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SCHERMAGLIE NELLA MAGGIORANZA

Il Pd "si compra" i giornali offrendoli alle scuole

Dopo il rinnovo della convenzione con Radio Radicale, il Pd vuole imporre ai 5Stelle anche un sussidio di 20 milioni di euro per diffondere i giornali nelle scuole. Ufficialmente per garantire il diritto all’informazione, in realtà per addomesticarne la linea editoriale. 

Politica 03_11_2019
Andrea Martella

La rottura tra Pd e Movimento Cinque Stelle negli ultimi giorni è stata sfiorata su tanti punti. Le tensione serpeggia, anzi si taglia a fette e non sono in molti a pronosticare lunga vita al Conte bis. C’è già chi parla di nuovo governo nel 2020, senza l’attuale premier e con una compagine governativa allargata ad altri parlamentari che ora gravitano nel centrodestra berlusconiano o nel gruppo misto.

Ma tra le questioni che maggiormente dividono i due alleati di governo c’è senz’altro quella del rapporto con il mondo dell’informazione. I grillini detestano i giornali cartacei e credono che la vera democrazia sia solo in Rete. La piattaforma Rousseau è, secondo loro, l’esempio sin qui più evoluto di democrazia diretta e quindi non occorre il pluralismo dei media tradizionali, perché già on line i cittadini sono liberi di esprimere le proprie opinioni. I dem, invece, mantengono una preferenza per i giornali cartacei e vogliono ingraziarseli, soprattutto in vista delle prossime tornate elettorali regionali. Dunque, vogliono lusingarli con aiuti e contributi.

Di qui la proposta di Dario Franceschini e soci di stanziare 20 milioni di euro all’anno per la diffusione dei giornali cartacei (anche in versione digitale) nelle scuole. La ratio ufficiale del provvedimento è quella di promuovere la cultura tra i banchi di scuola, ma la vera finalità è quella di dimostrare agli editori dei principali giornali italiani che il vento è cambiato rispetto al Conte uno e che questo nuovo governo è ben disposto ad aiutare anche finanziariamente i giornali.

I Cinque Stelle giustamente non ci stanno, e questa volta hanno ragione. L’ex sottosegretario all’informazione e all’editoria Vito Crimi aveva avviato un percorso di progressivo azzeramento degli aiuti indiretti alla stampa sulla base del fatto che bisognasse aiutare soprattutto il pubblico, cioè i destinatari dei prodotti editoriali, magari attraverso l’erogazione di un bonus per l’informazione, che ciascun cittadino avrebbe potuto spendere a suo piacimento. Dunque, nella gestione pentastellata del dossier editoria, niente più sostegno agli editori di giornali e maggiore salvaguardia del pluralismo attraverso incentivi alle start up dell’informazione on line e alle nuove iniziative editoriali, senza continuare ad aiutare i soliti noti.

Questa posizione aveva dei punti non condivisibili ma anche degli aspetti da considerare innovativi, sulla strada del superamento della patologia degli editori impuri, tutti impegnati in altri ambiti imprenditoriali e quindi non liberi di garantire in modo obiettivo e distaccato la buona informazione. Ora, con l’arrivo al posto di Crimi dell’esponente del Pd Andrea Martella, si è tornati al vecchio registro: lo Stato che aiuta i giornali, ufficialmente per garantire il diritto all’informazione, in realtà per addomesticarne la linea editoriale.

Dopo il rinnovo della convenzione con Radio Radicale, i pentastellati devono dunque ingoiare l’ennesimo boccone indigesto. Luigi Di Maio ha litigato su questo con Dario Franceschini, confermando la totale indisponibilità del Movimento Cinque Stelle ad avallare qualsiasi aiuti di Stato all’editoria, tanto più in un’epoca sempre più multimediale come quella nella quale siamo immersi.

Vedremo come andrà a finire. Tuttavia, risulta una scelta davvero anacronistica quella di voler diffondere nelle scuole i giornali attraverso stanziamenti pubblici. L’educazione civica nelle aule scolastiche dovrebbe in automatico suggerire agli studenti le modalità migliori per approvvigionarsi di notizie di interesse pubblico e per informarsi correttamente. I giornali cartacei e digitali sono certamente uno strumento utile per tali finalità, a patto che si tratti di una scelta libera degli studenti e che la scuola si limiti a suggerirla, senza avvalersi dei soldi pubblici.