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il caso reggio

Il Patrono soccombe al secolarismo. A che servono sagre così?

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Quanto successo a Reggio Calabria non è stato un caso. La secolarizzazione che ha tolto il soprannaturale ora lo combatte. Sono gli stessi parroci e vescovi a considerare positiva la secolarizzazione, fingendo di non vedere che ormai si tratta di secolarismo. 

Editoriali 14_09_2024

Le sagre paesane dell’Assunta o le feste cittadine del santo Patrono hanno origine nei principi della società cristiana, quando vita religiosa e vita civile si corrispondevano. Esse erano una delle tante manifestazioni del ruolo pubblico della religione cristiana e del bisogno della società civile di un fondamento indisponibile. Il Patrono era inteso sia come il fondatore o il campione della religione in quei luoghi, sia come il Defensor civitatis, il protettore dall’alto della comunità e spesso il combattente contro gli invasori o le epidemie per la sua sopravvivenza. Si capisce quindi perché, di solito, la sagra o la festa del Patrono sono organizzate insieme dal sindaco e dal parroco o dal sindaco e dal vescovo.

Oggi tutto questo è quantomai dimenticato, in ambedue i due versanti. Rimangono ancora delle reliquie di quel passato. Per esempio, alla celebrazione in chiesa della festa del Patrono di solito c’è il sindaco con la fascia tricolore, insieme ad altre autorità civili e militari. Se, dopo la messa, è prevista la processione, capita ancora in qualche caso che il sindaco vi partecipi. Però questi atti residuali non vengono più fatti con lo spirito giusto, ma solo o come atti istituzionali dovuti, oppure come una tradizione a cui dare seguito per non perdere voti alle successive elezioni, oppure come folklore. Probabilmente, se invitato, il sindaco andrebbe con la sua fascia tricolore anche a celebrazioni e manifestazioni di altre religioni. Nel passato essi manifestavano la connessione intima tra vita civile e vita religiosa pur nella loro legittima distinzione, assieme all’idea che l’unità nella società richiedeva in via fondamentale il vincolo religioso.

Oggi siamo davanti alla completa secolarizzazione di questi eventi. Molte sagre si chiamano ancora “sagra del Carmine” ma si riducono a una mangiata all’aperto e a balli e canti, senza nessun evento devozionale e religioso. In altri casi, ancora molto frequenti, i due momenti – religioso e conviviale – ci sono entrambi. Nei manifesti però le cose stridono non poco: tra la Messa e il programma ludico non solo non c’è alcuna relazione ma si arriva spesso ad una evidente contrapposizione, prima di tutto di buon gusto e in qualche caso anche di profanazione. Qualche parroco intelligente è riuscito a sganciarsi da questi compromessi al ribasso e a separare nettamente le due iniziative, quella in chiesa e quella in piazza. Molti altri continuano per non scontentare nessuno e non “dividere la comunità”, ma tenere in vita iniziative di cui si è perduto completamente il significato non produce grandi risultati.

Poi però c’è stata l’evoluzione recente, come accaduto a Reggio Calabria. Il processo di secolarizzazione, come detto, ha investito queste manifestazioni, corrodendone il significato sacro per tenere solo o prevalentemente quello profano. La secolarizzazione appiattisce il verticale sull’orizzontale, poi però non si ferma lì. Non si limita a ridimensionarlo o a toglierlo, lo combatte. Questa svolta è inevitabile, perché la secolarizzazione non può non trasformarsi in secolarismo. Dapprima si fa la festa dell’Assunta in modo solo godereccio e non più religioso, ma poi si finisce per organizzarla in modo antireligioso, con spettacoli, conferenze, convegni a carattere irreligioso. Quanto successo a Reggio Calabria non è stato un caso. La secolarizzazione ha per molto tempo tolto il soprannaturale ma lo ha sostituito con surrogati naturali che in qualche modo vi facevano ancora da eco. Ma in questa nostra epoca postmoderna ha abbandonato queste buone maniere e, senza più scrupoli, lo affronta e lo combatte.

La Chiesa dovrebbe tenere conto di questi cambiamenti. Da un lato dovrebbe fare memoria del significato vero delle sagre di paese e delle feste patronali, dall’altro dovrebbe valutare l’opportunità di dissociarsi sia da strumentalizzazioni volgari che ottundono completamente il significato religioso dell’evento, ma ancora di più da attacchi ideologici anticristiani, frutto di un secolarismo militante. Se la festa diventa uno scandalo per grandi e piccoli, parroco o vescovo dovrebbero dissociarsi e fare la “loro” festa dell’Assunta o del Patrono, e lasciare da parte la proloco o il comune.

È ampiamente prevedibile che situazioni come quella di Reggio Calabria si moltiplicheranno. Il cristianesimo è sotto attacco, non c’è alcun dubbio. Le occasioni di dissociazione con le politiche mondane e la decisione di fare a modo proprio da parte dei cristiani aumenteranno e non solo nelle sagre e nelle feste patronali. Ma non saranno comportamenti diffusi, perché la maggioranza continuerà nel compromesso, anzi, vedrà nel compromesso ben più di un compromesso, una opportunità. Questo perché sono gli stessi parroci e vescovi a considerare positiva la secolarizzazione, fingendo di non vedere che ormai si tratta di secolarismo. Eppoi perché il loro primo impegno è ormai di “esserci” comunque e ad ogni costo. Non è vero che prima di essere cristiani siamo fratelli tutti?