché si vuole promuovere una società senza Gesù Cristo appoggiati a un “rispetto” per altri ai quali il presepio non ha mai fatto violenza, ma ai quali ha posto delle domande, ai quali chiede fede, conversione, ascolto della Parola, frequenza ai Sacramenti. Proprio come il presepio di san Francesco.
Terza fase: da ciò che passa a ciò che resta, dal presepio a una chiesa, da una sola notte alla normalità sacramentale.
La “notte del presepio” di san Francesco doveva concludersi. Come i nostri presepi, che ad un certo punto vanno disallestiti. Ma la conclusione di Tommaso da Celano ci guida alla definitiva evoluzione del presepio di Francesco verso la stabilità della vita cristiana:
«Oggi (1228) quel luogo è stato consacrato al Signore e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi» (Ivi, 1,30,87 in FF 471).
A fronte dell’odierna esperienza di chiese vuote e utilizzate per usi profani - perché mancano i fedeli - il presepio di san Francesco fiorì addirittura in una nuova chiesa per prolungare l’incontro sacramentale con Gesù Cristo. È il messaggio finale per il nostro presepio, destinato ad aumentare la fede di chi l’ha fatto e di chi lo guarda, ai quali il presepio chiede, se non proprio la costruzione di una nuova chiesa, per lo meno di rifrequentare quelle quasi vuote.
San Francesco vegli sui nostri presepi, ci preservi dagli abusi di collocarvi dei personaggi e delle scenografie strane, converta il cuore di certi presidi e amministratori perché permettano al presepio di esserci e di porre delle domande; ci faccia transitare dal presepio di statue (o simili) all’incontro sacramentale con Gesù Cristo. E sarà veramente un Buon Natale!
(2. Fine)
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