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OTTOCENTO DA RISCOPRIRE/XXXI

Il piacere: il senso estetico sostituisce quello morale

D’Annunzio ha sempre deliberatamente contrapposto la propria brama di affermazione narcisistica al Verbo incarnato, Cristo. La parodia ha spesso accompagnato la produzione dannunziana in maniera ostentatamente provocatoria e mordace.

Cultura 15_10_2017

Come per processo osmotico D’annunzio recepisce a suo modo, è bene dirlo, le molteplici sollecitazioni letterarie, culturali e filosofiche del periodo in cui vive.

È lui ad aprire la stagione del Decadentismo esteta in Italia con il romanzo Il piacere (1889) che appartiene al ciclo della rosa, emblema dell’estetismo dannunziano, trilogia di cui fanno parte anche L’innocente (1892) e Il trionfo della morte (1894).

Il padre dell’Estetismo può essere considerato Joris-Karl Huysmans, amico di Zola ed esponente del Naturalismo all’inizio della sua produzione. Con il romanzo A rebour (1884), pubblicato in Italia sia con il titolo A ritroso che Controcorrente, lo scrittore apre una stagione nuova della sensibilità decadente. Il protagonista del romanzo, Des Esseintes, abbandona la vita frenetica ed edonistica della capitale francese per cercare un rifugio dorato in una villa di campagna, isolata e rifulgente di ogni bellezza. Lì conduce una vita incline ad ogni piacere, ossessionato dal culto della bellezza. La solitudine porta il protagonista ad una condizione simile alla pazzia. Così Des Esseintes decide, alla fine, di ritornare a Parigi. L’opera è, indubbiamente, almeno in parte specchio della vita dell’autore Huysmans, con una differenza importante. La ricerca di una vita più bella e significativa non porta il protagonista alla conversione,  ma solo ad abbandonare il culto estetico. Nel suo percorso, invece, Huysmans partendo da una posizione esteta approda alla fine al porto della fede. Convertitosi, diverrà oblato benedettino.

Il protagonista de Il piacere è, in un certo senso, il fratello minore di Des Esseintes. Emblema di una visione edonistica della vita, raffinato e alla ricerca di nuove sensazioni, il protagonista Andrea Sperelli crede che si debbano assaporare i piaceri della vita, senza alcuna responsabilità e vincolo relazionale. 

Il padre, «cresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonica», sa «largamente vivere» avendo appreso «una scienza profonda della vita voluttuaria e insieme una certa inclinazione byroniana al romanticismo fantastico». Così, ha educato il figlio Andrea secondo alcune massime. Una è «Habere, non haberi», cioè «possedere, mai farsi possedere», esprimibile anche nel concetto di non innamorarsi mai, mai farsi irretire dalla gabbia dell’amore, ma rimanere sempre superiori al sentimento. Un’altra regola è «Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita di un uomo di intelletto sia opera di lui». Infine, «il sofisma è in fondo ad ogni piacere e ad ogni dolore umano. […] Forse la scienza della vita sta nell’oscurare la verità. La parola è una cosa profonda, in cui per l’uomo di intelletto sono nascoste inesauribili risorse». La parola può divenire un incredibile strumento di potere. Chiaramente questi principi ingannano in primis lo stesso Andrea Sperelli , perché la menzogna diventa un abito così «aderente alla coscienza» che il personaggio giunge a non poter mai «essere interamente sincero». Le massime del padre plasmano il figlio, annientando in lui la già fragile volontà. Se da una parte il narratore sembra giudicare la corruzione dell’animo di quel giovane quando scrive che Sperelli «non si accorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva delle sue facoltà, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva rinunzia», dall’altra parte non è difficile riconoscere molti aspetti di D’Annunzio attraverso la descrizione di un  personaggio in cui il senso estetico ha schiacciato il senso morale. 

Ambientato nel 1886, diviso in quattro parti, il romanzo si apre con il tentativo del protagonista di riprendere con la sensuale Elena Muti il rapporto interrotto l’anno precedente. L’incontro che avviene nell’abitazione di Sperelli a Palazzo Zuccari non porta al risultato sperato. Nei primi due tomi del romanzo si dispiega, così, la digressione che racconta la storia sentimentale passata fino alla separazione e all’incontro di Sperelli con Maria Ferres. Finito il lungo flashback, nel III e nel IV tomo la vicenda ritorna a Roma: è la scena iniziale del romanzo. Sperelli incontra di nuovo la Ferres e avvia con lei una relazione, anche se il suo cuore è ancora preso dal primo amore. Così, lui pronuncerà il nome di Elena, dopo un rapporto con la Ferres, che decide così di lasciarlo. La stessa trama del romanzo rivela il fallimento dell’etica del piacere.

Nel romanzo D’Annunzio prosegue l’irridente sberleffo al Crocefisso di cui si era reso interprete pochi decenni prima lo stesso Carducci nell’«Inno a satana». D’Annunzio ha sempre deliberatamente contrapposto la propria brama di affermazione narcisistica al Verbo incarnato, Cristo. La parodia ha spesso accompagnato la produzione dannunziana in maniera ostentatamente provocatoria e mordace.

Nelle descrizioni delle camere da letto in cui si congiungono i corpi dei due amanti adulterini de Il piacere in maniera antifrastica e irrisoria campeggia sulle lenzuola una raffigurazione artistica dell’«Annunciazione»: la castità della Madonna si configura come appetitoso antipasto al connubio carnale peccaminoso.

I richiami sacrali percorreranno in maniera ossessiva non solo i romanzi, ma anche le poesie e lo stesso luogo che D’Annunzio scelse come suo ultimo soggiorno, il Vittoriale degli italiani. Convinto che Gesù abbia tolto all’uomo il piacere e la vitalità, D’Annunzio rifiuta Colui che ha promesso il centuplo quaggiù e l’eternità a chi lo segue, concludendo gli ultimi anni nella solitudine e nella tristezza. Quando muore l’homo religiosus, quando si dimentica il desiderio dell’uomo, muore in realtà l’uomo stesso, che viene trattato come ingranaggio di un meccanismo che deve efficientemente funzionare. L’uomo perde così di vista il proprio fine e collabora inconsapevolmente ad un fine diverso. Questa è la radice dell’alienazione.

Per questo d’Annunzio dovrebbe oggi essere riscoperto. Non solo, perché emblema e protagonista della sua epoca, non solo perché bisogna attraversarlo in ogni caso per capire il Novecento (come ha detto Montale), ma perché rappresenta, anche se con una patina edulcorata e raffinata, la nostra epoca e l’esito e il destino cui l’uomo si avvia quando mette sé e il proprio arbitrio sul piedistallo. In nome della fama, del successo, del potere e dei soldi si può vendere una parte di sé. Il mito di Faust si è compiuto, ma alla parola felicità è stato sostituito l’idolo in cui si ripone ogni speranza.