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GLOBAL TERRORISM INDEX

Il presente e il futuro dei gruppi jihadisti è in Africa

Il Global Terrorism Index 2020 rileva una sensibile diminuzione del terrorismo in tutto il mondo, con cali notevoli del numero di vittime in Afghanistan e Nigeria. La regione più colpita dallo Stato Islamico e dai gruppi jihadisti ad esso affiliati è stata l’Africa sub-sahariana dove si trovano sette dei dieci Paesi in cui si è registrato l’aumento maggiore di attentati mortali. È ormai quello il fronte principale.

Esteri 30_11_2020 English Español
Jihadista di Al Qaeda (Aqmi)

È stato pubblicato da pochi giorni il Global Terrorism Index 2020 dell’Institute of Economics and Peace. Il rapporto documenta l’impatto del terrorismo sul 99,7% della popolazione mondiale in 163 Paesi. Riporta il numero degli attacchi terroristici, dei morti, dei feriti e dei danni materiali provocati. Nel 2019 sono 63 gli Stati in cui si è verificato almeno un attentato, ma la buona notizia è che, per il quinto anno consecutivo, il numero dei morti è sceso: ma restano tanti, 13.826, il 96 per cento dei quali registrati in paesi già in conflitto. Le vittime sono diminuite in 103 Stati e aumentate in 35. La riduzione maggiore si è verificata in Afghanistan e in Nigeria che tuttavia rimangono gli unici due paesi con più di mille morti imputabili al terrorismo. Tra gli Stati in cui la situazione è peggiorata, quelli in cui si è avuto l’aumento più notevole di attacchi sono il Burkina Faso, dove l’incremento è stato del 590%, lo Sri Lanka, il Mozambico, il Mali e il Niger.

Anche se le loro vittime sono diminuite del 18%, i Talebani continuano ad essere il gruppo terroristico più pericoloso, seguiti dall’Isis che, sebbene in declino in Medio Oriente e Nord Africa, nel 2019 ha messo a segno attentati in 27 Paesi. La regione più colpita dallo Stato Islamico e dai gruppi jihadisti ad esso affiliati è stata l’Africa sub-sahariana dove si trovano sette dei dieci Paesi in cui si è registrato l’aumento maggiore di attentati mortali. È in Africa, in effetti, che ormai da anni i gruppi jihadisti legati ad al Qaeda e all’Isis si contendono territori, reclute, il primato per numero e letalità delle azioni, sempre più estendendo e consolidando la loro influenza nelle regioni sub-sahariane.

Boko Haram in Nigeria e al Shabaab in Somalia sono nati come gruppi legati ad al Qaeda. Ma nel 2015 una parte dei jihadisti nigeriani ha scelto di affiliarsi all’Isis e altrettanto hanno fatto quelli somali. È stato l’anno in cui il presidente nigeriano Muhammadu Buhari e quello somalo, Hassan Sheikh Mohamud, ne hanno avventatamente annunciato la fine imminente: secondo loro, gli attentati clamorosi messi a segno erano l’ultimo disperato tentativo di mettere in difficoltà le istituzioni. Invece Boko Haram e al Shabaab hanno modificato le loro strategie, ma continuano la loro guerra per sottrarre il mondo agli infedeli.   

Il 28 novembre, nello stato nigeriano del Borno che è la loro roccaforte, dei combattenti Boko Haram hanno attaccato 60 braccianti che lavoravano in una risaia vicino alla capitale dello Stato, Maiduguri. Dopo averli legati ne hanno uccisi 43 sgozzandoli. Altri sei sono sopravvissuti con gravi ferite, 11 risultano dispersi e si ritiene che siano stati rapiti dai jihadisti. Le vittime erano tutti emigranti originari di un altro Stato della federazione, Sokoto. A ottobre in due diversi attacchi erano stati sgozzati 22 contadini sempre nei pressi della capitale. Sia il gruppo Boko Haram originario, guidato da Abubakar Shekau, sia quello secessionista, che si chiama Iswap, è affiliato all’Isis e ha per leader Abu Mus’ab al-Barnawi, sempre più spesso colpiscono taglialegna, pastori, pescatori e agricoltori, senza risparmiare quelli musulmani, accusandoli di essere delle spie e di passare delle informazioni ai militari governativi. Tuttavia i due gruppi rivendicano radicali differenze nel modo di combattere. Shekau cita il Corano per dire che i fedeli moderati, quelli che hanno rapporti con gli infedeli e non si proclamano apertamente ostili nei loro confronti, non sono buoni musulmani. Per questo il suo gruppo non fa distinzione tra cristiani e musulmani quando colpisce. Suoi sono centinaia di attentati dinamitardi suicidi contro moschee, mercati e stazioni di autobus. Al Barnawi invece sostiene, citando il Corano, che uccidere i musulmani è proibito… a meno che si tratti di punirli pubblicamente come appunto nel caso di traditori che collaborano con il governo.   

Al Shabaab in Somalia da anni, da quando ha perso la capitale Mogadiscio, alcune delle principali città e una parte dei territori che controllava, concentra le proprie azioni soprattutto sulla capitale riuscendo a mettere a segno attentati dinamitardi che colpiscono alberghi, ristoranti e altri edifici frequentati da politici somali, uomini d’affari e diplomatici. Dal 2010 ha ucciso più di 4mila civili, oltre 3mila dei quali a partire dal 2015. L’attentato più devastante è stato quello dell’ottobre 2017: un autocarro carico di esplosivo fatto esplodere in un punto affollato di  Mogadiscio ha ucciso almeno 587 persone. Attentati di minore impatto, ma frequenti causano uno stillicidio di morti e feriti. Gli ultimi due sono stati realizzati in meno di due settimane. Il 17 novembre sei persone sono morte e cinque sono state ferite quando un uomo si è fatto saltare in aria in un ristorante affollato vicino a una scuola di polizia nei pressi del porto. L’attacco seguiva di pochi giorni l’annuncio che l’esercito somalo aveva catturato tre comandanti superiori al Shabaab durante un'operazione militare condotta nella provincia centrale di Hiraan. Il 27 novembre una bomba ha ucciso sette persone e ne ha ferite dieci in una rinomata gelateria e panetteria, Gelato Divino, che si trova nel cuore della capitale, vicino all’aeroporto internazionale.

Anche al Shabaab non fa distinzione tra cristiani e musulmani quando si combatte in nome e per la gloria di Allah.